Renato Franco, Corriere della Sera 7/6/2014, 7 giugno 2014
SUOR CRISTINA, UN CASO POP
Suor Cristina Superstar, il musical televisivo della suora vera che vince un talent show, fa il giro del mondo. È la «singing nun», la suora cantante che — potenza della combinazione di YouTube e Twitter — ha trasformato un fenomeno italiano in un fenomeno virale di cui parlano in Inghilterra (Bbc), Germania (Bild), Francia (Paris Match) ma anche negli Stati Uniti (New York Times).
È la storia «strano ma vero» che colpisce immediatamente ma genera altrettanto immediatamente commenti contrastanti. Chi approva, chi eccepisce. È la storia della religione che si avvicina alla gente, che lascia da parte certi lussi ormai anacronistici per mischiarsi con le persone e le loro vite, nella scia tracciata da Papa Francesco. Insomma, un messaggio positivo. Anzi no. È la storia di un successo costruito a tavolino, un’operazione di marketing clericale, con la suora personaggio che fa ascolti, una deriva pop della religione che si piega allo spettacolo televisivo. Come è successo con Conchita Wurst, drag queen austriaca spacciata come nuova icona dei diritti civili e simbolo di libertà ma — sostengono gli scettici — in realtà usata per far parlare di una manifestazione altrimenti snobbata. Per i detrattori è come un film di Fellini: la donna barbuta che vince l’«Eurovision Song Contest», la suora che sbanca «The Voice», il prossimo passo è la nana della Grande Bellezza che trionfa a Sanremo.
I social network dibattono. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura del Vaticano, sembra aver dato il suo appoggio alla suora via Twitter citando Cassiodoro: «Se commettiamo ingiustizia, Dio ci lascerà senza musica» con tanto di hashtag (il cancelletto per contrassegnare le parole chiave) #tvoi (The Voice of Italy). Ma tra i tanti che elogiano, altrettanti biasimano. Una lettura dei commenti, per forza di cose parziale, mostra due tipi di malpancisti. Chi giudica il caso televisivo parla di Suor Cristina come prodotto mediatico di veloce assuefazione, di montatura per far colpo, sostiene che ha vinto per l’abito e non per la voce, che gli autori l’hanno scelta per calcolo. Chi si fa scrupoli religiosi invece non ha gradito il Padre Nostro a fine gara in un contesto inadatto, scrive che la suora ha un contratto, ma non con la sua nuova casa discografica (Universal) ma con il Signore, che la religione non è uno spettacolo, che la fede non è un talent.
Di sicuro è stato un successo per Rai2 che non raggiungeva i 4 milioni e 100 mila spettatori della finale (21% di share) da tempo, mentre lei — la 25enne Suor Cristina Scuccia — per ora viene travolta da un mare di domande a cui non sa rispondere. «Adesso voglio tornare alle mie priorità che sono la preghiera e il servizio a scuola, fondamentali per me anche per poi affrontare impegni di diverso tipo in futuro». Sul suo futuro discografico, rimanda il discorso: «Discuterò tutto con i miei superiori perché non sono scelte che mi riguardano, ma l’evangelizzazione non esclude niente e se necessario andremo nelle piazze a portare il nostro messaggio. Tutti i ragazzi in gara sono stati bravissimi e non mi aspettavo di arrivare fino a questo punto. Quando farò un disco i miei testi parleranno di amore e di situazioni reali, con un linguaggio capace di arrivare a tutti».
Al momento della vittoria ha ringraziato «lassù» e ha invitato tutto lo studio — senza peraltro riuscire a coinvolgerlo — a recitare con lei un Padre Nostro: «Dio è il mio sposo, l’ho portato sul palco con la mia presenza. Dovevo ringraziarlo con una preghiera». Ribadisce: «Il futuro? Non lo conosco. Il contratto discografico? Saranno i miei superiori a prendere le decisioni. I soldi della vincita? Io ho fatto voto di povertà e non mi sto preoccupando di quest’aspetto». L’unica apertura, sempre condizionata da direttive del suo ordine (le Orsoline), arriva sulla possibilità di essere la protagonista di un tour mondiale organizzato da Universal. Con Conchita Wurst?