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 2014  giugno 06 Venerdì calendario

ALBERTINI

& ALBERTINI, QUEL MONDIALE FRATERNO -
Ma dove voleva andare quel­la Nazionale che alla vigi­lia del Mondiale di Usa ’94 riusciva persino a perdere (2-1) contro una squadra di C2 (il Pontedera)? La ri­sposta vent’anni dopo la conosciamo: voleva arrivare alla finale di Pa­sadena. L’unica dei campionati del mondo di­sputata in terra americana, e anche l’unica che gli azzurri persero ai rigori, contro un Brasile a detta di molti “abbordabile”.
Quella fu anche la lunga estate calda dei fra­telli Albertini: l’azzurro Demetrio e Alessio, an­zi, don Alessio. «Nel giugno del ’94 ero al pri­mo incarico all’oratorio di Barbaiana di Lainate e le partite le guardavo in tv assieme ai miei ra­gazzi in un clima davvero da stadio...», ricor­da don Alessio che seguì minuto per minuto tutta l’avventura mondiale del fratello. «La se­ra prima della sua partenza andammo a man­giare una pizza e gli dissi: “Dai Demi, se vai in finale vengo a vederti in America...”.
Un viaggio che pareva impossibile, specie do­po il debutto della Nazionale, a NewYork, scon­fitta 1-0 dall’Irlanda. A quel punto, una gran­dinata di critiche piovve sulla pelata del “de­spota” di Fusignano, il ct Arrigo Sacchi, che a­veva puntato tutto sul blocco del suo Milan. Dei 22 azzurri, 8 erano milanisti: Baresi, Tassotti, Maldini, Costacurta, Albertini, Evani, Dona­doni, Massaro, più Demetrio, il “metronomo” del centrocampo, il più giovane di quella sele­zione. «Non sapevo proprio cosa fosse un Mondiale…», dice Albertini. Eppure in campo si comportò da veterano, disputando tutte le partite, tranne quella con la Spagna. Ma pri­ma di arrivare a quel quarto di finale, del Mi­lan sacchiano, macchina da gol, proverbial­mente padrone del campo e del gioco, neppure l’ombra sotto il sole cocente degli Stati Uniti. Le uniche due reti le avevano messe a segno Massaro e Baggio, ma Dino, non il divin codi­no Roberto che nelle gare di qualificazione non smentì, la sua fama di “coniglio bagnato” af­fibbiatagli dall’Avvocato Agnelli.
Poi, agli ottavi con la Nigeria, la svolta. Deme­trio che sale in cattedra con il tandem “Baggio Dino e Baggio Roberto”, gracchiato al mi­crofono da Bruno Pizzul. «Feci l’assist per Ro­berto e presi anche una traversa nella gara con la Nigeria che battemmo (2-1) ai supplemen­tari... ». I due Baggio poi stesero la Spagna. E co­sì si arrivò al match con la Bulgaria del Pallo­ne d’Oro Stoichkov che ai quarti aveva fatto fuori niente meno che la Germania. Tutto in 45 minuti il 2-1 rifilato dall’Italia ai bulgari, con la doppietta di un Roby Baggio che da ecto­plasma, d’incanto sulla via di Los Angeles, s’il­luminò d’immenso come una stella di Hol­lywood.
«Dopo la vittoria contro la Bulgaria - ricorda don Alessio - Demetrio mi svegliò nel cuore della notte e al telefono mi disse: “Dai Alessio sbrigati, ho prenotato il volo, ti voglio qui per la finale”. Mio padre e il nostro fratellino Ga­briele (oggi 36enne, dg della Pro Sesto n.d.r. ) erano già in America e io li raggiunsi con un entusiasmo incontenibile. Il mio auspicio si e­ra realizzato, eravamo in finale e come a Mes­sico ’70 contro il Brasile». Allo stupore di un traguardo assolutamente insperato, a Casa Azzurri si mescolavano gioia e disperazione. «La gioia era quella di Franco Baresi che contro la Norvegia, il 23 giugno, si era rotto il menisco, ma non volle tornare a ca­sa - spiega Demetrio - . Chiese di essere ope­rato perché in caso di finale i medici gli ave­vano assicurato che sarebbe potuto tornare in campo. E infatti il 17 luglio Franco era con noi». La disperazione invece era quella di Roberto Baggio che per una contrattura ai flessori del­la gamba destra era destinato a non disputa­re la gara della vita. E invece quel giorno sul prato del Rose Bowl di Pasadena a sorpresa i 92mila spettatori as­sistettero all’ingresso in campo sia di Fran­co Baresi che di Roby Baggio. «C’era un’at­mosfera incredibile - racconta don Alessio ­. Ma soprattutto indimenticabile è quel cal­do infernale. Si sudava a stare fermi, non o­so immaginare in campo quanto soffrissero quell’afa…». Gli azzurri e i brasiliani infatti, dopo i più noiosi 90 minuti regolamentari che si ricordino in una finale di Coppa del Mondo, erano sfiniti, pugili suonati che fati­cavano a reggersi in piedi, condizionati dal­la paura di perdere. «Sullo 0-0 ai supplementari, in tribuna vede­vo i parenti degli altri giocatori sempre più preoccupati. Alcuni mi dicevano: “Prega, pre­ga don Alessio...”. E io a spiegargli che non è che se preghi il Signore qui la situazione cambia. Ricordo che il nostro fratellino era seduto con la testa tra le mani. E allora gli chiesi, ma stai male? E lui: “No, è che se continua così andre­mo ai rigori, e uno dovrà tirarlo Demetrio...”.
Per la lotteria dei rigori infatti Sacchi scelse an­che Albertini che poi sarebbe diventato uno specialista, «ma quel giorno - ricorda - era la mia prima volta. Da quando ero professioni­sta non avevo mai calciato un rigore. Però quando mi sono presentato sul dischetto ero sereno, sicuro che avrei fatto gol». Non fu co­sì per Franco Baresi che sparò alto sulle poche nuvole sopra il cielo di Pasadena. E così fece anche il brasiliano della Fiorentina Marcio San­tos, ma fu l’unico rigorista della Seleçao a fal­lire dagli undici metri. Il portiere Taffarel, che da noi giocava nella Reggiana, alzò il dito al cielo invocando l’aiuto di Ayrton Senna, vola­to via per sempre il 1° maggio di quel ’94 mun­dial. E i brasiliani giurano ancora oggi che fu proprio Ayrton a far sbagliare ancora Massa­ro e soprattutto lui, Roby Baggio, che dopo l’er­rore dal dischetto rimase pietrificato come i volti dei quattro presidenti americani sulla roc­cia del Mount Rushmore. Fine del sogno, tra le lacrime inconsolabili di Baresi, gli occhi persi nel vuoto di Arrigo Sac­chi, mentre la Torcida era in festa e il ct Carlos Alberto Parreira sputava veleno contro la stam­pa brasiliana che fin lì aveva sobillato milioni di suoi detrattori. «Hanno detto che perdem­mo contro un Brasile poco forte - riflette De­metrio - , ma non è vero: c’erano fuoriclasse come Bebeto, Romario, Dunga e Branco che hanno fatto la storia del calcio. Io dopo il rigo­re sbagliato di Baggio non avevo ancora rea­lizzato la sconfitta. Ho capito che era finita so­lo quando sono andato a ritirare la medaglia dei secondi classificati e sono passato davan­ti alla Coppa. In quell’attimo ho provato un senso di vuoto e mi sono detto: che peccato, questa non potrò alzarla...».
Ma una carriera senza macchie ha fatto di Al­bertini e di tanti di quel gruppo di Usa ’94 dei campioni del mondo in pectore. Quella Cop­pa del Mondo poi l’Italia la vinse nel 2006 e Demetrio, ora che è vicepresidente della Fe­dercalcio, quando incontra i giovani ricorda sempre: «Il calcio è fatto di bellissime espe­rienze e di vittorie. Decidete voi cosa raccon­tare. Io del Mondiale ’94 posso parlare solo di un’esperienza unica e comunque irripetibile». La fine di questa storia spetta a don Alessio che oggi si divide tra la parrocchia di Pero e l’uffi­cio di Roma del Csi nazionale di cui è il con­sulente ecclesiastico: «Per la gente del nostro paese, Villa Raverio, Demetrio quel Mondiale l’aveva vinto. Il giorno che tornò a casa erano tutti in strada a festeggiarlo e lui la prima co­sa che fece fu andare all’oratorio a giocare a cal­cetto, con gli amici di sempre».