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 2014  giugno 06 Venerdì calendario

LE SPESE PAZZE DEL CONSORZIO


VENEZIA.
È la sceneggiatura di un film sul parricidio nella quale il regista Carlo Mazzacurati sarebbe già totalmente immerso, un affresco sull’Italia lacerata di questi anni, la rappresentazione omerico sciasciana di tanti proci-quaquaraquà che invece delle spade sguainano le fauci mai sazie di regalìe e denari.
Il grande elemosiniere, il dispensatore di mance, il conoscitore di tutte le debolezze umane, l’ingegnere che seduceva a suon di mazzette alti giudici della Corte dei conti, generali della Guardia di Finanza e una sfilza di magistrati alle Acque - i savi della Repubblica Serenissima, un ruolo riservato a un’élite di scienziati idraulici - era l’ingegner Giovanni Mazzacurati, corruttore e padre del cineasta, il protagonista naturale di un lungometraggio sul corpo a corpo tra genitori e figli.
Primo ciak: Venezia, le stanze ovattate del Consorzio, tra soffitti a cassettoni, tende di broccato e monumentali lampadari di Murano. La voce narrante potrebbe essere quella di Piergiorgio Baita, ingegnere ed ex presidente di Mantovani, inquisito, arrestato e condannato per frode fiscale, ormai fuori dai giochi. Baita è un veneziano purosangue che muove i primi passi con Mazzacurati, ingegnere di origine pisana, alla Furlanis di Padova, grandi opere in tutto il mondo. Mazzacurati, come tutti i giovani di belle speranze, scalpita. E si accasa al Consorzio, allora una creatura dell’Italstat, la società per le infrastrutture del gruppo Iri. Nell’86 al vertice del Consorzio arriva Luigi Zanda (ci rimarrà fino al 95), attuale senatore del Pd e figlio del capo della Polizia Efisio Zanda Loy, cui seguiranno l’ex sindaco di Roma Franco Carraro, l’economista Paolo Savona e il mastelliano Mauro Fabris. Quelli di Zanda sono gli anni della legge speciale e delle prime, timide ipotesi sulla ciclopica opera delle dighe mobili alle bocche di porto. Il Consorzio già allora si costituisce come un corpo separato dai soci, tutti costruttori.
Passa la regola che delle cifre girate dallo Stato per i lavori di salvaguardia il 12% rimanga nella disponibilità della tecnostruttura, che a quei tempi è poco cosa, ma via via prende le forme di una grande società pubblica con 270 dipendenti, compresi quelli della controllata Thetis, una parte cospicua dei quali dirigenti con una retribuzione media di 230mila euro l’anno. Se il Consorzio è la camera di compensazione tra i grandi lavori e la politica, va da sé che i dipendenti siano reclutati in base al calibro politico di chi propone la candidatura.
Pure la provvista del 12% si gonfia col passare degli anni. Finché lo Stato trasferisce 70 milioni all’anno è un conto, ma quando il malloppo inviato da Roma è di 600 milioni il ragionamento si fa più complesso. Che fine fanno quei soldi? Una parte cospicua finisce alla voce spese di rappresentanza. In occasione del festival del cinema di Venezia i dipendenti di Thetis e l’ufficio di pubbliche relazioni di Campo Santo Stefano - il quartier generale poi si è trasferito all’Arsenale - si trasformano in un’agenzia di viaggi.
Il Consorzio ha tanti amici: politici, alti funzionari dello Stato, giornalisti. Tutti si affannano a reclamare motoscafo con autista a Tessera o a Piazzale Roma e due o tre giorni di soggiorno spesato all’Excelsior o al Des Bains del Lido, luoghi languidi solo nella memoria manniana di Morte a Venezia.
Dal 1995 in avanti il grande cerimoniere del Consorzio è stato l’ex critico d’arte del quotidiano il Manifesto Franco Miracco, dal 2005 al 2010 a Palazzo Balbi come portavoce del governatore Giancarlo Galan. Ed è proprio Galan, incalzato dal direttore del Piccolo di Trieste Paolo-Possamai nel libro-intervista "Il Nordest sono io", che teorizza ruolo e funzione di questa Iri veneziana. Dice: «Il Consorzio ha uno specifico regime di legge, sostenuto in modo del tutto trasversale. La salvaguardia di Venezia, nella forma più celere possibile, è stata ritenuta priorità assoluta. Il concessionario unico dei lavori risponde a questo obiettivo irrinunciabile. Tesi che trovo addirittura ovvia».
Tutto ovvio. Il luna park a ufo della mostra del Cinema, le consulenze, le sponsorizzazioni ai politici dell’intero arco costituzionale, i viaggi-studio all’estero dei dirigenti del Consorzio e i loro gentili ospiti, ai quali non disdegnavano di unirsi i magistrati alle acque, figura mitologica derubricata alla voce "pagamento episodico ma regolare" sotto la quale Mazzacurati vergava i 200 mila euro ogni sei mesi che per oltre una decina d’anni travasava nei conti correnti di Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanni Piva.
Quando per Cuccioletta si spalancano le porte della pensione, rifiutata con ogni mezzo, Mazzacurati lo rabbonisce con una buona uscita di 500 mila euro e la promessa per lui e i componenti del nucleo familiare (la figlia Flavia era già stata assunta a Thetis) «di voli con aerei privati, alloggi e pranzi in hotel e ristoranti di lusso a Venezia, Cortina d’Ampezzo e altre località». Ovvio, per dirla galanianamente, che i soci mugugnassero. E quando nel 2003 Mantovani subentra a Impregilo versando 78 milioni, l’ingegner Baita chiede conto degli stratosferici extracosti. È il consenso, bellezza! è la risposta implicita di Mazzacurati.
La sceneggiatura scritta dai magistrati, 711 pagine, si infittisce a ogni capitolo di storie, personaggi, rivelazioni, colpi di scena. Per rimanere al Consorzio, resta la domanda delle domande: che ne sarà della tecnostruttura irizzata quando i lavori delle dighe mobili saranno completati? Mauro Fabris da Camisano vicentino, democristiano purosangue, ex deputato dell’Udeur e attuale presidente si sta alambiccando per traghettare il Consorzio verso i lidi paciosi di una società pubblica.
Magari con doppia sede, a Roma e Venezia, magari con stipendi adeguati al costo della vita, magari senza i turbamenti delle acque alte e delle dighe basculanti. Sarebbe una fine onorevole, all’asciutto, il meritato epilogo di chi ha sconfitto i marosi della laguna armato solo di stivali e mazzette.
mariano.maugeri@ilsole24ore.com

Mariano Maugeri, Il Sole 24 Ore 6/6/2014