Paolo g. Brera, la Repubblica 7/6/2014, 7 giugno 2014
QUELLE 605MILA RICHIESTE FATTE DAI NOSTRI GIUDICI E LE “ORECCHIE” STRANIERE
ROMA.
Nessuno più di noi: nell’ultimo anno dalle procure e dalle forze dell’ordine italiane sono piovute su Vodafone 605.601 richieste di dati e “metadati” sulle nostre utenze, senza contare le intercettazioni vere e proprie. Non abbiamo rivali, non ci sono magistrature e investigatori più curiosi in tutta Europa, anzi in tutti i 29 paesi del mondo in cui opera il gigante delle telecomunicazioni inglese. «Colpa della mafia», suggerisce il Guardian che ha rivelato il rapporto sulla trasparenza di Vodafone. Ma non è necessariamente una cattiva notizia: se ci limitiamo a chiamare numeri italiani abbiamo quantomeno una serie di garanzie giuridiche che passano attraverso la richiesta di un pm e l’autorizzazione di un gip. Il guaio è che a volte non lo facciamo, e neppure lo sappiamo.
Volete contattare Alitalia? Avete qualche guaio da risolvere con la stessa Vodafone? Probabilmente state parlando con un call center albanese, un paese che a differenza dell’Italia non permette agli operatori telefonici di fornire dettagli sulle richieste di dati telefonici. Molti call center “ italiani” e centri di stoccaggio dei nostri dati riservati sono in paesi come la Turchia: quasi certamente è uno di quelli in cui, denuncia il rapporto di Vodafone senza fare nomi, «le agenzie e i governi hanno accesso diretto ai dati immagazzinati nei network degli operatori telefonici». Lì si spia senza passare da alcun magistrato, senza avere nessuna autorizzazione e senza alcun controllo. Un grande fratello di cui non sapevi neppure l’esistenza saprà chi sei e ciò che hai comunicato.
Lungo le dorsali su cui corrono i dati, nei nodi dei paesi impiccioni di cui Vodafone non può fornire i nomi per il legittimo e inquietante timore di ritorsioni sui suoi operatori, i governi e i servizi segreti vanno a pesca di dati e informazioni con la rete a strascico. Gli operatori telefonici non possono nulla: è la legge, bellezza. Anzi, nel rapporto di Vodafone c’è più di un’esortazione per i governi ficcanaso ad «adeguare i loro servizi e le loro agenzie all’era di internet». Ma è un’esortazione, appunto.
In Italia, invece, tutto ciò «è impossibile». Anzi, lo è in tutta Europa, secondo il commissario per la Giustizia Viviane Reding: «Nella Ue deve essere un giudice ad autorizzare l’accesso ai dati personali dei cittadini, e questa regola si applica in tutti i paesi dell’Unione». Partiamo dai numeri: Vodafone Italia sottolinea che il nostro record non è così rilevante, perché «i dati sono stati raccolti in maniera molto diversa nei vari Paesi», in considerazione dei diversi sistemi e delle differenti normative. E va bene. Ma 605mila e rotti contro i “2” del Belgio e i “3” della Francia fai una certa qual fatica a spiegarli con sistemi e normative.
Ripartiamo dai numeri: di quelle 605mila «richieste di metadati », i cosiddetti “tabulati” (i dati riferibili a un’utenza che elencano numero chiamato o numero chiamante, ora della chiamata e durata della conversazione) sono 84mila. Occorre che un pm abbia ottenuto l’autorizzazione del Gip, e non ci sono scorciatoie né alternative. Le altre 521mila richieste sono invece “identificazioni anagrafiche”: richieste di attribuire un nome e cognome a un numero di telefono. In questo caso, la richiesta può arrivare direttamente da polizia, carabinieri, guardia di finanza... Le compagnie telefoniche concedono loro i codici per effettuare direttamente le verifiche. Resta da aggiungere la quota Vodafone, che nel suo rapporto l’azienda non ha scorporato, delle 140mila richieste di intercettazione effettuate lo scorso anno in Italia. I contenuti, non i dati: e anche qui serve l’autorizzazione del gip.
Paolo g. Brera, la Repubblica 7/6/2014