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 2014  giugno 06 Venerdì calendario

LA STRATEGIA DOLCE DI DRAGHI


Come si combatte il rischio deflazione in una situazione di trappola della liquidità? Tutti si aspettavano la risposta di Draghi, che è arrivata: nessuna rivoluzione, ma una evoluzione della politica monetaria espansiva della Banca centrale europea (Bce) basata su due mosse convergenti: la struttura dei tassi di interesse ed il disegno dei meccanismi di finanziamento devono incentivare le banche ad aumentare il credito all’economia. Ovvero: combattere la trappola della liquidità e segnalare che si è determinati a contrastare le ragioni monetarie - se ci sono - di una disinflazione prolungata.
Per dare un segnale sul tono della politica monetaria Mario Draghi poteva agire su tre leve: gli obiettivi, gli strumenti convenzionali e quelli non convenzionali. Su ciascuna leva la Bce poteva assumere una posizione tra due estremi: radicale ovvero conservatrice.
Riguardo agli obiettivi inflazionistici, la posizione radicale implicava una revisione verso l’alto del bersaglio della politica monetaria nel medio- lungo periodo: la Bce avrebbe dovuto annunziare che l’obiettivo in termini di tasso di inflazione sarebbe passato dall’attuale due per cento al tre o al quattro per cento, per un periodo di tempo indeterminato. Ovvero, la Bce avrebbe dovuto annunziare che l’obiettivo sarebbe divenuto il livello dei prezzi, uguale a quello esistente prima della attuale fase disinflazionistica, il che avrebbe implicato comunque un aumento del tasso di inflazione bersaglio, per il tempo necessario a centrale il livello dei prezzi desiderato. La Bce ha mantenuto la sua posizione conservatrice: viene confermato l’attuale obiettivo di una inflazione minore, ma vicina, al due per cento.
Passando agli strumenti, e partendo da quelli convenzionali, cioè legati ai tassi di interesse, la posizione radicale implicava una azzeramento dei tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento a favore delle banche, ed al contempo tassi di interesse negativi - quindi una tassa - sui depositi che le banche scelgono di detenere presso la Bce. La posizione conservatrice avrebbe coinciso con il mantenere invariata la struttura dei tassi di interesse controllati dalla banca centrale. I dati che hanno confermato lo scivolamento del tasso di inflazione hanno fatto escludere la posizione conservatrice, per cui la Bce ha di fatto assunto la posizione radicale, che ha però un valore essenzialmente segnaletico, quando i tassi si schiacciano a zero ed il sistema continua ad essere in trappola della liquidità.
Il perdurare della trappola della liquidità è ancora il nodo più grosso che la Bce si trova a dover sciogliere: ancora oggi, chi non ha liquidità - sia banca o impresa - continua a cercarla; chi ce l’ha, non la cede. I dati sulla base monetaria parlano chiaro: quando la Crisi è iniziata, la domanda di base monetaria da parte della banche era altissima, ed il mercato interbancario era paralizzato, ovvero con tassi in tensione. La Bce si è sostituita al mercato interbancario, la fame di liquidità delle banche è stata soddisfatta, ma le banche hanno aumentato le loro riserve; lo stesso hanno fatto le imprese non razionate, tendenzialmente le medio-grandi. A partire dal 2012, la domanda di base monetaria da parte delle banche si è attenuata, come ha dimostra la maggiore regolarità di funzionamento del mercato interbancario, per di più a tassi calanti. Ma il sistema bancario, ricostruito un profilo di liquidità soddisfacente, ha continuato ad essere restio ad erogare credito commerciale a imprese e famiglie. I tassi più bassi alle banche non interessano; anzi, sono una cattiva notizia, schiacciando ulteriormente i già ridotti margini di interesse.
Allora la Bce ha dovuto rivolgersi gli strumenti non convenzionali, variando la dimensione e la rischiosità del suo bilancio, con l’obiettivo di influenzare la liquidità prodotta dalle banche. La posizione radicale avrebbe significato avviare un programma di operazioni sul mercato dei titoli di stato di Paesi dell’Unione, con effetti sia sull’ammontare della moneta creata dalla Bce che sui prezzi di tali titoli. Ovvero avviare operazioni di mercato aperto sul mercato dei titoli di stato ad alta qualità (tripla A) di Paesi fuori dall’Unione, quindi con un maggiore effetto anche sul mercato dei cambi. Oppure ancora le operazioni di mercato aperto potrebbero essere effettuate acquistando direttamente titoli emessi dal settore privato. Questa è una opzione che ieri ha fatto qualche passo in avanti. In concreto finora la Bce ha assunto però una posizione meno estrema, continuando a lavorare sulle variazioni della moneta emessa dalla Bce su scelte delle banche, che possono però essere influenzate dalle regole di rifinanziamento.
Qui la Bce ha riservato le maggiori novità, disegnando dei crediti a lungo termine condizionati alla destinazione dei fondi erogati al credito commerciale a favore di imprese e famiglie. Allo stesso tempo, la Bce ha continuato con l’arma degli annunzi, che hanno riguardato sia la durata che le modalità del nuovo orientamento, ulteriormente espansivo.
Quindi una svolta, ma dolce. Perché? La ragione è nella perdurante incertezza sulla reale diagnosi riguardo le cause del rischio deflazione. Il rischio deflazione può avere due radici diverse. Da un lato, i prezzi possono scendere perché gli operatori pensano che i prezzi di domani saranno minori dei prezzi di oggi; si crea un deficit di domanda per una speranza di guadagno (aspettative disinflazionistiche). All’opposto, i prezzi possono scendere perché gli operatori pensano che la crescita di domani sarà minore di quella oggi, per ragioni strutturali (squilibri demografici, obsolescenza tecnologica e/o istituzionale, rigidità e scarsa concorrenza sui mercati); il deficit di domanda è figlio di una paura di perdite (aspettative recessive).
Nel primo caso, la posizione della Bce dovrebbe essere senza indugio radicale, su obiettivi e strumenti. Se invece le aspettative sono recessive, la posizione radicale non solo è inutile, ma è addirittura controproducente. Infatti una posizione radicale non ha effetti sulle cause della disinflazione e del ristagno, ma è solo una ulteriore conferma della natura strutturale dei problemi, rinforzando il pessimismo disinflazionistico. Nell’incertezza, il dosaggio del tono della politica monetaria finisce per essere cauto. Inoltre, mai dimenticare che il tono prudente può anche essere consigliato da equilibri geo-politici (falchi contro colombe); ci può stare, purché l’opportunità politica non sia la vera ragione. Sarebbe un grave errore, oltre che una negazione della ragione d’essere di avere una Bce indipendente.

Donato Masciandaro, Il Sole 24 Ore 6/6/2014