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 2014  giugno 06 Venerdì calendario

OGNI CLANDESTINO CI COSTA 25 MILA EURO

Per ogni clandestino rimpatriato l’Italia spende 25mila euro, lo stipendio annuo di un impiegato statale. Ora moltiplicate questa cifra per 41.000, ovvero il numero di cittadini extracomunitari che dal 2010 non sono stati rimpatriati materialmente ma solo «accompagnati» all’Ufficio Immigrazione della Prefettura di Roma per le pratiche d’espulsione. Avrete un esborso (potenziale) pazzesco: oltre un miliardo di euro (per l’esattezza 1.025.000.000). Una tombola.

Di fronte a ipotesi del genere non sappiamo se essere contenti per il bene delle casse nazionali, pur se in parte sostenute dall’Unione Europea, o scontenti perché sul territorio tricolore circolano impunemente migliaia di clandestini. Questa cifra, insieme ad altre che vi daremo dopo aver scovato i veri numeri dell’emergenza immigrazione in Italia (fino a oggi rimasti nascosti) dà la misura di un problema che sembra senza soluzione.

Tra i casi di stranieri «lavorati» dagli uffici di polizia e i rimpatri realmente effettuati dalle forze dell’ordine, c’è dunque una bella differenza. Prendete il rapporto tra i decreti d’espulsione emessi delle Prefetture e gli accompagnamenti alla frontiera: è di cinque a uno, se non inferiore. Nel 2010, per esempio, i semplici decreti di espulsione (quelli dove si impone agli uffici di rispedire i clandestini nei loro Paesi) nella provincia di Roma, sono stati poco più di 5.500.

«Decreti di espulsione emessi», è una frase con cui i ministri dell’Interno dei governi di centrodestra e centrosinistra che si sono alternati negli ultimi anni alla guida del Paese, si sono sempre riempiti la bocca. Inconsapevoli, forse, che tra l’emissione di un decreto di espulsione e far (ri)varcare la frontiera a un clandestino ci passa invece un abisso, spesso quello stesso Mar Mediterraneo che se è stato capace di traghettare dalle coste nordafricane carrette di disperati, allo stesso modo è incapace di invertire la corrente per riportare in patria chi non ha diritto a stare nel nostro Paese.

A fronte di quei 5.500 «espulsi», nello stesso anno i rimpatriati sono stati appena un migliaio. E più passano gli anni, più diminuiscono gli accompagnamenti alla frontiera. Nel 2013 il numero dei clandestini portati all’"ufficio immigrazione" della Questura di Roma è sceso a quota 6400, i decreti di espulsione emessi sono stati circa 2700, gli extracomunitari imbarcati su un aereo e consegnati alle autorità del Paese di provenienza, appena 670.

Sì, seicentosettanta. E qualche giorno fa sulle nostre coste, in una sola notte, ne sono sbarcati tremila. I conti, a ben vedere, non tornano: essere rimpatriati è più difficile che approdare in Italia. E 25mila euro per un rimpatrio resta una cifra stratosferica. Ma non solo. C’è un altro dato su cui bisogna riflettere. Di quelle 2680 persone fermate a Roma e destinate al rimpatrio nel corso del 2013, 450 sono finite nei Cie ( Centri d’identificazione ed espulsione, prima si chiamavano Cpt, ndr ). Chi ha ogni giorno a che fare con le pratiche di rimpatrio degli extracomunitari sarebbe pronto a mettere la mano sul fuoco, quando dice: «Di quei 450 rimasti nei Cie, probabilmente, ad oggi ne saranno stati rimpatriati il 10 per cento, altri avranno ottenuto lo status di rifugiato politico, i restanti staranno bighellonando per l’Italia fino a che non verranno fermati un’altra volta, forse già l’ennesima volta».

Un costo, quello della permanenza nei Cie, che fa lievitare il nostro calcolo. I 180 giorni (cinque mesi) concessi dalla normativa come tempo limite per l’identificazione e l’espulsione sono un’eternità per gli ospiti e per lo Stato, che sborsa 40 euro al giorno per ogni straniero nei Cie: 1200 euro al mese, quindi 6000 euro per tutto il periodo concesso, a cui vanno aggiunti alcuni singolarissimi benefit. Le persone alloggiate nei Centri di identificazione ed espulsione, di fatto, vengono stipendiate con il salario medio di un lavoratore italiano.

Altro caso quello dei cittadini comunitari, per i quali lo Stato ha gettato la spugna. Le frontiere aperte vanificano gli sforzi e le risorse messe in campo per mandarli via. E ancora una volta basta guardare i numeri: dai circa duemila allontanamenti eseguiti a Roma nel 2010, si è passati ai 650 del 2013.

Ma torniamo agli extracomunitari e cerchiamo di capire perché, alla fine della giostra, il numero delle persone che salgono fisicamente su un aereo per essere rimpatriate è così basso. Un mix di lungaggini burocratiche, normative confusionarie, cavilli giuridici e mancanza di collaborazione da parte dei consolati di appartenenza degli extracomunitari rendono vano il lavoro svolto dalle forze dell’ordine, e più in particolare dei funzionari di polizia a cui spetta il compito di dare un volto e un nome a chi viene fermato per un controllo o arrestato per aver commesso un reato sul nostro territorio.

Un dedalo di passaggi improbabili e di beffe subite che portano gli operatori sull’orlo di una crisi di nervi, mentre clandestini spacciatori, violenti, trans e presunti minorenni (dall’età non definita) alla fine la fanno franca, da sempre consapevoli che l’Italia è il Paese di Bengodi, che quel Mare Nostrum, più che nostro, è loro, e che i Paesi d’origine non hanno alcuna intenzione di riprenderseli.

La nostra inchiesta inizia qui, dai dati e dai costi, per la comunità, dell’immigrazione. Leggeteli con cura. Date uno sguardo alla nazionalità degli extracomunitari trattati dagli uffici romani, e Roma, si sa, per certe cose è lo specchio dell’Italia. Vi renderete conto che la Primavera Araba, fin dall’esodo tunisino, per i Paesi del Nordafrica è stata una grande occasione per spedire in Europa (passando da qui) il peggio del peggio, e un’ottima scusa per negare il rimpatrio a chi, già in Italia da anni, ha mostrato il peggio di sé.

«Grazie agli accordi con Tunisi è stato creato un ufficio ad hoc all’aeroporto di Palermo, Punta Raisi, per l’identificazione e il rimpatrio immediato dei clandestini che sbarcavano a frotte sulle nostre coste. Il consolato concedeva visti di ingresso in Tunisia solo a quei "poveri cristi" che avevano la fedina penale pulita e chissà cosa avevano passato pur di scappare da quell’inferno. Gli altri restassero pure in Europa». Un caso raro: «Ricordo che una volta, con un charter, riuscimmo finalmente a rimpatriare in Tunisia un gruppo di clandestini che avevano commesso reati nel nostro Paese. Per accompagnarli noi eravamo un esercito. Quando sbarcammo a Tunisi, una donna, una sola donna, li prese in consegna sotto la scaletta dell’aereo. Aveva un frustino in mano. Loro abbassarono la testa e come pecorelle salirono in fila indiana sul pullmino che li portava in carcere».
Sono solo due passaggi dei tanti racconti dei nostri operatori durante i giorni di preparazione di quest’inchiesta sull’immigrazione. Gli altri li leggerete nelle prossime puntate.