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 2014  giugno 06 Venerdì calendario

SVOLTA BCE, TASSI NEGATIVI DRAGHI: “NON FINISCE QUI”


Se c’è qualcosa in cui l’Italia somiglia all’America, non è il dinamismo. O i colossi del software nati in un garage. O l’eccellenza delle università. È piuttosto il fatto che anche qui la crisi sta sfociando in una doppia velocità, favorita dalla banca centrale malgrado se stessa: da un lato il lavoro, che stenta e deperisce; dall’altro le rendite finanziarie che invece accrescono la fortuna di chi ne ha già molta.
Ieri la Banca centrale europea ha innovato in modo radicale sulla sua storia, per cercare di dissipare le nubi che gravano sull’area a moneta unica. Era un atto dovuto perché, ha ricordato Mario Draghi, non bisogna temere solo la deflazione dei prezzi: anche solo un periodo lungo di inflazione quasi zero come l’attuale produce gravi danni, perché rende insostenibili i debiti pubblici e privati.
Per questo la Bce sta iniziando a dotarsi di armi nuove. Farà sì che ora le banche paghino una tassa (0,10% l’anno) sui 125 miliardi della loro liquidità «in eccesso» depositata alla banca centrale: in teoria adesso quei soldi dovrebbero uscire dai forzieri (digitali) di Francoforte per entrare nell’economia. Ma soprattutto la Bce offrirà agli istituti 400 miliardi di prestiti allo 0,25%, rimborsabili fra due o quattro anni, con un invito a usarli per dare credito alle piccole imprese. In più, l’Eurotower dichiara che sta pensando di comprare sul mercato pacchetti di prestiti estesi dalle banche stesse alle imprese, in modo da oliare l’intero percorso del denaro: dalla Bce che lo genera, fino alle imprese che dovrebbero ottenerlo per investire e creare lavoro. Se le banche sanno che riusciranno a liberarsi del rischio dei prestiti già fatti, rivendendoli, forse ne daranno ancora.
Presto per dire se tutto questo funzionerà. Non lo è però per vederne le conseguenze immediate.
Ieri l’indice di borsa delle banche in Europa è cresciuto dell’1,34% e quello per l’Italia del 2,14%, il settore salito di più in assoluto. Il listino delle imprese finanziarie a Piazza Affari è in una sorta di euforia: più 46% in un anno, più 25% da dicembre. Nel complesso il listino principale di Milano negli ultimi sei mesi ha aggiunto quasi cento miliardi di euro di capitalizzazione, in gran parte denaro affluito sulle banche: ha contribuito certo il fatto che prima tutto era ad attraenti prezzi di saldo, ma in gran parte ha aiutato la liquidità della Federal Reserve, quindi l’attesa e infine l’arrivo sul campo della Bce. Ne sta beneficiando in primo luogo quell’8% delle famiglie italiane che, stima la Banca d’Italia, danno da gestire i propri risparmi a professionisti per il semplice fanno che ne hanno molti.
Nel frattempo ciò che accade fuori dai grafici di Borsa racconta un’altra storia. Mentre Piazza Affari cresceva di 100 miliardi, il Pil è caduto dello 0,1% nei primi tre mesi e la produzione industriale è rimarrà piatta per la prima metà dell’anno. E mentre il valore di Borsa delle banche esplodeva - anche di quelle colpite da scandali, come Ubi - nell’ultimo mese ci sono ci sono 70 mila occupati in meno. L’Italia è sui minimi storici di persone al lavoro, ma in fondo non sta inventando nulla di nuovo: è tipico delle fasi di paralisi dei prezzi questo conflitto non dichiarato fra la parte della società che vive di rendite e quella che cerca di farlo con l’investimento, la produzione e il lavoro. Accadeva negli anni ’30, quando in Europa i fautori della moneta forte e della deflazione rappresentavano i ceti delle rendite, contro quelli dei disoccupati nella Grande depressione. Oggi il film si ripete in maniera diversa e meno esplicita.
Criticare la Bce per questi effetti paradossali può aiutare a sfogarsi, ma non porta molto lontano. Sarebbe stato peggio per tutti se la banca centrale di Draghi non avesse fatto niente, perché l’euro si sarebbe apprezzato ancora di più e l’export ne avrebbe sofferto. Però la risposta delle borse, che ieri hanno premiato più le banche che le imprese manifatturiere, è perfettamente razionale: il pacchetto di misure presentato da Draghi mira prima di tutto a ricostruire il capitale delle banche eroso nella crisi e a liberare i loro bilanci da qualche problema.
Ufficialmente la liquidità per 400 miliardi offerta agli istituti andrebbe usata per fare prestiti alle piccole imprese: se ciò non avverrà, scatta una penalizzazione. Ma nella sostanza le cose possono andare in modo diverso. Una banca può presentarsi allo sportello della Bce in settembre, chiedere una somma pari al 7% di tutto il suo portafoglio prestiti, e comprarci titoli di Stato. È un modo facile e sicuro per guadagnare molto: i prestiti dell’Eurotower costano lo 0,25%, mentre i Btp italiani o i Bonos spagnoli a dieci anni rendono il 3%. Questo margine avrà una serie di effetti a catena, poiché verrà maturato su decine di miliardi per ogni grande istituto.
In primo luogo genererà vasti guadagni, sui quali la banca sarà poi felice di versare una piccola penalità alla Bce nel 2016, se non avrà fatto abbastanza prestiti alle imprese. Quindi garantirà che per anni ci siano forti compratori di Btp, i quali dunque ridurranno gli spread sui titoli tedeschi malgrado l’aumento continuo del debito italiano. Infine questo ingranaggio fa sì che i contribuenti, di fatto, senza saperlo ricapitalizzino le banche stesse attraverso le cedole sui titoli di Stato in mano alle banche. Già oggi il Tesoro, guidato da Pier Carlo Padoan, paga alle banche ogni anno oltre 15 miliardi in interessi sui titoli di Stato che esse detengono. In futuro sarà di più.
Forse non c’era alternativa: la Bce non è in grado di far arrivare soldi alle imprese in altri modi. Per ora la sua priorità è risanare le banche e rimetterle in grado di funzionare normalmente per l’economia.
Probabile anche che le misure presentate ieri non faranno molto per deprezzare l’euro e creare inflazione. Per quello servirebbero interventi decisi sul mercato per migliaia di miliardi, come ha già fatto la Fed. Ma Draghi ha bisogno di tessere una tela ancora molto lunga per arrivare a convincerne i suoi colleghi tedeschi. O muovere, come ieri, senza che quelli ne capiscano esattamente le conseguenze.

Federico Fubini, la Repubblica 6/6/2014