Raffaele Panizza, Panorama 5/6/2014, 5 giugno 2014
IL CATALOGO DEI PIACERI
E fu così che i loro peccati, d’improvviso, smisero d’essere originali. Almeno secondo la quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, pubblicato dalla American Psychiatric Association e tradotto in Italia da Raffaello Cortina editore. Un tomo di 1.200 pagine che provoca una sua rivoluzione, una sorta d’indulto morale destinato a spostare avanti il concetto di normalità applicato al sesso: d’ora in poi, sostengono gli psichiatri, feticisti dei piedi, sadomasochisti con frustino e maschera, travestiti e guardoni, nonché esibizionisti (in termini clinici, tutti portatori di parafilie) non saranno più considerati soggetti disturbati. Non automaticamente, per lo meno. Punto sul quale gli estensori del volume sono chiari: «Per essere patologico, un disturbo parafilico deve causare disagio o arrecare danno a se stessi o agli altri» si legge nel testo che arriva a includere persino la pedofilia tra le tendenze ammissibili: «Di per sé, non giustifica l’intervento clinico».
D’ora in poi quindi ci si potrà avvicinare a chiunque e chiedere: mi scusi, lei è vegano o masochista?
Stasera va alla sagra della ciliegia oppure al Torture Garden (una delle feste fetish più importanti di Londra)? Quel che conta è stare bene con se stessi: «La diffusione della cultura delle parafilie rappresenta anche la loro cura» dice Ayzad, catalogatore di circa 1.500 forme fantasiose di passione nel suo libro XXX-Il dizionario del sesso insolito (l’ultimo lavoro sul tema invece s’intitola La padrona), e organizzatore delle serate Sadistique a Milano. «Il fatto che una persona possa dirsi “non sono malato, posso esplorare” può arginare molti fenomeni generati dalla frustrazione: quello del sadico violento per esempio, o del masochista autolesionista».
Quindi mai più ostracismo verso quell’appassionato del «Sadistique» (appuntamento mensile arrivato alla 120ma replica) che ogni prima domenica del mese si presenta al Nautilus completamente nudo, con una casacca artigianale che mette insieme due zerbini a coprire busto e schiena, e che trascorre la serata sdraiato in un corridoio sperando che perfide padrone su tacchi rigorosamente 15 lo calpestino. Oppure il professore di lettere e accademico della Crusca che con approccio trasversale si presenta col burqa, le calze a rete e tacchi a stiletto. Nessuno scagli una pietra su i looners, feticisti dei palloncini colorati contro i quali si sfregano titillandone le prominenze carnose (sul web: baloonfetish.com). Niente manicomio neppure per i «pony-play», parafilici del travestitismo che amano essere sellati come cavali e in quanto tali s’inginocchiano, si muovono a scatti in stile dressage e nelle forme più estreme tirano persino cocchi e calessi.
E mentre le avanguardie alzano di continuo l’asticella, la cultura pop, la moda, la letteratura, annusano l’aria e «offrono prodotti in grado di dare soddisfazione all’esercito dei “minifeticisti”, che comprende tutti quanti noi, in definitiva» secondo la definizione della sociologa della moda Valerie Steele, autrice di una storia culturale del corsetto e del libro Fetish: moda, sesso e potere.
«È il colpo di coda del mercato» secondo Vanni Codeluppi, massmediologo e teorico del biocapitalismo che sfrutta corpi, emozioni e cervelli, «la modalità con cui oggi la comunicazione mediatica cerca di attirare l’attenzione di un consumatore distratto dalla crisi». Quindi una popstar come Jennifer Lopez vestita di latex rosso e cinghie nella cover di A.K.A., il nuovo album in uscita a giugno, o Miley Cyrus che ammicca al bondage nel video del brano Tongue Tied. E ancora, il gioco – per nulla sottinteso – di una ragazza al banco di verdura nella campagna pubblicitaria Sisley, la Kate Moss con bambolina woodoo (di se stessa) crivellata di spilli per la campagna primaveraestate 2014 di Alexander McQueen, fino alle modelle imbrigliate in tute di pelle per le borse Gucci, con frusta e retina nera sul viso (tra l’altro, il frustino di cristallo da 360 euro risulta l’accessorio più venduto da Agent Provocateur, marchio di intimo che strizza l’occhio al mondo fetish). La letteratura? Non ne parliamo: una lenta educazione sentimentale partita con scandalo negli anni Cinquanta con Histoire d’O e culminata con le Cinquanta sfumature di Grigio, per poi straripare nelle ultime tendenze, a un passo dall’indicibile e l’abominevole. Si chiama «monster sex», oppure «cryptozoological erotica» il genere di ebook che stravende su Amazon e vede protagoniste giovani che intrecciano amplessi con uomini delle nevi, minotauri, maschi-sirena, ciclopi, alieni coi tentacoli (tra i titoli più spericolati: The Geisha and the Yeti e Mounted by the Minotaur).
Una liberazione e un senso di autoassoluzione che divide psicologi e psicanalisti tra chi si ribella (la maggior parte) e chi saluta la novità come una conquista. Franco De Masi, psicoanalista, e autore de La perversione sadomasochistica, parla addirittura di «bestialità: anche perché se nel soggetto pervertito non c’è angoscia, significa che il disturbo è ancora più grave. Se una persona è matta, ed è pure contento di esserlo, è anche peggio». Alberto Caputo invece, presidente dell’Istituto di evoluzione sessuale, è tra i sostenitori del nuovo approccio che, incrociando i dati dell’Istituto Kinsey con quelli di ricerche più di costume come la Durex Sexual Wellbeing Global Survey, potrebbe riguardare una percentuale di popolazione tra 6 e 8 per cento (in Italia, circa 4 milioni di adulti). «La patologizzazione dei comportamenti atipici è sempre stata un fattore culturale, con una forte componente di giudizio morale» afferma. «Negli ultimi trent’anni chi ha praticato le perversioni soft l’ha fatto per affermarsi ideologicamente e aprire una strada. Tocca a noi, adesso, sfruttare l’occasione per esplorare in modo più completo il piacere».