Gabriella Colarusso, Lettera43 6/6/2014, 6 giugno 2014
SE LO DICE SPAZIANTE
Ci sono le intercettazioni ambientali, telefoniche, i pedinamenti, le riprese in video. Ma, soprattutto, ci sono le confessioni di alcuni degli indagati - racconti «convergenti», dicono i giudici - a rivelare uno degli aspetti forse più «inquietanti», per usare le parole di Raffaele Cantone, della maxi-inchiesta sul Mose: gli enti preposti al controllo, gli organismi che avrebbero dovuto vigilare sul corretto svolgimento dei lavori, erano invece parte attiva del sistema corruttivo. Magistrati contabili, poliziotti, uomini dei servizi e della guardia di finanza piegati ai voleri - e con le mazzette - della cricca.
Servitori dello Stato che hanno abdicato al loro ruolo, anteponendo interessi privati e per giunta «criminali», come scrive il gip Alberto Scaramuzza, alla tutela del bene pubblico.
Un nome su tutti spicca nelle carte dell’inchiesta: è quello di Emilio Spaziante, oggi generale in pensione, ma fino a qualche mese fa uno degli uomini più potenti della guardia di finanza, di cui è stato comandante in seconda dall’11 febbraio al 4 settembre 2013. Intercettato, pedinato e poi fermato dai suoi stessi uomini.
Secondo i magistrati, per mesi Spaziante avrebbe fornito agli indagati informazioni riservate sulle indagini in corso e su alcune verifiche fiscali operate dalle Fiamme gialle sulle attività del Consorzio Nuova Venezia, sfruttando le sue conoscenze e il suo potere all’interno del corpo.
Un «sistematico informatore», lo definisce il giudice, che in cambio dei suoi servigi avrebbe ricevuto dagli imprenditori coinvolti nelle indagini una mazzetta da 500 mila euro, dopo averne chiesti 2 milioni e mezzo.
«Questo incontro che Mazzacurati aveva fatto con Meneguzzo avrebbe comportato il pagamento di 2 milioni e mezzo alla guardia di finanza, di cui 300 mila subito e il conferimento a Meneguzzo (ad di Palladio Holding, ndr) di 300 mila euro all’anno, più 400 mila euro di fee… Seppi poi che la guardia di finanza a cui si riferiva era il generale Emilio Spaziante e, oltre ai 300 mila euro, ne furono richiesti altri 200 mila…», ha raccontato ai magistrati Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani Costruzioni, gola profonda dell’intera inchiesta.
«Sei mesi di registrazioni… il mio telefonino, mi hanno detto è ancora sotto controllo fino alla fine dell’anno», spiega Giovanni Mazzacurati, ex presidente del consorzio, all’ex diplomatico Antonio Armellini in una conversazione intercettata e agli atti dell’inchiesta.
«Mi hanno detto che mi hanno registrato una telefonata con Matteoli (l’ex ministro di An finito sotto inchiesta) e col dottor Letta… pensi che la telefonata che mi hanno raccontato io me la ricordavo benissimo…». Ad avvisare gli imprenditori intercettati sarebbe stato proprio Spaziante, che chiamava frequentemente il capo della Gdf di Venezia per avere informazioni sulle indagini.
Spaziante del resto non è uno qualunque. È stato uno dei più alti vertici della Gdf - capo del II reparto del Comando generale, comandante regionale della Lombardia, capo di Stato Maggiore del comando generale, comandante del Comando interregionale dell’Italia centrale e del Comando aeronavale centrale - e, soprattutto, vicedirettore del Dis, il dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, la centrale di comando dei nostri servizi segreti.
È molto amico di Marco Milanese - plenipotenziario del ministero dell’Economia per tutto ciò che riguardava le Fiamme gialle, gli appalti, le grandi opere, ai tempi in cui il dicastero era retto da Giulio Tremonti (II governo Berlusconi) - e di Manuela Romei Pasetti, magistrato, ex presidente della corte d’appello di Venezia, ed ex membro del comitato di sorveglianza di Finmeccanica. Romei Pasetti è finita sotto indagine nell’inchiesta del procuratore Eugenio Fusco sulle presunte tangenti che sarebbero state pagate da Agusta Westland per aggiudicarsi una commessa in India dal valore di 560 milioni di euro.
La sua carriera, il generale di origini casertane entrato nella Gdf nel 1970, l’ha costruita soprattutto a Milano e in Lombardia, il cuore del suo network di potere, come racconta bene un articolo di Carlo Bonini del 2007, pubblicato su La Repubblica. «Quando dunque lascia per il comando a Roma, Spaziante impone quale suo successore un amico fraterno, un compagno di corso: il generale Mario Forchetti».
Sia Spaziante sia Forchetti «sono stati ufficiali del II Reparto, l’intelligence della Guardia di Finanza, l’occhio e l’orecchio che lavora in perfetta osmosi con il Sismi dell’ex generale di corpo d’armata della Fiamme gialle Nicolò Pollari e da cui Pollari pesca decine e decine di suoi ex ufficiali».
Anche Forchetti, che attualmente è il capo del comitato di controllo sugli appalti pubblici della Regione Lombardia, una task force voluta da Roberto Maroni che avrebbe dovuto vigilare anche sugli appalti Expo ma che non è servita a molto - come raccontato da Lettera43.it - è finito nell’indagine sul Mose. La sua casa è stata perquisita e i suoi conti correnti passati ai raggi X.
Ma Forchetti e Spaziante non sono gli unici esponenti della Gdf coinvolti a diverso modo nell’inchiesta. C’è anche Walter Manzon, fino a qualche anno fa comandante provinciale a Venezia, cui pure è stata effettuata una perquisizione. Forchetti e Manzon non sono indagati, Spaziante invece è accusato di corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio.
Non è la prima volta che il generale finisce nel mirino dei magistrati. Nel 2004 fu indagato per una fuga di notizie relativa a un’indagine monzese sui bilanci di Impregilo, ma la sua posizione fu poi archiviata.
Nel 2011, invece, il suo nome saltò fuori nell’inchiesta sui finanziamenti al giornale L’Avanti di Walter Lavitola, il faccendiere ora in carcere per tentata estorsione, indagato e imputato in diversi processi. Lavitola, da sempre vicino al generale Paolo Poletti, numero due dell’Aisi, sponsorizzò la nomina di Spaziante - per fare «non il numero uno, ma il numero due», ossia il capo di Stato maggiore delle Fiamme gialle, come si lesse all’epoca dalle intercettazioni effettuate a carico del faccendiere - presso l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
L’ascesa di Spaziante in quel momento era messa in forse proprio dalla vicinanza del generale con Milanese e Tremonti. Lavitola ne perorò la causa, partecipando anche a un incontro tra il generale e Berlusconi.
Nello stesso anno i giornali si occuparono di Spaziante anche per un’altra inchiesta, quella della procura di Napoli sulla P4, nel corso della quale saltò fuori che Mediolanum era stata preavvertita di una verifica fiscale.
Che ci fosse stata una soffiata, spiegò Milanese al pm Henry John Woodcock, l’ex deputato Pdl l’aveva saputo proprio da Spaziante. «Vi dico che il generale Spaziante potrebbe riferirvi particolari su alcune informazioni che l’Adinolfi avrebbe “passato” agli interessati in occasione di una verifica fatta dalla Gdf a una importante società», disse l’ex deputato Pdl agli inquirenti. Ascoltato dai magistrati, Spaziante confermò: «È possibile che io abbia raccontato all’onorevole Milanese che c’è una “voce” diffusa all’interno del Nucleo di polizia tributaria di Milano secondo la quale durante una verifica - credo a Mediolanum - i sottufficiali operanti abbiano trovato un appunto o comunque un documento dal quale sembrerebbe che Mediolanum stessa era stata preavvertita della verifica in oggetto».
Spifferi, segreti, voci, fughe di notizie che ora, tra le indagini su Expo e quelle sul Mose, rischiano di mettere in seria difficoltà l’intero corpo della guardia di finanza.