Matteo Meneghello, Il Sole 24 Ore 6/6/2014, 6 giugno 2014
QUEL RISCHIO DI DEFAULT NON ANCORA SCONGIURATO
Un uomo sempre più solo, abbandonato dal Governo e dalle banche, osteggiato da Federacciai e soprattutto dai Riva, che fin dall’inizio hanno vissuto come una sorta di tradimento la sua scelta di accettare l’incarico di commissario, loro che l’avevano scelto poche settimane prima come amministratore delegato. Più che le ragioni di natura industriale, secondo alcuni osservatori, i fattori che hanno portato all’interruzione del mandato di Enrico Bondi sarebbero stati l’eccessiva indipendenza, e la volontà di recitare fino in fondo il ruolo da pubblico ufficiale richiesto dalla legge salva-Ilva.
La difficile situazione di mercato e la contemporanea necessità di proseguire nel piano ambientale hanno fatto da detonatore a una situazione già incandescente. Il muro contro muro con i Riva – evidente fin dall’inizio anche in alcuni gesti pubblici di Bondi, come il ricorso per risarcimento danni nei confronti della famiglia – è sfociato in un braccio di ferro che ha inciso in maniera determinante sulle possibilità dell’llva di ricapitalizzare. Fonti in ambito bancario fanno notare che due delle principali banche esposte con Ilva, Intesa Sanpaolo e Banco Popolare, sono rispettivamente l’istituto che custodisce il patrimonio della famiglia e la principale banca che supporta, al nord, le attività di Riva forni elettrici. Di fronte alla chiusura delle linee di credito, Bondi è stato costretto a destoccare il magazzino a prezzi bassi per potere generare cassa sufficiente a sostenere l’attività. Gli impianti sono ancora in emergenza: oggi l’azienda viaggia con un battente di 19mila tonnellate al giorno, mai oltre le 22mila. Il presidente di Federacciai Antonio Gozzi, protagonista nei giorni scorsi di un forte atto d’accusa nei confronti della gestione commissariale, ha dichiarato che «Ilva perde dai 60 ai 70 milioni al mese». Secondo altri il rosso mensile si aggirerebbe intorno ai 35-40 milioni. Comunque sia, è una situazione che, senza iniezioni di capitale, rischia di portare l’azienda al default. Il commissario è stato nominato con Enrico Letta premier e Flavio Zanonato al Mise, con l’ex premier Mario Monti in una posizione ancora influente. Bondi ha retto la barra finchè ha potuto, adottando scelte discutibili – il piano industriale impostato sul preridotto è stato giudicato negativamente dall’intera comunità siderurgica italiana ed eccessivamente dipendente da un prezzo del gas –, ma in linea con il mandato della legge, legato a determinati obiettivi ambientali (sovradimensionati rispetto agli standard europei) e di salvaguardia occupazionale. La nuova gestione sarà chiamata a realizzare un nuovo piano e a cercare quel consenso con banche e famiglia Riva che Bondi non ha mai trovato, lavorando in prospettiva alla definizione di un nuovo azionariato (alla finestra ArcelorMittal e, in secondo piano, Marcegaglia e Arvedi) che minaccia di sconvolgere, in questo settore, la geografia impiantistica italiana. Resta da capire se i vincoli occupazionali (da più parti si ventila la necessità di una razionalizzazione) e ambientali saranno gli stessi previsti dall’attuale legge. Per chiunque arrivi ora alla guida dell’Ilva si tratta comunque di una corsa contro il tempo, viste le difficoltà economiche e patrimoniali della società: il rischio di un default o di un approdo all’amministrazione straordinaria resta ancora concreto.
Matteo Meneghello, Il Sole 24 Ore 6/6/2014