Wlodek Goldkorn, L’Espresso 6/6/2014, 6 giugno 2014
E MR. CIOCCOLATO ADDOLCÌ PUTIN
Racconta un diplomatico europeo di stanza a Kiev che un giorno venne a trovarlo un importante esponente del governo ucraino. Chiedeva: «Cosa dobbiamo fare con la Russia di Putin?». La risposta del diplomatico occidentale: «Parlare, trattare, non perdere occasione per instaurare un dialogo». L’uomo politico ucraino obbiettò: «Ma i russi sparano addosso ai nostri soldati». Il diplomatico insistette: «È proprio per questo che dovete cercare una soluzione pacifica». Questo dialogo riassume il compito che ha davanti il neoeletto presidente Petro Poroshenko.
Di lui, soprattutto sulla stampa occidentale, si è detto che è un oligarca, il re del cioccolato (il Willy Wonka dell’Ucraina), un uomo che dispone di una fortuna da favola. La stampa russa (controllata dal regime) è stata invece cauta. Salvo frange estreme e antisemite, che hanno cercato di accreditare una versione per cui Poroshenko sarebbe un mezzo ebreo, anzi figlio di un «ebreo rinnegato originario della Moldova», da Mosca a San Pietroburgo c’è stata un’insolita moderazione nei commenti. E del resto, lo stesso Vladimir Putin e il suo ministro degli Esteri Sergej Lavrov hanno ribadito di riconoscere i risultati delle consultazioni ucraine; una mossa nient’affatto scontata.
E allora, chi è Poroshenko? La risposta, la più importante che si evince parlando coi diplomatici, politici, uomini e donne occidentali che frequentano e conoscono l’Ucraina, è drammatica: «Poroshenko è la persona a cui è stato affidato il compito di salvare la pace in Europa, né più né meno». Per capire se sarà in grado di farlo e come, vale forse la pena di raccontare la sua biografia e le frequentazioni. Partendo, quasi, dalla fine. Era dunque il 1 dicembre dell’anno scorso. A Kiev, i manifestanti di piazza Maidan stavano cercando di dare l’assalto agli uffici della presidenza dell’odiato Viktor Yanukovych (la sua colpa: aver voluto stringere un accordo di cooperazione economica con la Russia a scapito di una collaborazione con l’Unione Europea). All’improvviso, nei paraggi si sono visti gli uomini del Berkut, squadracce al soldo del regime. Lo scontro tra le due fazioni (tra quelli di Maidan erano presenti militanti agguerriti dell’estrema destra) sembrava inevitabile. E invece, eccolo, un uomo di 48 anni, dalla faccia mite, sale sul tetto di un’automobile e sfidando la folla comincia a parlare: spiega che l’assalto sarebbe stato una pazzia, che i rapporti di forza sono sfavorevoli ai manifestanti. Non rimane quindi che prendere atto della realtà e rinunciare alla battaglia per vincere la guerra, in un secondo tempo, e magari con altri mezzi. È Poroshenko e li convince.
Forse sarebbe esagerato pensare che risale a quel singolo episodio l’idea che si sono fatte le diplomazie occidentali per cui sarebbe stato il re del cioccolato, e non il pugile Vitali Klitschko, l’uomo ideale per guidare la transizione dell’Ucraina dal regime autoritario, filorusso e corrotto oltre ogni limite (anche oltre gli assai labili ed elastici limiti del Paese), verso un riposizionamento europeista che tenesse conto delle aspirazioni indipendentiste della popolazione. Ma non ci sono dubbi che Poroshenko è il beniamino dell’Occidente.
C’è una divisione dei compiti per quanto riguarda la questione ucraina. Il Paese che più si è speso nella difesa della sua integrità territoriale e della collocazione europea è la Polonia. Per i polacchi si tratta della ragion di Stato. Lo dicono apertamente i politici e i diplomatici di Varsavia. I motivi sono geopolitici: tenere i russi lontani dal confine polacco. Ma ci sono anche legami storici: l’Ovest dell’Ucraina, fino al 1939, faceva parte della Polonia. Leopoli, la metropoli galiziana, è, per quanto riguarda la cultura e la memoria collettiva, polacca, una città non meno importante di Cracovia. E da quando l’Urss cessò di esistere, i polacchi sono massicciamente presenti in Ucraina. Del resto, lo stesso Poroshenko con i polacchi ha ottimi rapporti: ha visitato più volte il Paese (nella capitale polacca il suo primo viaggio da presidente dove si è del resto recato per quattro volte negli ultimi due anni), tra i suoi amici ci sono eurodeputati di primo piano di Varsavia. E l’attuale governo polacco giudica Poroshenko come l’uomo appunto capace di capire che Putin ha bisogno di essere rassicurato circa i suoi interessi in Ucraina. Non solo, dei polacchi si fidano gli americani. Ecco dunque che il premier Donald Tusk è garante di Poroshenko presso Barack Obama. L’uomo che guida l’esecutivo di Varsavia ha poi ottimi rapporti con Angela Merkel, i due sono in sintonia da sempre. Berlino è l’altra capitale molto presente sullo scacchiere ucraino. È la cancelliera, appunto, che, forte delle assicurazioni di Tusk circa le buone intenzioni di Kiev, a sua volta parla con Putin; e cerca di persuaderlo a mostrare un minimo di moderazione.
A frenare i russi, dicono i diplomatici di stanza a Kiev, c’è anche l’eccezionale affermazione di Poroshenko alle elezioni. Con il suo 54 per cento dei voti ha marginalizzato le forze dell’estrema destra (ridotte all’1 per cento circa); ha reso ininfluente Yulia Tymoshenko (12 per cento) considerata dagli occidentali un’avventuriera senza scrupoli; soprattutto ha sbarrato la strada ad altri due oligarchi ritenuti pericolosi e inaffidabili: Rinat Akhmetov e Ihor Kolomoisky.
Ma lui, è davvero un oligarca? L’uomo possiede un patrimonio che vale circa 1,7 miliardi di dollari. Il suo business principale è appunto il cioccolato. Roshen, la compagnia che dirige, lo esporta in 35 Paesi del mondo; compresa la Russia. E c’è chi dice (con malizia) che il suo massiccio impegno nella causa di Maidan l’anno scorso fosse dovuto al fatto che i russi avevano bloccato le importazioni delle sue merci e avevano cercato di chiudere una sua fabbrica nel loro territorio. Oltre a Roshen, Poroshenko è attivo nel business dei trasporti: è lui a produrre e gestire la rete dei minibus Bohdan che assicurano i collegamenti tra le città del Paese; possiede circa 10 mila ettari di terra, con allevamenti di maiali; e soprattutto è proprietario di Canale 5, tv che esercita molta influenza tra le élite, anche se non gode di ascolti da record. Più volte ha dichiarato che, una volta eletto presidente, avrebbe venduto le fabbriche, ma non i mezzi d’informazione.
E tuttavia gli intellettuali ucraini dicono che non si tratta appunto di un oligarca. Lo spiegano così: l’oligarca è qualcuno che per via di legami politici e mafiosi si è impadronito di mezzi dello Stato, e poi, una volta privatizzati questi, ne vende le merci in regime di monopolio. Lui, invece, i suoi soldi li ha guadagnati, più o meno onestamente. Nato a Bolgrad, vicino a Odessa, cresciuto a Vinnitsa, nell’Ucraina centrale, laureato all’Università di Kiev (in diritto e relazioni internazionali), mentre l’Urss stava crollando, Poroshenko si è messo a importare cacao, un’attività allora del tutto marginale. E che tuttavia gli ha procurato molta fortuna. Accumulata, appunto, grazie a industrie che non sono "strategiche" (come ad esempio le importazioni del gas). Dicono anche che pure il suo stile di vita non sia da oligarca. È sposato, da quando aveva poco più di vent’anni, con la stessa donna, una cardiologa, di nome Marina. Anche se, per la verità, lei non viene esattamente dal popolo: suo padre era viceministro della Salute nel governo sovietico ucraino. Da Marina, Poroshenko ha avuto quattro figli (tutti quanti hanno studiato in Occidente). Aggiunge chi lo conosce bene: è pure tirchio. Insomma, il nuovo presidente si è costruito un’immagine di uomo tranquillo dotato delle antiche virtù borghesi. Questo quadretto idilliaco forse non è del tutto vero. Il maggiore dei figli di Poroshenko è comunque deputato al Parlamento. E lui stesso è sempre stato presente sulla scena politica. Ha fondato e cambiato partiti («Qui le formazioni politiche vengono messe in piedi per essere poi vendute al miglior offerente», dice un poeta locale); è stato quattro volte deputato per conto di vari campi politici; e anche segretario del Consiglio per la sicurezza, governatore della Banca centrale, ministro degli Esteri e titolare del dicastero dell’Economia. Ma, dicono, anche in quel campo ha dimostrato una certa onestà: rassegnava le dimissioni quando non era d’accordo; ha appoggiato la rivoluzione arancione e poi Maidan. E comunque è un uomo di transizione. Deve stabilizzare il Paese, rilanciare l’economia, agganciare l’Europa senza scatenare la guerra con la Russia. Si vedrà.