Paolo Biondani, L’Espresso 6/6/2014, 6 giugno 2014
SE LA BANCA FA LA SPIA
Addio Lugano bella? Da qualche mese, centinaia di italiani con i soldi nascosti nelle banche svizzere stanno ricevendo lettere di questo tipo: «Egregio signor cliente, la informiamo che, in base alle nuove direttive, lei è tenuto a trasmetterci i documenti che dimostrino la regolarità fiscale dei suoi investimenti; in caso contrario, saremo obbligati a chiuderle il conto». Il testo cambia da un istituto all’altro, alcune comunicazioni sono drastiche, altre più morbide e indirette, ma l’effetto generale è un’ondata di panico tra gli evasori nostrani che fino a ieri confidavano nell’assoluta incrollabilità del segreto bancario elvetico. E che ora cominciano ad affollare gli studi professionali di Milano e altre città per informarsi sulla "voluntary disclosure", la procedura eccezionale per regolarizzare i patrimoni esteri non dichiarati, varata il 28 gennaio con un decreto legge del governo Letta, ma congelata dal 28 marzo e ora rilanciata in Parlamento. Con molte incognite. Avvocati e commercialisti, con le loro lobby, attendono l’esito della battaglia politica sugli emendamenti, per misurare costi, benefici e rischi penali del meccanismo di autodenuncia che verrà consacrato nel testo definitivo, che i relatori del Pd sperano di far ridiventare legge entro luglio. L’Agenzia delle Entrate si prepara a incassare il gettito di un provvedimento che, nei soli 60 giorni in cui è rimasto in vigore nella sua prima versione, ha già portato nelle casse dello Stato più di mezzo miliardo di euro. Mentre i magistrati più esperti avvertono che, senza il bastone del nuovo reato di auto-riciclaggio, la carota della disclosure potrebbe risultare inutile e provocare addirittura contraccolpi indigeribili: una nuova fuga di capitali neri, come accadde nel 2004 per sottrarsi alla "euro-ritenuta", questa volta verso paradisi fiscali ancora più inaccessibili della Svizzera.
«Non sarà un condono», spiega Marco Causi, il parlamentare del Pd che è il primo firmatario del disegno di legge: «Il contribuente dovrà versare tutte le imposte sui redditi non dichiarati e otterrà solo uno sconto sulle sanzioni, nel rispetto delle linee-guida dettate dall’Ocse e già applicate in Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna. Stiamo lavorando a un’intesa su pochi emendamenti, soprattutto per semplificare i calcoli del fisco, ma il testo base votato dalla commissione Finanze resta fermo: la disclosure sarà una vera autodenuncia, paragonabile al tradizionale "ravvedimento operoso", che stiamo discutendo di rendere applicabile anche a chi ha nascosto capitali qui in Italia, per evitare una paradossale discriminazione a favore dei soli evasori con i conti all’estero».
Una cauta apertura arriva dal professor Vincenzo Visco, ex ministro del centrosinistra e nemico giurato degli scudi «anonimi e criminogeni» dell’era berlusconiana di Giulio Tremonti: «Se l’evasore si consegna al fisco prima di essere scoperto e paga tutte le tasse e multe, non mi sembra scandaloso riconoscergli la non punibilità per il reato minore di evasione semplice, purchè non ci si inventi un’amnistia anche per le frodi sistematiche. Piuttosto ho qualche dubbio sul gettito: perchè dovrebbero autodenunciarsi ora gli evasori che non hanno approfittato del favoloso scudo con garanzia di anonimato del 2009-2010?».
Un possibile movente sono le pressioni internazionali che, dopo anni di crisi economica, hanno costretto perfino la Svizzera - sospettata di custodire almeno 70 miliardi di capitali in fuga dal fisco italiano - a siglare l’accordo dell’Ocse per lo scambio di informazioni sull’evasione internazionali. Per ora c’è stata solo un’adesione politica, la prima tappa di un cammino che dovrebbe concludersi con nuove leggi elvetiche entro il 2017. L’avvocato Gianluca Gigantino, ex ufficiale della Guardia di Finanza, avverte però che «il vero problema, per le maggiori banche svizzere, è l’allargamento del reato di riciclaggio, che in passato colpiva solo fatti di mafia, terrorismo o frodi criminali, mentre ora sta diventando applicabile anche all’evasione in sé». Di qui le lettere-ultimatum, che le banche svizzere hanno cominciato a spedire anche in Italia già nel 2012. Con significative varianti: fino a pochi mesi fa, le richieste di regolarizzazione fiscale riguardavano solo i «nuovi conti» o «nuovi depositi» ed erano indirizzate soprattutto ai gestori patrimoniali e procacciatori di clienti, tanto da sembrare quasi un alibi per scaricare eventuali violazioni sui consulenti esterni. Ora invece le banche elvetiche iniziano a recapitare comunicazioni molto più rigide direttamente ai clienti italiani, probabilmente selezionati tra i più indifendibili e quindi chiamati non solo a giustificarsi, ma a dare la prova preventiva di aver pagato le tasse in patria. L’avvocato Andrea Mifsud conferma che solo il suo studio è stato già contattato da più di cinquanta clienti: «E ora cominciano ad arrivare anche lettere da banche di Montercarlo». Per uscire dalla lista nera Ocse, stanno promettendo collaborazione fiscale, almeno a parole e per un futuro più o meno prossimo, perfino paradisi fiscali come Singapore.
Il procuratore aggiunto Francesco Greco, capo dei pm milanesi specializzati nei reati societari, che ha collaborato come tecnico a stendere il testo base sulla disclosure, ha segnalato nelle audizioni in parlamento un grave pericolo, che sintetizza così: «L’Italia rischia di perdere alcuni miliardi di nuove entrate. Come scrive l’Ocse, è fondamentale introdurre il reato di auto-riciclaggio insieme alla disclosure. In questo momento siamo nella situazione peggiore: gli italiani che hanno nascosto soldi in Svizzera non hanno una strada legale per denunciarli senza auto-incriminarsi, mentre possono spostarli liberamente in un altro paradiso fiscale». Le banche elvetiche, in effetti, non minacciano di denunciare gli evasori, ma solo di chiudere i loro conti.
Anche il relatore Causi è convinto che «la disclosure va approvata insieme all’autoriciclaggio». Il nuovo reato, che permetterebbe di incriminare direttamente i padroni dei tesori neri (e non solo i complici esterni che aiutano a occultare i soldi dei mafiosi, bancarottieri o evasori) è un cavallo di battaglia del nuovo capo dell’Anticorruzione, il magistrato anti-camorra Raffaele Cantone. Tra giugno e luglio, nei passaggi tra Camera e Senato, potrebbero però spuntare le sorprese, travestite da emendamenti con l’alibi di rendere più appetibile e aumentare il gettito della disclosure: Forza Italia, con l’ex radicale Daniele Capezzone, già propone di far pagare solo metà delle imposte evase, scelta che trasformerebbe la disclosure nel cinquantanovesimo condono della storia d’Italia.
Sul tema chiave del gettito, non va dimenticato che l’Ucifi, il nuovo ufficio per la lotta all’evasione internazionale diretto da Antonio Martino, storico braccio destro del pm Greco, ha siglato già l’anno scorso, senza bisogno di nuove leggi, una lunga serie di accordi, tra cui spiccano i circa 400 milioni versati dal gruppo Prada per chiudere ogni vertenza. Secondo l’avvocato Sebastiano Stufano, un altro ex ufficiale che fu tra i protagonisti delle indagini fiscali di Mani Pulite, proprio le società, con adeguati incentivi, potrebbero garantire un gettito-record alla disclosure: «I casi di persone fisiche che hanno ereditato conti esteri da un parente defunto esistono, ma sono marginali. Molto più numerosi sono i titolari di società che sarebbero pronti a riportare i soldi in Italia, ma temono ripercussioni sulle loro aziende o di dover denunciare gli amministratori e i dirigenti che hanno creato quel nero. Questo aspetto va regolato in modo chiaro dalla legge». Di qui l’idea di Stufano e del collega Gigantino: «Prevedere una "causa di non procedibilità condizionata", che non condona nulla del passato, ma anzi incentiva a rispettare la legge per il futuro: quando lo Stato incassa tutti i soldi, il processo penale resta sospeso, ad esempio per cinque anni, ma il reato si estingue solo se per tutto quel periodo la società non commette alcuna nuova evasione. Con una norma del genere patteggerebbero in molti».