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 2014  giugno 06 Venerdì calendario

SFIDO IL GRANDE FRATELLO

[Colloquio Con Edward Snowden] –

La sorveglianza di massa di intere nazioni e di cittadini che non sono sospettati di alcun crimine o illegalità è una chiara violazione dei diritti umani e non dovrebbe essere stata mai autorizzata». Da un anno esatto Edward Snowden è uno degli uomini più ricercati di tutti i tempi. Ha svelato qualcosa che sembrava incredibile, la declinazione tecnologica del controllo orwelliano: una ragnatela di spionaggio capace di penetrare nella vita di chiunque. I suoi documenti sono riusciti a dimostrare come la National Security Agency statunitense sia in grado di spiare l’intero pianeta, Italia inclusa: un moloch informatico che ha intercettato e conservato miliardi di email, telefonate, sms, chat, commenti su Facebook e sui social network, video postati su YouTube, consultazioni su Google e sugli altri motori di ricerca, transazioni economiche e operazioni delle carte di credito. Dati che identificano chi siamo, chi frequentiamo, di cosa parliamo, cosa pensiamo di un certo argomento, cosa ci piace, ci emoziona o ci disgusta, quello che acquistiamo, quanto spendiamo e come. La sua è una sfida senza precedenti, in nome della democrazia, per «preservare le vecchie libertà in un’età nuova».
Edward Snowden risponde alle domande de "l’Espresso" dal suo rifugio in Russia, il Paese che gli ha concesso asilo temporaneo. Non si arrende. Ma non si illude. Non crede che sarà un cammino facile quello delle riforme per mettere un freno allo spionaggio della Nsa: «I difensori dello Stato di sorveglianza presenti nel Congresso di Washington non molleranno mai di loro iniziativa un programma se credono che questo dia loro dei vantaggi. E non lo faranno neppure se il programma viola la Costituzione».
La sua rivoluzione è cominciata il 5 giugno del 2013, quando il "Guardian" di Londra è uscito con il primo articolo basato sui documenti top secret consegnati a due giornalisti americani indipendenti, Glenn Greenwald e Laura Poitras, e al collega della testata britannica Ewen MacAskill. Come in una spy story, i tre erano volati a Hong Kong per incontrare una misteriosa fonte che li aveva contattati in modo anonimo, promettendo notizie esplosive. Quella fonte era Edward Snowden, un cittadino statunitense di neppure trent’anni che aveva lavorato nel cuore della macchina di intelligence americana. E che da allora si è ritrovato al centro di una caccia all’uomo colossale, scatenata dal governo più potente del mondo. È riuscito a salvarsi grazie all’organizzazione di Julian Assange, WikiLeaks, che ha spedito a Hong Kong una sua giornalista, Sarah Harrison. Lei lo ha prelevato, imbarcato su un volo alla ricerca di asilo ed è rimasta con lui per 39 giorni nell’aeroporto di Mosca, uscendone insieme solo dopo che la Russia gli aveva concesso rifugio.
Un anno dopo, soltanto una percentuale minuscola dei file che ha sottratto dagli archivi della Nsa è stata resa pubblica. Ma è bastata per fare aprire gli occhi sull’invadenza che ha raggiunto il controllo elettronico. Sotto accusa non c’è lo spionaggio vecchio stile, "il secondo mestiere più antico del mondo" reso romantico dai libri di Ian Fleming e John Le Carrè. Snowden ha fatto conoscere una minaccia sistematica alle libertà fondamentali dell’intera società che è sempre più fusa con la Rete, perché è attraverso Internet e smartphone che scorre la nostra vita: interagiamo, ci diamo appuntamento, partecipiamo, condividiamo, esprimiamo consenso o dissenso, dalla politica alle scelte più intime e personali. E lui continua a credere che si possa domare questa macchina infernale. «La battaglia per la riforma dei programmi di sorveglianza di massa non sarà facile, ma può essere vinta», dichiara a "l’Espresso". Il problema è in che modo sconfiggere un Leviatano tecnologico che ormai opera da un decennio: come le armi nucleari, i sistemi per il controllo globale non possono essere smantellati e cancellati dalla mente dell’uomo. Un governo non rinuncerà mai a strumenti così sofisticati, in cui ha investito cifre colossali. Snowden concorda, ma allo stesso tempo pensa che «la sorveglianza non è come le armi nucleari, perché può essere combattuta direttamente e anche con risorse economiche modeste, usando tecnologia completamente gratuita». Non entra nel dettaglio su quali tecnologie esattamente aiutino a sconfiggere la sorveglianza di massa, ma più volte ne ha parlato pubblicamente: è la crittografia la chiave per proteggere la privacy nell’era del controllo totale, la stessa a cui si è affidato per consegnare i suoi segreti.
Eppure nonostante lo scandalo sollevato dalle sue rivelazioni, dopo un anno ancora non si è arrivati a riforme concrete. «È un momento importante per le riforme», replica, «ma ad oggi sembra chiaro che l’unica corte che ha cercato di affrontare seriamente il problema è quella europea di giustizia». È un plauso alla Corte europea di giustizia che ha dichiarato "invalida" la direttiva Ue che obbliga le aziende di telecomunicazioni a conservare per due anni i dati del traffico telefonico e Internet di tutti i cittadini, indiscriminatamente. Una sentenza importante ma, a due mesi dalla decisione dei giudici di Strasburgo, non è ancora chiaro fino a che punto gli Stati europei ne terranno davvero conto. Di fronte a questa incertezza e inazione, però, Snowden avverte che «se i governi falliscono nel proteggere i diritti dei cittadini, perderanno molto più di quanto guadagnano». E aggiunge: «Quando i cittadini perdono la fiducia nell’autorità, hanno una tendenza a creare le proprie soluzioni». Come? Ancora una volta si riferisce alla possibilità di proteggere la privacy attraverso meccanismi di criptografia (vedi box a fianco), «rafforzando i nostri diritti attraverso le leggi superiori della scienza e della tecnologia».
Come finirà questa sfida? Sulla base della sua esperienza nel più potente apparato di intelligence del mondo, lei crede che nel futuro la Rete diventerà uno strumento per potenziare la democrazia oppure un sistema di controllo assolutistico, l’anticamera di nuove forme di tirannia? «Dipende da noi. Internet è uno straordinario amplificatore di potere, ma amplifica sia il potere degli individui che quello degli Stati. Potenziare i super-Stati, già strapotenti e ultra-organizzati, ha ristretto il dominio delle nostre libertà in modo grave, perché gli Stati avevano già molto più potere rispetto a qualsiasi singolo individuo», risponde, «ma se consideriamo il potere aggregato delle comunità civili che si formano su Internet per solidarietà verso una certa causa, senza barriere nazionali – una comunità digitale che mai prima di ora era esistita nella storia - c’è ragione di sperare. Gli Stati sono potenti, ma questa comunità unita è ancora più forte e l’energia potenziale di una comunità tecnica globale, organizzata ma senza frontiere nazionali, rende anche il più potente degli Stati solo e vulnerabile».
Negli Usa sta accadendo qualcosa di simile. Una nazione fortissima deve fronteggiare la mobilitazione dell’intera opinione pubblica mondiale, indignata per le rivelazioni sullo spionaggio di massa: una protesta spontanea, che non ha avuto bisogno degli stimoli di partiti, lobby o movimenti tradizionali. E che ha spinto governi come quello tedesco ad assumere posizioni durissime nei confronti di Washington. Uno degli argomenti impugnati dai difensori dell’intelligence globale è stato ripetuto spesso: gli Stati Uniti fanno né più e né meno quello che fanno Russia e Cina. «I russi, i cinesi e ogni altra nazione che consideriamo nella "lista dei cattivi" possono solo sognare le capacità della Nsa, perché non spendono settantacinque miliardi di dollari all’anno per i programmi di intelligence», ribatte sicuro Snowden, «ritengo ragionevole dire che gli Stati Uniti siano, in alcuni aspetti chiave, guidati dalle migliori intenzioni, ma noi americani abbiamo perso la nostra strada nell’impostare la politica nazionale. La sorveglianza di massa di interi Paesi e di persone che non sono sospettate di alcun crimine o illegalità è un’evidente violazione dei diritti umani e non avrebbe mai dovuto essere stata autorizzata. Il governo stesso riconosce questo, avendo liberamente sottoscritto l’articolo 12 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che proibisce questo tipo di interferenza arbitraria nelle nostre vite private».
L’intervista con Snowden si chiude con una riflessione sull’organizzazione che lo ha salvato: WikiLeaks. «Loro sono assolutamente senza paura nel mettere i princìpi al di sopra della politica. WikiLeaks, per il solo fatto di esistere, ha indurito la spina dorsale di istituzioni di molti Paesi, perché i direttori di giornale sanno che se si fanno intimidire e non pubblicano una storia importante ma controversa, allora rischiano di finire bruciati da un’alternativa globale ai singoli giornali nazionali (che è WikiLeaks, ndr). Le nostre politiche possono essere differenti, ma i loro sforzi per costruire una cultura senza confini di trasparenza e per la tutela delle fonti sono straordinari: corrono i rischi da cui tutti scappano. E in un tempo in cui il controllo governativo sull’informazione può essere spietato, credo che rappresentino un esempio vitale di come preservare le vecchie libertà in un’età nuova».