Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 07 Sabato calendario

UNO SGUARDO ALLA CECENIA DOPO L’ANNESSIONE DELLA CRIMEA


Due pesi e due misure?
 Desidero un suo parere relativamente al comportamento di Putin in materia di Crimea e Cecenia. Oggi lo «zar» dà la legittimità al referendum, se non addirittura ad una secessione armata della Crimea, ma la Cecenia che fu fatta a pezzi perché voleva l’indipendenza non aveva le stesse ragioni e, forse maggiori della Crimea? 

P. Giorgio Merlini

Caro Merlini,
Se avesse perseguito il suo obiettivo con coerenza e buon senso, la Cecenia sarebbe oggi, probabilmente, una Repubblica indipendente. Negli accordi negoziati dal generale russo Aleksander Lebed dopo la prima guerra cecena (1994-1996) era previsto che le truppe russe sarebbero state ritirate e che un referendum in Cecenia avrebbe permesso agli elettori di scegliere il futuro del loro Paese.
Non vi fu un referendum perché la Cecenia, anziché prepararsi all’indipendenza, divenne campo di battaglia tra fazioni rivali che si finanziavano con sequestri di persone, ricatti, contrabbando, traffici di droga. È stato calcolato che nel 1998, due anni dopo la fine della guerra, vi fossero nel Paese una decina di bande armate che si erano divise il territorio e le fonti di guadagno.
Vi furono elezioni presidenziali, ma il candidato sconfitto, Šamil Basaev, dopo avere brevemente collaborato con il vincitore, si dedicò alla creazione di un grande Stato islamista a Nord del Caucaso di cui la Cecenia sarebbe stata cuore e il cervello. Le ricordo, caro Merlini, che in quegli anni i talebani stavano conquistando l’Afghanistan e che bastava dare un’occhiata ai loro siti per constatare quali legami si stessero stringendo tra le milizie islamiche dei due Paesi. Mentre i talebani puntavano su Kabul, gli islamisti ceceni stavano penetrando nel vicino Daghestan ed estendevano la loro attività politico-criminale sino alla zona di Stavropol.
Quando la seconda guerra russo-cecena scoppiò, nel 1999, il primo ministro era, da breve tempo, Vladimir Putin e la decisione di reagire con le armi fu attribuita ai sanguinosi attentati che avevano colpito alcune città russe nelle settimane precedenti. Qualcuno sostenne che quegli attentati erano stati «costruiti» dai servizi russi per giustificare la guerra. Ma altri attentati ancora più sanguinosi negli anni seguenti, sino all’operazione della scuola di Beslan nel 2004, dimostrarono di quale pasta fossero i gruppi militanti di Basaev. La guerra fu combattuta con grande brutalità, suscitò indignazione in ambienti umanitari russi e stranieri, fu condannata da una giornalista, Anna Politkovskaja, assassinata a Mosca per le sue coraggiose campagne. Ma le potenze occidentali, pur senza ammetterlo pubblicamente, furono grate a Putin. Conservando la Repubblica autonoma di Cecenia nell’ambito della Federazione russa, Putin stava dando una mano, obiettivamente, alla politica di George W. Bush in Afghanistan.