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 2014  giugno 07 Sabato calendario

ROMA —

Qualcuno dorme in macchina. Altri arrivano con il buio e gli occhi impastati dal sonno. Nella speranza che la fila non sia già troppo lunga. Scene che da qualche tempo si ripetono a Roma, nelle ore antelucane di ogni lunedì e ogni giovedì, in viale della Civiltà del lavoro, nel quartiere dell’Eur. Lì ci sono gli uffici del nono Dipartimento comunale, dove chi deve fare un aggiornamento catastale può consultare i vecchi progetti. Accolgono trenta pratiche al giorno. Quindi la trentunesima, anche se arrivata all’alba, deve fare dietrofront. Barbarico.
Ma in una città normale ci si potrebbe prenotare via internet, evitando almeno l’assalto notturno. E in una città normale il deposito di quei documenti consultabili dal pubblico non si troverebbe a 30 chilometri di distanza, come quelli che separano Roma da Pomezia: che significa settimane e settimane di attesa. In una città normale, appunto. Cosa che la nostra capitale oggi non è.
Se si eccettuano Poste e Ferrovie, il Comune di Roma è la più grande azienda italiana. Paga circa 63 mila stipendi. I dipendenti comunali sono 26.207. Quelli a tempo indeterminato, 24.277: di cui 16.307 donne, più dei due terzi. A questi vanno sommati i 37 mila delle partecipate, un delirio di un centinaio di società. Per un costo del lavoro complessivo di due miliardi e mezzo l’anno. Parliamo di un numero di dipendenti più che doppio rispetto a quello degli operai Fiat in Italia. Senza che però a tali imponenti dimensioni corrisponda una qualità dei servizi altrettanto imponente. Dalla pulizia delle strade fino ai piani alti del Campidoglio. Come ha potuto toccare con mano anche il nuovo sindaco.
Quando un anno fa ha preso possesso del palazzo Senatorio, Ignazio Marino ha scoperto l’esistenza di un ufficio per le relazioni internazionali composto da ben 27 persone, dove però a quanto pare il rapporto con le lingue straniere non si può definire particolarmente familiare.
Altrove la cosa si risolverebbe con il buonsenso, e senza licenziare nessuno. Non qui. Chi si lamenta del fatto che la pubblica amministrazione sia diventata prigioniera dei sindacati dovrebbe fare un giro da queste parti. Tre anni fa l’Ama, la municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti con bilanci da brivido, aveva siglato un accordo che riconosceva il premio di produttività a chi si fosse presentato al lavoro almeno metà del tempo e non avesse subito nell’anno più di cinque giorni di sospensione disciplinare.
I vigili urbani, in prima linea nella difesa del famoso «salario accessorio» che ha scatenato lo sciopero di ieri, protestano perché sotto organico. Peccato che di 6 mila, questo è il loro numero, ce ne siano per strada nemmeno mille nell’arco delle 24 ore. Trecento per turno. E gli altri? Negli uffici, o a consegnare atti e contravvenzioni che si potrebbero notificare via internet: ma in quel caso non incasserebbero la provvigione prevista. Salario accessorio anche questo? Il Tesoro aveva già contestato nel 1998 quella parte dello stipendio, chiedendo che fosse erogata solo a fronte di mansioni supplementari effettive. Per ben 16 anni hanno fatto orecchie da mercante: nel frattempo quel benedetto «salario accessorio» si è ingigantito fino un’ottantina di milioni l’anno. Può forse non avere diritto all’indennità di sportello chi ha l’incarico di stare allo sportello? Mentre ai 23 avvocati dell’ufficio legale spetta un bonus sugli onorari per le cause vinte, analogamente a quanto accade all’Inps. Il che ha comportato per ciascuno nel 2012 incassi accessori oscillanti fra 160 e 200 mila euro, capaci di spingere qualche retribuzione a 321 mila euro.
Crescevano i salari e gli organici. Nei cinque anni prima di Marino le municipalizzate hanno assunto almeno tremila persone: non sempre funzionali alla missione aziendale. Alla fine del 2012 Ama, Atac e Acea avevano in carico 31.338 persone, senza strade più pulite, trasporti migliori, forniture più efficienti. E nel febbraio del 2010, con Gianni Alemanno in sella da un paio d’anni, il Comune ha bandito un concorsone per ingaggiare altre 1.995 persone. Mai assunte. Fra queste, anche 300 vigili urbani, con un esito sconcertante: la prima commissione d’esame è stata revocata per presunte gravi irregolarità. Il suo ex presidente era l’ex capo della polizia municipale Angelo Giuliani, finito in seguito agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta sugli appalti per la rimozione dal manto stradale dei detriti degli incidenti.
Questo Comune è un’azienda talmente grande da offrire occasioni a ogni figura professionale. Non solo vigili, mezze maniche, spazzini, elettricisti, ingegneri… Ci sono educatori che educano. Dietisti che studiano le diete. E camminatori che camminano. Portano le carte da un ufficio all’altro. Tanti uffici, tanti camminatori: sono un centinaio. Le strutture burocratiche del Comune si sono moltiplicate e ramificate al punto che negli anni si è ritenuto anche indispensabile affittare dai privati un gran numero di locali. Con esborsi inconcepibili, alla luce del volume di proprietà del Campidoglio: si tratta di 59.466 beni, fra cui ben 16.413 immobili commerciali.
Per i canoni passivi il Comune sborsa 74 milioni l’anno. Con punte inarrivabili, come i 15,6 milioni versati all’immobiliarista Sergio Scarpellini. O i 10 pagati ogni anno a Francesca Armellini. Figlia del costruttore Renato Armellini, è la sorella di Angiola Armellini, la proprietaria di 1.243 appartamenti su cui, dicono i finanzieri, non pagava l’Imu. Ben 1.042 dei quali, guarda caso, affittati proprio al Comune di Roma. Dove gli uffici competenti non si erano accorti di niente… Alla faccia del salario accessorio.