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 2014  giugno 07 Sabato calendario

«CON LA SVOLTA BCE UN NUOVO PATTO BANCHE-IMPRESE»


«C’è poco da fare: o dalla crisi ne usciamo insieme, banche e imprese o non ne esce nessuno. Il taglio dei tassi? Un mossa attesa, giusta». Ma per l’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, è soprattutto un altro l’aspetto decisivo della scelta di Mario Draghi: «È chiaro che questi non sono tempi di miracoli, ma c’è una vera e propria svolta nella politica monetaria: si ammette che c’è un problema di crescita e in maniera forte si interviene. Una scelta coraggiosa, un bel segnale all’Europa. Adesso tocca ai governi fare la loro parte, approvare le riforme a lavorare per lo sviluppo».
Certo, ma a questo punto le banche non hanno più alibi nel concedere credito.
«Mi pare molto importante la decisione che i nuovi finanziamenti della Bce sarà possibile ottenerli soltanto se verranno indirizzati verso le imprese. Una mossa non solo tecnica, ma anche psicologica. E in questa fase le percezioni contano molto».
Qualche segnale si intravede, intanto...
«In cinque anni di crisi molto dura è accaduto che sul mercato siano rimaste le imprese più innovative, quelle che hanno saputo adattarsi al mondo nuovo. Negli ultimi due anni alcuni imprenditori hanno anche iniziato a rafforzare il patrimonio delle aziende. Stiamo assistendo ad una piccola inversione di tendenza, ma ancora non basta».
È anche vero che le banche hanno stretto i cordoni della borsa...
«Fare credito è stato molto difficile per ragioni regolamentari, di rischio di credito e di domanda. Le nuove regole di Basilea 3 (i requisiti patrimoniali più stringenti, ndr) hanno introdotto nuovi criteri più rigidi. Ma è sbagliato piangere sulle regole, ci sono e bisogna conviverci. La sfida oggi è comprendere e rispondere al meglio alla domanda delle imprese».
Risposta che qualche volta è troppo lenta…
«Guardi che in questi anni Unicredit ha fortemente ridotto i tempi di risposta: per i piccoli siamo ormai a quota 4-5 giorni, per le imprese medie a quota dieci giorni, per le grandi, che richiedono spesso più tempo di analisi e soluzioni più complesse, non si va oltre un mese, salvo casi urgenti. Abbiamo come obiettivo quello di scendere ancora. Essere più veloci nell’ascoltare. E nell’utilizzare meglio i miliardi di dati dei quali disponiamo. Un vero progetto big data, che vuol dire fornitura di servizi sempre più personalizzati per i nostri clienti».
E magari dire qualche no in meno…
«La domanda di credito in questi mesi sta dando qualche segnale positivo. Non in tutti i settori, ma qualcosa si muove. E la scelta di Draghi contribuirà a far crescere domanda e offerta di credito».
In un sistema che resta ancora troppo banco-centrico.
«Vero, ma le cose stanno cambiando. Dalle quotazioni in Borsa, al collocamento dei bond. Ci sono segnali di un sistema che sta, in parte, disintermediando il credito. Gli imprenditori cercano fonti alternative. Noi banche dobbiamo offrire servizi più ampi per restare protagoniste di un sistema che corre veloce».
Come Paypal che conquista quote di mercato nei pagamenti
«Appunto. Il mondo cambia e non possiamo rimanere passivi. Come Unicredit siamo ai primo posti per il collocamento di obbligazioni e per strumenti di capitale al servizio delle nostre imprese. Stiamo investendo sempre più in innovazione per essere vicini alle imprese anche con soluzioni nuove rispetto al passato. Penso alla tecnologia, molti la temono: in realtà abbiamo visto che l’uso di Internet e del mobile fa crescere le attività della banca. Da lì dobbiamo partire».
Eppure fino a qualche mese fa tra banche e imprese c’erano toni da battaglia….
«Il clima è cambiato. O ne usciamo insieme o la crescita non ripartirà per nessuno».
Se ne sono accorti gli investitori esteri, da Blackrock in poi, che tornano sull’Italia…
«Loro intravedono la ripresa. La nostra responsabilità è convincerli a rimanere. Serve un dialogo continuo con i fondi, molto attenti soprattutto alla governance delle imprese, oltre che ai numeri. È un momento molto importante per l’Italia perché l’attenzione degli investitori sta tornando. Non mi sembrano tanto interessati a entrare nei consigli, quanto a capire bene come una società lavora ed è gestita. Possono contribuire a migliorare la nostra struttura industriale e finanziaria di cui sono azionisti. Non bisogna perdere quest’occasione».
Perche?
«Una visione esterna serve a crescere e ad evitare gli errori del passato».
Un nuovo patto con gli imprenditori …
«Li stiamo ascoltando più di prima. E abbiamo notato che più le filiali sono vicine alla clientela, più sono frequenti le visite alle imprese, più l’attività cresce. L’antico metodo di fare banca. Da gennaio con il piano FastCredit abbiamo inviato 50 mila lettere ai clienti ai quali abbiamo spiegato che ci sono linee di credito già approvate per loro. Forse qualche anno fa facevamo troppi mestieri e ci siamo distratti dal fare banca. Il rating da solo non basta, bisogna guardare in faccia gli imprenditori».
Ci sono anche molte crisi da gestire, come l’Ilva.
«Non si può andare avanti così. Ha bisogno di capitali nuovi. Se ci sono, allora ci saranno anche i finanziamenti necessari. Nell’acciaio resta un gruppo di livello europeo, nonostante tutto. Credo che i Riva dovranno fare la loro parte. Noi, come banche, a quel punto potremo esserci. Poi in una seconda fase sarà necessario un socio. Come Arcelor- Mittal, ad esempio. Il tempo stringe».
E Alitalia?
«I sacrifici sono pesanti, specialmente per dipendenti e banche. Comunque c’è un piano industriale serio e un socio forte per costruire una compagnia altrettanto forte. Non è un’operazione di sistema ma un’operazione che porterà Alitalia, finalmente, fuori dal sistema. Sul mercato».
Unipol-Fonsai. L’inchiesta sta aprendo molti scenari sul ruolo avuto dagli azionisti e dalla Consob. In una prima fase c’eravate anche voi…
«Per costume, non commento inchieste in corso. A mio parere è stata un’operazione di mercato e trasparente, l’unica possibile. Nel sistema c’era un’ anomalia, Fondiaria-Sai. Ora non c’è. Ho sempre pensato che fosse necessaria una soluzione definitiva. Unipol ha investito molto e mi pare che i risultati stiano andando oltre le attese».
Da Mps a Carige, volente o nolente le Fondazioni hanno dovuto fare un passo indietro…
«Da noi nel ’98 possedevano il 40% delle azioni, adesso sono a poco più dell’11% perché hanno avuto il merito di diluirsi per far crescere la banca. Un gesto di grande responsabilità e lungimiranza. Ora pare che nel sistema bancario si stia imponendo, gradualmente, il modello di public company»
Azionisti più leggeri e manager più potenti…
«Non la penso così. Occorrono azionisti di lungo periodo e per averli il management deve essere rispettoso della governance e portare risultati buoni e sostenibili. Solo così si evitano azionisti-corsari».
Dopo tanti anni si rivedono le privatizzazioni, le quotazioni in Piazza Affari
«Noi collocheremo tra il 25 e il 35% di Fineco. Ci saranno Poste, Fincantieri, altre realtà.. Finalmente il mercato si muove. E anche su questo la scelta di Draghi di giovedì si rivelerà importante».
Su Mediobanca si dice che il patto cambierà...
«Ci stanno lavorando. Credo che per fine giugno si potrà valutare il nuovo progetto. Avremo un patto più trasparente e più semplice, probabilmente senza i tre gruppi, A, B, e C di oggi».