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 2014  giugno 06 Venerdì calendario

ABLYAZOV MI VOGLIONO UCCIDERE


Per la prima volta da quando è dietro le sbarre, Mukhtar Ablyazov, 51 anni,l’ex oligarca kazako, fa sentire la sua voce. E attacca la Russia di Putin, che spalleggia il Kazakistan nel tentativo di farlo tornare in patria. Dove lo aspetta da tempo, e non certo per tributargli un’affettuosa accoglienza, il suo storico rivale, il dittatore Nursultan Nazarbayev. Ablyazov - diventato famoso anche in Italia dopo la frettolosa espulsione in Kazakistan della moglie Alma Shalabayeva e della figlioletta Alua, che scatenò grandi polemiche contro il ministro dell’Interno Angelino Alfano - è stato arrestato la scorsa estate in Francia, vicino a Grasse, nell’entroterra della Costa Azzurra, ed è attualmente detenuto in un carcere a Corbas, nei pressi di Lione. L’intervista è stata condotta per corrispondenza nelle passate settimane.
Signor Ablyazov, i mandati di cattura diramati dall’Interpol che hanno portato al suo arresto in Francia sono stati richiesti nel 2009, dalla Russia e dall’Ucraina, allora filorussa. Su quali accuse si basano?
«La Russia, a quel tempo anche insieme all’Ucraina, si è alleata con il Kazakistan su personale richiesta di Nazarbayev. Durante il mio soggiorno nel Regno Unito, tra il 2009 e il 2012, questi mandati di cattura sono stati ignorati. I francesi invece, l’anno scorso, hanno deciso per l’arresto. La semplice verità è che la Russia sta abusando dell’Interpol per ottenere la mia estradizione. Kazakistan e Russia (e fino a poco fa l’Ucraina) sono Paesi alleati nell’eliminazione degli oppositori politici. Non sono un criminale e una cosa è certa: se mai sarò estradato in Kazakistan, non avrò speranza di avere un processo equo».
Lei ha chiesto di essere messo in isolamento perché si ritiene in pericolo di vita. Cosa le fa credere di essere a rischio, in un carcere francese?
«Secondo i miei avvocati francesi sarebbe molto facile essere ammazzato in un "incidente" in prigione. Sanno che il regime kazako opera totalmente al di fuori della legge. Mi hanno detto che sarebbe semplice e poco costoso per il regime commissionare il mio omicidio in carcere, magari per mano di un altro detenuto».
Perché la giustizia francese non le sta concedendo gli arresti domiciliari?
«La polizia metropolitana di Londra mi ha formalmente allertato su un complotto di natura politica finalizzato al mio rapimento o al mio assassinio. I diplomatici kazaki a Roma hanno rapito mia moglie e mia figlia, che erano state individuate da investigatori privati israeliani e italiani. In Svizzera è in corso un’indagine penale perché investigatori privati sono stati sorpresi a pedinare illegalmente la mia figlia maggiore Madina e la sua famiglia. Pertanto l’autorità francese teme, a ragion veduta, che qualora mi dovesse rilasciare si potrebbe verificare un incidente sul territorio francese».
È riuscito a incontrare sua moglie e sua figlia nel carcere francese?
«Sì, dopo che Alma e Alua sono ritornate a Roma, il 27 dicembre del 2013, sono venute a trovarmi a sopresa in prigione il 31 dicembre».
Lei è stato molto duro con l’Italia, dopo l’espulsione di sua moglie e sua figlia. Come la giudica ora, dopo il ritorno a Roma di entrambe?
«L’allora ministro degli Esteri Emma Bonino ha preso atto della verità e ha assunto una posizione coraggiosa, in seno al suo governo. La nostra famiglia ha un enorme debito di gratitudine nei suoi confronti».
Ma le iniziali pressioni sull’Italia da parte kazaka sono state esercitate a livello politico, imprenditoriale o su entrambi?
«So come opera il regime kazako. È una delle dittature pù ricche al mondo. Nel darmi la caccia, il regime ha fatto più volte pressione sui leader occidentali a livello politico, promettendo importanti commesse in cambio della mia cattura e della mia estradizione. Il regime kazako ingaggia anche importanti uomini d’affari nei Paesi dell’Ovest, per esercitare pressioni sui politici affinché abbiano un atteggiamento amichevole con il dittatore. Non ho motivo di ritenere che la situazione sia stata diversa per ottenere l’espulsione di mia moglie e di mia figlia dall’Italia».
Era circolata la voce che, al momento del suo arresto, lei fosse in compagnia di un’amante.
«Quando sono stato arrestato ero con mia sorella e mio nipote. I kazaki hanno riferito anche alle autorità francesi, come hanno fatto in Italia, che disponevo di una milizia armata al mio seguito. Sono stato arrestato da forze speciali equipaggiate con mitragliatrici e un elicottero. E hanno trovato un uomo in pantaloni corti al computer e una donna e una ragazzina in vacanza. Il regime ha assassinato i miei alleati politici, ha imprigionato me, torturandomi quasi fino alla morte, ha intrapreso una delle più costose azioni legali della storia, basate sulle loro menzogne e su prove false, per rovinarmi finanziariamente e fisicamente. Hanno cercato di distruggere anche la mia reputazione e di rivoltare la mia famiglia contro di me. Ma nel tentativo di annientarmi il regime è riuscito solo a rendere più forte la nostra famiglia».
Ha avuto a che fare con i sistemi giudiziari di Inghilterra, Francia e Italia. Di quale, adesso, si fida di più?
«Quel che emerge è che il Kazakistan è stato in grado di manipolare i sistemi giudiziari europei, che nel quadro della cooperazione internazionale si basano sulla fiducia, e il Kazakistan si adopera molto per presentarsi come Paese apparentemente affidabile. Ma con il rapimento di mia moglie e mia figlia in Italia è caduta la maschera del regime kazako. L’Italia si trova adesso in una situazione migliore rispetto a qualunque altro Paese per comprendere il vero volto del regime kazako. Gli altri stanno ancora imparando».