Maria Novella De Luca, la Repubblica 6/6/2014, 6 giugno 2014
Tags : Demografia Reggio Emilia
LA CITTÀ DEI BAMBINI
Reggio Emilia
«Quando è nata Viola, la mia prima figlia, ho scelto di tornare qui, dove ero cresciuta. Stessi nidi, stesse scuole, stesso mondo a misura di bambino. E di certo poter contare su una vera rete di sostegni mi ha aiutato a diventare madre per la seconda volta, ed è arrivato Jacopo, che oggi ha 18 mesi...». Laura Pedroni è una ex bambina degli “asili più belli del mondo”, gli asili di Reggio Emilia, luoghi di architetture luminose e salda pedagogia, cuore e fulcro di una città dove la demografia ancora tiene e i figli continuano a nascere. Echi di un baby boom che fino al 2011 ha fatto impetuosamente crescere la popolazione 0-6 anni, grazie ad una forte immigrazione residente, ma anche, dice Claudia Giudici, che presiede l’istituzione “Scuole e nidi d’infanzia” del comune di Reggio, «grazie a molte coppie italiane che hanno continuato non solo ad avere figli, ma anche ad averne due o tre». Piccoli e piccolissimi che nel giardino profumato di tigli del “Gianni Rodari”, uno dei tanti nidi di Reggio, giocano negli atelier della luce, tra spazi trasparenti dove ogni oggetto compreso il cibo è una esperienza delle mani, degli occhi, dei sensi. E cioè i “cento linguaggi del bambino” su cui si basa la filosofia di questi luoghi unici, a volte incantati. L’Italia è sull’orlo di una catastrofe demografica, hanno scritto i ricercatori nell’ultimo rapporto Istat. E allora è utile tornare in una città simbolo del welfare, ma anche studiata in tutto il mondo per i suoi modelli educativi, il famoso “Reggio approach” avveniristicamente pensato dal pedagogista Loris Malaguzzi negli anni Sessanta, per dare i giusti contorni alla crisi della natalità. Perché oggi in cima alle (magre) classifiche delle culle meno vuote, ci sono soltanto regioni dove i servizi tengono e la disoccupazione è un po’ meno amara che altrove. I dati sono chiari: al primo posto c’è Bolzano, il cui tasso di fecondità è di 1,67 figli per donna, poi Reggio Emilia, con 1,63, e Trento, 1,60. Contro il tasso nazionale dell’1,42. Numeri complessi che raccontano quanto ospedali, scuole, consultori possano fare la differenza nella decisione di costruire una famiglia.
Laura Predoni, mamma di Viola e Jacopo, master in Scienza della Comunicazione, lavora nel centro “Re Mida” che si occupa del riciclo dei materiali di scarto delle industrie. «Ho frequentato negli anni Settanta i primi nidi e scuole dell’infanzia di Reggio, il “Cervi” e poi l’asilo “Tondelli”, lo stesso in cui oggi va mia figlia. Quando sono rimasta incinta vivevo e lavoravo a Milano, ma ho deciso di tornare qui: la mia esperienza di bambina è stata così bella che non volevo privarne i miei figli. Tanto che a volte i miei ricordi si confondono con i loro racconti. Qui si ha la possibilità di mandare i figli al nido fin dai tre mesi, sicuri però che non sarà un parcheggio, ma un’esperienza educativa, estetica, di relazione. E per il lavoro dei genitori è fondamentale. Certo la crisi c’è e si sente, ma il sistema per fortuna ancora regge». Sulla prima infanzia i numeri sono concreti: il 41% dei “baby born” da zero a tre anni a Reggio Emilia frequenta i nidi, contro una media nazionale del 15%.
«Certo che fatichiamo — ammette la pedagogista Claudia Giudici — nonostante i tagli abbiano risparmiato il campo educativo. Ma mantenere standard così alti, dove il bambino viene considerato prima di tutto un cittadino fin dai suoi primi mesi, è molto costoso. Le iscrizioni restano stabili perché anche le mamme disoccupate preferiscono mandare i piccolissimi al nido. Nel resto d’Italia invece la precarietà ha creato una fuga dai servizi ». Dunque un welfare intaccato ma che resiste. Non solo. «Le nostre scuole — aggiunge Giudici — coinvolgono moltissimo i genitori. E sono diventate un argine sociale. Ho visto diversi padri disoccupati ritrovare un senso di sé nella comunità degli altri genitori».
La natalità cala anche qui, eppure Reggio prova a scommettere, ripartendo proprio dalle “culle”. Alla fine del 2014 partiranno infatti i lavori di un nuovo e grande ospedale, il “Mire”, dedicato a gravidanza, neonatologia e pediatria. Martino Abrate è il responsabile del dipartimento di ginecologia e ostetricia del “Santa Maria Nuova”, vicino al quale sorgerà il “MiRe”. «Il nome è una sigla che vuole dire Materno-Infantile di Reggio, ma evoca anche qualcosa che guarda lontano. Noi veniamo da un boom delle nascite, nel 2010 qui sono stati fatti 2.550 parti, dei 5.150 di tutta la provincia. Nel 2013 il numero è sceso a 4.500 nascite, di cui il 30% da donne straniere. Sono numeri ancora molto alti se visti in percentuale sulla popolazione, con un basso ricorso ai cesarei, e la volontà di far vivere la gravidanza nel modo più fisiologico possibile ». Il “MiRe”, progettato anche in collaborazione con “Reggio Children”, dovrebbe integrare tutto questo. «I bambini nascono dove c’è il welfare» ribadisce Abrate, «è l’esperienza di Reggio, ma i primi cali di natalità sono già evidenti, addirittura tra le madri immigrate».
L’odore del cibo cucinato a vista accompagna i giochi dei bambini del nido “Rodari”. Passato di verdura con crostini, crocchette di patate, frutta. La cucina è un luogo aperto, un “atelier del gusto”, dove si può entrare, guardare, assistere alla preparazione dei cibi. E le cuoche sono ben presenti nei ricordi degli ex bambini che negli anni Settanta iniziarono a frequentare i primi asili del “metodo Malaguzzi”, l’asilo Diana, il Cervi, il Tondelli, in tutto sono ventotto. Andrea Canova, classe 1969, padre di due bambini, dice che oggi quando entra nella scuola “Anna Frank” e rivede le sue foto da piccolo in quegli stessi ambienti, sente di entrare in una storia “che è stata ed è ancora eccezionale”. «I figli scoprono che anche tu sei stato piccolo proprio lì, e questo crea una memoria condivisa, di storie, di valori. Ma la cosa più forte è la partecipazione che la scuola ti chiede, ed è un modo per imparare a prendersi cura dei propri bambini. La mia compagna era restia all’idea del nido. Poi però le ho raccontato la mia esperienza, le ho parlato di Malaguzzi, e oggi è entusiasta. Standard così alti però non possono andare d’accordo con tagli sempre maggiori e con la precarizzazione degli insegnanti».
Un mondo in bilico dunque. Che ancora regge ma chissà. Maddalena Tedeschi, pedagogista, coordina diversi nidi, tra cui quello dedicato a Gianni Rodari, le cui storie sono raccontate su pannelli trasparenti nell’agorà della scuola, una sorta di “piazza” per bambini, genitori, insegnanti. Mostra gli atelier della luce, gli strumenti musicali costruiti con materiale di riciclo, le tavole luminose dove scoprire il retro di una foglia o di un fiore, i video fatti dai piccolissimi. «Noi non siamo contro la tecnologia, se guidata è una grande fonte di scoperte... Molte coppie — dice Tedeschi — mi hanno raccontato di essersi decise a fare anche il terzo figlio, perché potevano contare sugli asili e sul welfare di Reggio. E in tanti si sono trasferiti qui per avere questi servizi. La nostra idea è che si possa diventare cittadini liberi partendo dall’asilo nido. Forse è per questo che tutti gli ex bambini diventati genitori continuano a mandare i loro figli proprio da noi».
Maria Novella De Luca, la Repubblica 6/6/2014