Maria Latella, Il Messaggero 7/6/2014, 7 giugno 2014
«L’ARMONIA IL MIO MESTIERE»
[Intervista a Cristina Scocchia] –
Lei è un cervello rimpatriato.
«Sono contenta di fare la mia piccola parte».
Ci vuole coraggio a decidere di rientrare in Italia.
«Bisognerebbe offrire le condizioni per restare. Il rischio è attirare i giovani ricercatori o chi comunque è andato a lavorare all’estero e poi deludere le aspettative».
Cristina Scocchia, 40 anni, ligure di Sanremo, è ritornata in Italia, a Milano, nel gennaio scorso, dopo la nomina ad amministratore delegato di L’Oréal Italia. Prima viveva in Svizzera con il marito medico e il figlio di cinque anni. Sedute davanti a una scrivania, nella sede milanese dell’azienda, cominciamo a parlare di lei e finiamo col parlare di disoccupazione e di quello che L’Oréal ha in mente di realizzare proprio sul fronte della formazione scolastica e del lavoro per i giovani meno fortunati. Più che il programma di un’azienda che fa business sulla bellezza sembra il programma di un super-ministero mondiale. Ma Cristina Scocchia è convinta che d’ora in poi il business o sarà così o non sarà. Tenetela d’occhio, è una ligure tenace: partita con uno stage.
A suo figlio cosa insegna?
«E’ ancora piccolo, ma cerco di trasmettergli il senso del rispetto, l’importanza di assumere un impegno. Nella vita la fortuna conta, ma conta anche meritarsi quel che si ottiene».
Nel suo caso, ha pesato più il senso del dovere o il colpo di fortuna?
«Ho cominciato avendo una chance, uno stage in Procter. Ma per cavalcare quel colpo di fortuna ho fatto qualche sacrificio. Per esempio passare il tempo in treno, su e giù tra Roma e Milano. A Roma avevo il lavoro, prima lo stage e poi una vera assunzione in Procter. A Milano studiavo, economia alla Bocconi. Sentivo che mi stavano offrendo un’occasione importante e ho cercato di non lasciarla sfuggire. Le cose si costruiscono col tempo. E’ difficile ottenerle nel breve periodo».
Lei non ci ha messo molto. A 40 anni ad di L’Oréal. Come si forma una leader?
«Mi lasci prima spiegare che cosa è la leadership per un’azienda come la nostra che è leader nel mondo ma non solo per il fatturato: ritiene di dover restituire alla collettività parte di quel che riceve. Per noi un leader è qualcuno che sa di dover tenere un comportamento socialmente responsabile e ci crede davvero. Io ci credo davvero. I manager devono essere capaci, determinati. Ma chi ha detto che per esserlo si debba pure sfoggiare cinismo, aggressività, disinteresse per chi è più debole di te?».
Essere greedy, avidi, interessati solo a fare soldi ormai è di moda solo tra i politici, in Italia e all’estero.
«Io credo che ci sia un gran bisogno di fiducia. E’ quello che chiede il consumatore quando, per esempio, sceglie un cosmetico. Controlla gli ingredienti ma vuole anche conoscere cos’è l’impegno concreto di quell’azienda. Guardi che non sto parlando da missionaria, sto parlando da donna di business. La sostenibilità non è solo giusta, è eticamente conveniente».
L’Oréal ha puntato per prima sulla formazione scientifica delle donne. Oggi è argomento di convegni, ma non era cosi dodici anni fa, quando è nato il vostro premio dedicato alle giovani scienziate.
«Col premio Donne e scienza abbiamo tenuto duro per 12 anni e abbiamo avuto ragione. Ma manterremo anche l’impegno di andare ad emissioni zero nell’azienda di Settimo Torinese. Non facciamo annunci, cerchiamo di essere concreti. E sarà l’azienda municipalizzata di Settimo Torinese a produrre energia verde. Lavorando insieme si rende il tutto economicamente vantaggioso».
Mi sta dicendo che servono esempi.
«Sì. Noi alla fine possiamo migliorare la vita di cinque ricercatrici in Italia. Ma premiando loro cerchiamo di creare un effetto valanga. Accedendo i riflettori su cinque, speriamo che tante altre dicano: "Se ce l’hanno fatta loro, perché non posso farcela io?"».
In un’intervista a questo giornale Veronica Lario, ex Berlusconi, ha rivendicato il diritto a invecchiare senza sentirsi proporre da un giornale una serie di interventi di chirurgia estetica. Lei vive in un mondo in cui la bellezza conta. Che ne pensa?
«La bellezza per noi è prendersi cura di se stessi, essere sicuri di sé. Non esiste un modella di bellezza. E c’è anche la bellezza dell’invecchiare. Se penso a Jane Fonda, penso che è bella proprio perché non nasconde i suoi anni. Li valorizza, ma ci convive. Fanno parte di quello che è come persona. Prendersi cura di se stessi significa valorizzare il sè presente piuttosto che la ricerca del sè di vent’anni. Se una persona si sente a suo agio ricorrendo a un lifting o a cure specifiche, ben venga la sua scelta. Se vuole convivere con le sue rughe, ben venga ugualmente. La bellezza è trovare la forza di non perdere l’autostima. Tutto ciò è più profondo di qualche ruga».
Poi ci sono i momenti in cui sentirsi belle, o almeno meno trascurate, diventa psicologicamente determinante.
«Uno di questi momenti coincide con la malattia. E anche in quei casi la bellezza può aiutare. Con L’Oréal sperimentiamo da tempo l’iniziativa "La forza e il sorriso", sessioni di trucco per le donne in cura oncologica. E’ un’iniezione di positività».
La stessa che, mi diceva, viene dal prendersi cura di una comunità.
«Abbiamo programmi ambiziosi. Da qui alla fine del 2020 vogliamo arrivare a due miliardi di consumatori, raddoppiare quelli che abbiamo ora. Ma vogliamo che succeda educando i consumatori a scelte rispettose dell’ambiente, il che significa usare il giusto quantitivo di prodotto, il giusto quantitativo di acqua. E vogliamo contribuire a migliorare la vita dei nostri collaboratori. Ci sono Paesi nel mondo in cui avere assistenza sanitaria e formazione non è banale».
La formazione significa avere accesso al mondo del lavoro. Vi occuperete anche dei disoccupati?
«L’obiettivo è ambizioso, gliel’ho detto: vogliamo dare lavoro nel mondo a centomila persone che provengano da situazioni di disagio.
In Italia, per esempio, lavorano per L’Oréal duemila persone: per il 2020 vogliamo dare ad altrettante persone un accesso al mondo del lavoro. Già collaboriamo con La piazza dei mestieri, l’iniziativa che da lavoro a giovani nati nella parte sbagliata della città la possibilità di finire gli studi e trovare una strada, un mestiere. Abbiamo rapporti con il gruppo romano di L’arte nel cuore e ora anche con la comunità di San Patrignano. Ti accorgi subito dell’effetto che ha avere un lavoro. La prima cosa che cambia in questi ragazzi è il rispetto: delle cose, delle persone. E anche di se stessi».