Daniela Ranieri, Il Fatto Quotidiano 6/6/2014, 6 giugno 2014
SOLO SE CAPISCI LA TRAGEDIA SEI IN GRADO DI RIDERE
[Intervista a Giorgio Montanini] –
Un tempo era facile: deridevi politici-vermi da non toccare nemmeno con un bastone; sfoderavi indignazione morale contro i ladri; facevi un gioco di parole sugli erotomani. Oggi che pure la Seconda Repubblica è implosa e Berlusconi si è auto-avverato come barzelletta, far ridere è molto più difficile. Giorgio Montanini è uno stand up comedian che ha percepito la mutazione del potere e ne fa una satira evoluta, sofisticata e destabilizzante. Sarà ospite, domani sera, alla festa del Fatto Quotidiano al Fuori Orario di Gattatico, insieme con i comici di Satiriasi Stand up Comedy.
“Da Aristofane in poi, la satira è sempre stata contro il potere. Se non c’è dittatura, il popolo ha la possibilità di cambiare. È l’uomo medio oggi il potere da combattere. Berlusconi è stato un parafulmine per molti. Il problema siamo io, te, la gente che incontri mentre fai la spesa. Il potere è quel 30% di consensi che aveva B. Che fine hanno fatto?”
Per smontare il luogo comune che siamo un Paese evoluto, il suo Nemico Pubblico (scritto con Giardina, De Carlo, Lizza e Filippetto, in onda su Rai3 il martedì in seconda serata) sceglie come temi razzismo, omofobia, violenza contro le donne, lavoro.
Il politicamente corretto non chiama le cose col loro nome. La satira fa il contrario. Quando parli di sesso, ne devi parlare come nella vita quotidiana. Un problema che sollevò Lenny Bruce: una parola più è repressa più è violenta, quando la dici è una bomba. Io ho fatto un monologo sulla bestemmia. Sai che è vietato? Ti fanno una multa.
I calciatori vengono sospesi.
Che stupidaggine. Una parola non fa male, ma attraverso la sua repressione si reprimono le persone. Le si controlla.
Se ridiamo, allora ci sono ancora tabù da infrangere.
Il pubblico a volte si offende. Molti si alzano e se ne vanno.
Nemico Pubblico prevede una candid camera che ricorda lo Specchio segreto di Nanni Loy e non la sua versione abbrutita dal codice vittima-carnefice di Scherzi a parte. Non sfrutta l’impreparazione psicologica di un soggetto filmato di nascosto, ma i suoi convincimenti sedimentati, lo strato fossile dei suoi e nostri pregiudizi. Non c’è irrisione della vittima, ma la messa in luce del nostro cinismo. È una psicoanalisi nazionale, un trattato di sociologia alla spina.
Non volevamo fare scherzi banali ma happening in cui le persone reagissero a provocazioni forti, come quella di un padre che vuole buttarsi nel Tevere quando scopre che il figlio è gay.
Alcune donne cercano di fermarlo dicendo “i gay sono normali, anzi: sono più sensibili delle persone normali”.
Esatto. In un’altra raccolgo firme contro il lavoro alle donne: alcuni firmano, convinti che le donne debbano stare a casa. Molte sono donne . Altri vogliono che le donne lavorino per essere mantenuti.
A piazza Mazzini, un attore-venditore di rose blocca una macchina sulle strisce pedonali. Montanini entra in scena, crolla sul cofano della macchina e finge di essere stato investito, reclamando i danni. Siccome è Roma, il fiammeggiante svolgersi degli eventi avrà come epilogo che il guidatore aggredisce il venditore di rose.
I romani hanno il complesso del caput mundi. È la culla del cinema mondiale, ma oggi non c’è poesia. Remo Re-motti disse che la Roma-teatro è morta 40 anni fa. Va presa a piccole dosi, si è imbarbarita più del resto del Paese. La amo, ma ti fa diventare una bestia.
Un cortocircuito interessante si produce quando un attore fa un disabile cattivo, insopportabile. Ovvio che qui il bersaglio non sono i disabili ma il convincimento per cui un disabile debba essere buono. Non tolleriamo che un handicappato non sia umile, che sia tanto sfrontato da non fare leva sulla nostra pietà.
Cerco un’angolazione diversa da cui guardare quello in cui ci riteniamo inattaccabili.
Montanini, di Fermo, parla come Nino Manfredi in Straziami ma di baci saziami.
Fanno tutti le scarpe. Nelle Marche è inconcepibile che uno faccia l’attore. A 12 anni giravo cortometraggi horror, con piani-sequenza alla Dario Argento. Avevo il mito di Gian Maria Volonté. A 27 ho recitato in Edipo Re con Franco Branciaroli. Ho iniziato a fare il comico non so neanche come.
Nello stile di Montanini c’è un fondo di tragedia.
Ecco, a Zelig nessuno ha la componente tragica. Oggi la comicità è fatta da dopolavoristi che si credono simpatici. C’è chi dice di essere fornaio e non è fornaio! Chi fa il divorziato e non si è mai sposato. Il comico porta se stesso sul palco. Altrimenti non è credibile.
La satira quindi è sempre politica.
Se esprimi un punto di vista fai politica. I comici che non si espongono sono ridicoli.
Nel monologo che segue la candid, è irriverente ma non discolo. È laterale, ingannevole, sottile. Rifiuta il climax, l’apologo edificante.
Nei monologhi ho pause, respiri, rifiuto lo schema premessa-battuta-risata dei comici tv. La raffica di battute è uno svilimento della comicità.
Lo stile paradossale libera il riso, non per il godimento di fronte al politicamente scorretto che legittima il sadismo sui deboli, ma per l’esasperazione del senso comune. Come per Bergson, “non c’è niente di comico all’infuori dell’umano”.
Estremizzo le opinioni medie. Non puoi uscire così come sei entrato. Devi sentirti meglio, ma non migliore.
Il nemico pubblico, insomma, siamo noi.
Ci identifichiamo in un gruppo per glorificare la nostra presenza su questo mondo. Se sei animalista ti senti migliore, ma il vegano si sente meglio di te. Le personalità sono annacquate, guarda i politici di oggi rispetto a Berlinguer o Andreotti.
In un monologo propone l’eliminazione fisica di alcuni soggetti sociali: i diabetici (“non posso stare dietro all’insulina”), gli insegnanti di latino (“so’ morte le lingue, voi siete vivi”), i cuochi in tv (“in cucina o fuori dai coglioni”), i bambini (“non tutti, un figlio per uno; le eccedenze vanno riconsegnate”).
Parto da una critica al capitalismo. Noi siamo privilegiati, viviamo la parte fortunata, ma la paghiamo a caro prezzo. Chi fa una vita da schiavo si assoggetta a regole terribili. Per la logica di produttività e profitto, i depressi, i muti, gli allergici, i deboli, non servono, sono un costo.
Dovremmo piangere, e invece fa ridere.
Se capisci la tragedia, ridi.
Daniela Ranieri, Il Fatto Quotidiano 6/6/2014