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 2014  giugno 06 Venerdì calendario

LO SCANDALO DEI FONDI EUROPEI. IL GOVERNO AMMETTE IL FALLIMENTO

Sono tanti, spesi poco e - per di più - mediamente anche spesi male. E potrebbero divenire sempre più una pedina nella delicata partita su più piani che il premier Mat­teo Renzi si appresta a giocare a Bruxel­les dove all’Italia, Paese contributore netto (cioè dà all’Ue più di quel che riceve, circa 16 miliardi contro 11 nel 2012), sta per essere as­segnata un’altra mega­torta da 32,8 miliardi di euro da qui fino al 2020. I fondi stanziati dalla Ue fra tutti gli stati nel­l’ambito della cosid­detta ’politica di coe­sione’ dell’Unione so­no storicamente una nota dolente della poli­tica italiana. In un Paese che vede oggi disoccupato quasi un giovane su due (il 45,6%, secondo l’ultimo dato Istat). Casomai ce ne fosse bisogno, ad aver­lo ammesso ieri è stato Graziano Del­rio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio (con la delega sulla gestione di questo flusso di denaro): «Siamo nel­la peggiore performance mai avuta dal­­l’Italia, il 2007-13 è stato il settennato peggiore», ha detto - davanti alla com­missione Politiche Ue del Senato - il sot­tosegretario, e questo malgrado «gli sforzi enormi» dei suoi predecessori Barca e Trigilia (che diedero vita a un nuovo contenitore per il loro utilizzo, da cui è scaturito a esempio il ’Grande progetto Pompei’). Per Delrio il «tem­po perduto», infatti, si è «concentrato soprattutto nei primi 3-4 anni» del set­tennato, poi c’è stato un recupero, ma ora «dobbiamo imparare dagli errori». A tal proposito ha assicurato come la nuova ’Agenzia per la Coesione’ (sono già pervenute «circa 50 candidature» per la direzione), che fungerà da sup­porto alle Regioni nella gestione dei fondi, «sarà operativa in tempo per l’av­vio dei nuovi programmi». Cioè entro «fine agosto», quando sarà approvato il nuovo accordo di partenariato.

La riprova della pessima fama italiana si è avuta appena qualche giorno fa, quando la Bild (giornale popolare te­desco) ha pubblicato un articolo sulla Sicilia e il sud Italia con l’eloquente titolo ’Qui sprofondano i miliardi dell’Ue’. Anche se l’ar­ticolo della Bild si rife­riva in realtà all’insie­me dei fondi europei, senza spingersi a tanto questo primato negati­vo (solo Romania e Croazia ci superano nel peggior uso dei fondi strutturali) è stato og­getto lo scorso febbraio anche di un corposo rapporto della Corte dei Conti, che segnalava gravi disfun­zioni. Non universali, peraltro: alcune Regioni (vedi il Trentino) i fondi li spen­dono quasi per intero. Nell’elenco del­le regioni più ’irregolari’ spiccava ap­punto la Sicilia: 148 i milioni di euro fi­niti nelle tasche sbagliate.

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Non è, in ogni caso, un problema solo di frodi e di truffe. La questione investe l’utilità stessa di questo fiume di dena­ro. Non tutto è negativo: un bilancio lo si trova in un rapporto della Commis­sione dello scorso marzo, dove si affer­ma che sarebbero oltre 47mila i posti di lavoro creati in Italia, oltre a 3.700 im­prese avviate nel periodo 2007/13, quando lo stanziamento era inferiore (28,8 miliardi per la sola parte europea, da cofinanziare poi per un pari impor­to dallo Stato italiano). Come ’fiore al­l’occhiello’ viene citato il progetto Tec­nopoli in Emilia-Romagna: 294 milio­ni (94 provenienti dal fondo Fesr) coi quali è stata riunita una rete di 10 cen­tri di ricerca per impiegare 1.600 ad­detti. Mentre, nell’ambito del Fse (vedi a lato) viene citato ’Meccanismo scuo­la’, programma che a fine 2013 aveva coinvolto 400mila studenti in stage o in periodi di studio all’estero.

Cose tutte buone e giuste, ma che coz­zano con l’immensa macchina ammi­nistrativa (e ’mangia-soldi’) messa in moto per questa partita. Che è, al tem­po stesso, il terreno di coltura per favo­rire casi di corruzione e il limite all’uti­lizzo di questi fondi. Per ammissione delle stesse Regioni, in Italia abbiamo poche professionalità capaci di far mar­ciare progetti con i fondi di Bruxelles. Questi, infatti, ri­chiedono una pianificazione ’dal basso’ che deve coin­volgere tutti gli attori politi­co- amministrativi, dal go­verno agli enti locali, pas­sando per sindacati, associa­zioni e imprese. È una mac­china­monstre che produce ogni anno migliaia di pagine di piani nazionali e regiona­li, nei quali è una volta di più la burocrazia a farla da pa­drona. E che sfocia in una miriade di micro-interventi difficili da catalogare: si par­la di oltre 10mila. A sfogliare, armandosi di pazienza, gli e­lenchi regionali degli anni scorsi c’è solo l’imbarazzo della scelta, per progetti, a volte inverosimili, dei quali è difficile cogliere una vera le­va ’moltiplicatrice’ di svi­luppo. A meno di pensare che questo passi per la ’bellezza’: l’Emilia-Roma­gna, dal 2007, ha così finanziato corsi per estetiste che sono costati 39,5 mi­lioni di euro. Erano tutti utili, o si sono in parte dispersi in quel sottobosco di enti e agenzie nazionali e regionali per la formazione? E che dire dei 28 milio­ni stanziati dal Lazio per ’acconciato­ri’ e degli 11,7 della Toscana per ’ air stylist ’, scritto così nel bando, senza h? Certe Regioni hanno persino micro­fondi per start up, dotati di pochi mi­lioni. Non mancano casi pure di gran­di aziende che accedono a questi flus­si: in Piemonte, la Fiat di Marchionne ha incassato 3,59 milioni per ’bandi di formazione’ al Lingotto. Pirelli e la fer­roviaria Ntv non sono state da meno. U­na montagna di soldi che potrebbe es­sere spesa invece per favorire più di­rettamente la creazione di lavoro. Da­vanti ai numeri drammatici della di­soccupazione, potrebbe essere l’ora di osare una strategia diversa.