Roberto Perotti, Il Sole 24 Ore 7/6/2014, 7 giugno 2014
I NODI IRRISOLTI DEL SERVIZIO PUBBLICO
Qualche settimana fa, partecipai in collegamento dagli studi di Milano a una trasmissione televisiva Rai del mattino. Finita la trasmissione, aspettavo che mi si scollegasse il microfono per potermi alzare. Era un microfono a clip, identico a quello che si usa in tutti gli studi televisivi e nelle aule universitarie. Per staccarlo bastano letteralmente tre secondi. Tre dipendenti Rai parlavano fra loro a un passo da me senza muovere un dito. Poi ho capito: aspettavano l’intervento del microfonista. Ho staccato il microfono, ho salutato e me ne sono andato.
Un’indagine di Inflection Point condotta nel 2013 mostra che la percentuale di intervistati che ritengono i programmi della tv pubblica "molto buoni" in Italia è la più bassa (meno del 5%) fra tutti i 14 Paesi del campione. Ma questa è una misure "qualitativa", per quanto interessante. È possibile fare un’analisi più "quantitativa"? Come sempre, può aiutare un confronto con un’azienda simile in un altro Paese. La Bbc è un termine di paragone molto utile, perché è forse la televisione pubblica con la reputazione più solida in tutto il mondo: nella stessa indagine, la percentuale che ritiene i programmi della Bbc "molto buoni " è oltre il 30%, la più alta del campione.
La tabella 1 confronta le principali voci di bilancio per gli interi gruppi Rai e Bbc nel 2012. I valori sono in milioni di euro, usando un tasso di conversione che tiene conto delle differenze di potere d’acquisto. Le fonti e altri dati sono disponibili nell’ebook scaricabile gratuitamente dal sito www.lavoce.info.
Il gruppo Bbc è esattamente il doppio del gruppo Rai in termini di entrate totali, ma ha un costo del lavoro e un numero di dipendenti che sono superiori rispettivamente del 40 e 70%.
Tuttavia il confronto più interessante è nel numero e nella remunerazione dei dirigenti. La tabella 2 mostra il numero di dirigenti alle capogruppo di Rai e Bbc. La Bbc, con il 50% in più di occupati rispetto alla Rai, ha il 20% in meno di dirigenti. Ma il dato più significativo riguarda i giornalisti. Su un totale di 1.939 giornalisti, ben 324, un impressionante 17%, hanno la qualifica di dirigenti.
Anche un confronto della remunerazione dei dirigenti lascia pochi dubbi (tabella 3). Qui i dati Rai sono molto lacunosi, ma qualcosa si può ricostruire grazie al resoconto di una audizione del direttore generale Rai alla Commissione di Vigilanza del dicembre 2013 (il numero di dirigenti è leggermente diverso da quello risultante dal bilancio Rai del 2012).
La Bbc non ha stipendi sopra i 500mila euro e solo tre stipendi tra 400mila e 500mila euro. La Rai ne ha quattro e quattro, rispettivamente. Inoltre la Bbc ha una percentuale di stipendi inferiore a 100mila euro molto maggiore, e una percentuale di stipendi tra i 100mila e 200mila euro molto minore.
È interessante anche confrontare la remunerazione dei due direttori generali. Tony Hall guadagna 450mila sterline (492mila euro). Luigi Gubitosi guadagna 650mila euro. Si noti anche che il compenso del Dg della Bbc attuale è diminuito del 32% rispetto a quello del Dg precedente. Il compenso del Dg italiano invece è rimasto invariato.
La Rai è in perdita. La difesa della Rai è tipicamente imperniata su due argomenti: il canone Rai è tra i più bassi d’Europa, e negli ultimi anni c’è stato un crollo degli introiti pubblicitari. Entrambe le affermazioni sono vere. Ma questo non significa che la Rai abbia saputo fronteggiare questi problemi con la necessaria capacità. Dal picco del 2002 al 2012 i proventi pubblicitari sono diminuiti da 1.131 a 745 milioni di euro, il 35% in meno. Ma questa flessione ha riguardato tutti i media, a cominciare dalla carta stampata, che ha affrontato un durissimo processo di ristrutturazione.
Cosa ha fatto la Rai? Dal 2002 ad oggi il personale è aumentato. Il numero dei giornalisti è rimasto identico, nonostante le enormi trasformazioni della informazione e il costante declino di spettatori dei telegiornali.
Al contrario della Rai, la Bbc ha avuto la fortuna di vedere aumentare continuamente le risorse pubbliche e quelle commerciali. Tuttavia, l’andamento dell’occupazione totale è stato esattamente opposto a quello della Rai: è diminuita costantemente, del 22%. E nonostante il considerevole aumento delle risorse totali, il costo del lavoro è rimasto invariato in questi dieci anni in termini nominali, ed è quindi sceso in termini reali.
La Rai si è sempre rifiutata di rendere pubblici i compensi dei conduttori, degli artisti e dei propri giornalisti (e anche dei dirigenti, eccetto per la dichiarazione di Gubitosi nel dicembre del 2013, che abbiamo visto sopra). Le argomentazioni addotte sono essenzialmente due. Nessuna è convincente. Vediamole.
1) Pubblicare i compensi dei propri giornalisti e dei propri conduttori porrebbe la Rai in condizioni di svantaggio rispetto ai suoi concorrenti.
Nell’ambiente le remunerazioni dei conduttori sono ben note, e i loro agenti possono benissimo andare dai concorrenti per vedere se offrono di più.
Inoltre, la massimizzazione della competitività della Rai potrebbe non essere l’unico obiettivo dei suoi azionisti, cioè della collettività. Gli azionisti potrebbero anche voler imporre delle norme sociali, secondo le quali "nessun conduttore o giornalista può guadagnare più di xx euro". Esattamente la stessa logica si applica al tetto degli stipendi dei dirigenti pubblici. È probabile che esso abbia comportato la perdita di alcuni dirigenti capaci, che preferiscono il settore privato. Ma la collettività ha chiaramente mostrato di voler accettare questo rischio, pur di porre fine a certe situazioni ingiustificabili. Non si vede perché la Rai dovrebbe fare eccezione.
Ci sono inoltre parecchi modi per coniugare la difesa della competitività con una maggiore trasparenza. La Bbc pubblica i compensi e i nomi del senior management più importante, e i compensi di tutto il senior management per fasce di reddito di 5mila sterline. Inoltre, la Bbc pubblica anche le remunerazioni degli artisti e conduttori, per fasce di stipendio.
2) «Io però faccio guadagnare la mia azienda». Così rispondeva Fabio Fazio a Renato Brunetta a Che tempo che fa, il 13 ottobre 2013. Il fatto che un programma incassi in pubblicità più di quanto costi non significa che il compenso del suo conduttore sia "giustificato". L’argomento potrebbe essere facilmente capovolto: così come Fazio fa guadagnare alla Rai, la Rai fa guadagnare a Fazio 1,8 milioni (più 600mila euro di Sanremo) all’anno. Fazio non potrebbe certo guadagnare questa cifra in un’emittente locale. In altre parole, si tratta di un classico problema di bargaining: Fazio e la Rai insieme possono fare dei profitti, quindi entrambi hanno interesse a mettersi d’accordo. Come si debbano spartire il profitto dipende da tanti fattori, comprese ovviamente le offerte alternative che ha Fazio. Anche qui, l’azionista potrebbe voler imporre una condizione addizionale, cioè che l’azienda non possa dare al conduttore più di una certa cifra, o più di una certa percentuale dei profitti. In realtà, è chiaro che sarebbe possibile molta più trasparenza senza necessariamente mettere in pericolo la capacità dell’azienda di competere, come mostra l’esempio della Bbc. I motivi principali per la totale mancanza di trasparenza dell’azienda sono due. Primo, pubblicare i compensi di dirigenti e conduttori genererebbe una levata di scudi nella società civile, come è accaduto in occasione di alcune puntate di Sanremo. Secondo, trincerandosi dietro la scusa della concorrenza nel mercato dei talenti televisivi, i dirigenti possono tenere nascosti anche i propri stipendi.
roberto.perotti@unibocconi.it
Roberto Perotti, Il Sole 24 Ore 7/6/2014