Francesco Merlo, la Repubblica 7/6/2014, 7 giugno 2014
LA SUORA CHE FA MIRACOLI IN NOME DEL PAPA ROCK
È nata una stella italiana più eversiva di Beppe Grillo, una “gospel” ragusana più spiazzante della Mina cremonese di quarant’anni fa, una star ingenua e ambiziosissima che sembra inventata da Papa Francesco per trasformare piazza San Pietro nella nuova Woodstock.
Suor Cristina che, dopo tanti anni di suoni importati, è il primo fenomeno musicale italiano immediatamente esportato, ha conquistato infatti il pubblico giovane e scontento che tutti i Grillo e i J-Ax d’Italia vorrebbero sedurre, non i “papa boys” ma i ragazzi incazzati, i senza lavoro “choosy” e “bamboccioni” che, evitando accuratamente Santoro e i suoi famigli, annegano nei “talent” e hanno premiato con il televoto la sola monaca che, nel povero rock nazionale, non è fatta dall’abito.
Cristina non è l’ennesima scimmiottatura di Madonna e di Lady Gaga che trasgrediscono indossando la tonaca di un’orsolina, classico della profanazione sexy che accende i sensi dei vecchi snervati, un numerino di Burlesque nel quale ad Arcore eccelleva la Minetti. E non è neppure la nostra Whoopi Goldberg, l’attrice nera che nel film “Sister Act”, inseguita da un boss si nasconde in un convento e, travestita appunto da suora — suor Maria Claretta — , dirige un coro che piace e commuove tutti, anche il Pontefice.
Al contrario, suor Cristina è vera. Anzi, nello show di Raidue, clone povero e “b side” di quell’X Factor scippato due anni fa da Sky alla Rai, suor Cristina era la sola verità in un mondo di falsi. E così, forse malgrado loro, o forse perché il codice di Raidue non prevede la sporcizia della vita, J-Ax, Piero Pelù e Noemi sembravano diavoli per finta, parodie degli intossicatori di anime. E si capisce che per qualche settimana abbiano sognato di essere autenticati come zolfo puro da quell’intrusione di Dio. E invece è stata lei, la suora timida e minuta, sorridente e felice, a ridare al rock le vertigini attraverso il fascino insolito dell’eversione cattolica: «Nessuno, nessuno, nessuno / può ostacolare quello che provo / Nessuno, nessuno, nessuno / può ostacolare quello che provo per te». Ecco, questa sua interpretazione diciamo così “luminosa” di No One di Alicia Keys, e in un inglese raro tra i nostri cantanti che pure suonano solo suoni già suonati dagli inglesi, e con il primo piano di quelle scarpe nere da prete povero da far invidia a Bergoglio, insomma questo suo “soul” ha superato i 51 milioni di visualizzazioni su YouTube e il suo nome, insieme a quello di Obama e di Papa Francesco, è il più cliccato su Google.
E ha cantato pure “Beautiful that way”, la canzone di Nicola Piovani e Noa, tratta dal film di Roberto Benigni, facendoci credere che davvero quel brano era stato scritto in grazia di Dio: «Smile without a reason why / love, as if you were a child / smile, no matter what they tell you / don’t listen to a word they say.
Sorridi, senza una ragione / ama, come fossi un bambino / sorridi, non importa quel che ti dicono / non ascoltare una sola parola / perché la vita è bella così». E nonostante la stupidità di accompagnarla con una claque di vecchie suore che saltavano e battevano i pugni nell’aria e che cercavano di ridurla a fenomeno, a mostro televisivo come quelli esibiti da Chiambretti, dalla D’Urso, dalla Perego, da quasi tutti i talk show, da “Quelli che il calcio” e magnificamente ripresi da “Blob”, mai nelle sue scelte suor Cristina ha corso il rischio del ridicolo perché la sua idea di trasportare il rock nel cielo della metafisica e delle virtù teologali è rischiosa ma è legittima e forte. È stato invece decisamente velleitario e persino un po’ patetico sperare che i rockettari intonassero con lei il Padre Nostro finale. Va bene l’interpretazione cattolica, e va bene pure immaginare che gli eccitanti peccati vengano cantati come virtuosi fioretti, ma la competizione tra Vasco Rossi e il Papa è troppo ambiziosa e difficile e nessuno scommetterebbe sulla rinascita e sulla redenzione della canzone, sulle suore che sostituiranno quei fetentoni sboccati dei Rolling Stones e dei Pink Floyd. E però è sempre meglio provare ad appropriarsi della musica che scimmiottare i Led Zeppelin affidando “Stairway to heaven” a Piero Pelù.
Il punto è che tutti abbiamo capito che la suora pop non è un prodotto di laboratorio discografico. E che forse la Chiesa di Bergoglio, la Chiesa che Bergoglio sta liberando, potrebbe riuscire in qualche misura comunque imprevedibile ad entrare in competizione con la musica che eccita i giovani, con il vero rock che esalta il sesso, la rivoluzione e la violenza. Insomma, Cristina Scuccia non è il rock travestito da suora, ma è la suora che ha svestito il rock restituendogli un po’ delle audaci delle origini. Di sicuro gli ha tolto la scimunitaggine del finto maledettismo italiano, dissipato per posa, e ha contrapposto all’ombelico scoperto, agli occhiali da sole in piena notte, alla volgarità dei petti tatuati e agli strilli sgraziati — «Baby baby baby…, io sto rock! Auuuuuhh! » — una bella voce, che, tanto per cominciare, nel paese dei cantanti stonati è subito pericolosa e rivoluzionaria, non conventuale e da canto gregoriano ma morbida e allegra, uno swing malleabile, un miracolo della natura in una trasmissione dove la veneranda Raffaella Carrà, con il suo ostinato giovanilismo da sala trucco, era la meno truccata di tutti.
“’Mmazza, a suora” direbbe Albertone davanti allo share del 21 per cento e all’audience di Cristina che un miracolo l’ha comunque fatto: ha salvato una Rai che da anni non scopre talenti ma ricicla solo vecchi artisti. E audience è un strana parola traducibile con mille parole imprecise tra le quali c’è pure evangelizzazione. È infatti evidente che la suora rock, come le messe pop di moda in Brasile, o ancora la sovrapposizione tra la faccia di Che Guevara e quella di Gesù Cristo che qualche anno fa fu tentata dalla chiesa anglicana, intendono l’audience appunto come evangelizzazione o se preferite reclutamento che è il problema dei problemi di una Chiesa senza sacerdoti e senza suore, senza vocazioni. La sfida di suor Cristina, la sua “evangelizzazione spericolata” comincia ora e sarà di lunga durata: vedremo se i pargoli andranno a Lui a ritmo di rap, di pop e di rock. Di una cosa siamo comunque sicuri. Adesso che hanno capito che la suora è una spezie sufficientemente piccante i programmisti della rai aumenteranno la dose. Già ieri sera Raiuno ha riproposto “Sister Act”. Speriamo che suor Cristina sappia difendersi dai quiz a premi e non finisca a presentare o a cantare a Sanremo, che è il sepolcro della canzone.
Francesco Merlo, la Repubblica 7/6/2014