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 2014  giugno 06 Venerdì calendario

«FABIANA FILIPPI LA NOSTRA SFIDA»


LA GRIFFE
«È che noi italiani siamo impauriti. Abbiamo paura di perdere occasioni, ci sentiamo insicuri... E così ognuno va per conto suo, difende il suo angolino come viene viene». Mario Filippi è col fratello Giacomo il fondatore di Fabiana Filippi, uno dei nuovi brand in ascesa in un made in Italy che si difende ormai solo se esporta. Il giro d’affari della spa dei fratelli umbri è cresciuto del 30 per cento negli ultimi anni, il prodotto (cashmere e non solo, maglieria ma anche capi spalla) è esportato per il 73 per cento e venduto a consumatrici in ben trenta paesi.
Siamo in azienda, a Giano dell’Umbria, e mentre giriamo nei vari settori della fabbrica, Mario Filippi approfondisce il punto di partenza: «Le pare possibile che il Festival del jazz e il Festival di Spoleto si sovrappongano nel week end finale? Spoleto ha il concerto di musica classica in piazza del duomo, una cosa magica, ma la stessa sera c’è anche Umbria jazz. Questo significa non parlarsi, farsi concorrenza quando invece potremmo prolungare la nostra stagione con un turismo di qualità. Che vuole farci? Noi italiani siamo fatti così».
LO STABILIMENTO
Fabiana Filippi è nata nell’85, e il brand ha lo stesso nome dell’unica figlia di Giacomo. Lo stabilimento è nuovo, cento persone lavorano in questi ottomila quadri dove il cemento lucidato si mescola al granito rosso dell’ingresso.
Con Mario e Giacomo è in squadra da sempre anche la moglie di quest’ultimo, Donatella. Come si fa ad andare d’accordo per trent’anni? Risponde Mario, il comunicatore dell’azienda: «Donatella è una persona squisita, il lato creativo del team. Il segreto, se c’è, è stabilire con chiarezza le competenze di ciascuno, rispettandole. Se un collaboratore viene a chiedermi una cosa che è di competenza di Giacomo io gli rispondo: se è urgente ti aiuto, ma se no chiedi a Giacomo. L’ho imparato facendo il militare».
I fratelli si sono divisi i compiti: Mario si occupa del prodotto, del commerciale e della comunicazione. Giacomo segue tutto l’aspetto produzione, la logistica e il personale. «Ogni tanto si discute, è normale, ma ci si rispetta. I nostri genitori sono contadini, ancora oggi la domenica ci invitano a pranzo. Ma se litighi col fratello durante la settimana poi a pranzo non ci vai».
LE MAGLIERISTE
Giriamo per i vari uffici. La gente qui lavora da anni. C’è il perito industriale che ha sviluppato una competenza ibrida: è un programmatore, vive davanti al computer, ma conosce bene anche le problematiche dei filati perché lavora sugli appunti che gli passa la maglierista. Le macchine di produzione sono giapponesi: «Ma è chi le usa che deve avere mani capaci», dice Mario Filippi.
E se i cinesi vi copiano prima le macchine e poi i prodotti? «Ci metteranno almeno il doppio degli anni che ci abbiamo messo noi a consolidare il made in Italy. Le persone che vede qui sono cresciute in Italia, hanno il senso del bello, lavorano in un ambiente che tiene conto dal fattore estetico. Lei li ha visti i capannoni dell’estremo Oriente?».
Donatella Filippi dice che il problema serio è un altro: «Non è facile trovare brave maglieriste, non tutti hanno capito che il futuro sarà ancora il lavoro manuale. E pensare che un’operaia esperta guadagna il doppio di un impiegato statale».
Cosa servirebbe a un’azienda come la vostra? Giacomo Filippi non ha dubbi: «Un po’ di elasticità nelle assunzioni. Nel nostro settore c’è anche una quota di lavoro stagionale, ci sono picchi che avrebbero bisogno di poter assumere per qualche mese. Usiamo molto la leva degli straordinari, ma non sarebbe meglio lavorare meno e lavorare tutti, anche se non per tutto l’anno?».
L’UNICITÀ
Intanto ci siamo spostati a Bevagna, a pranzo in uno dei piccoli ristoranti dai quali i turisti stranieri non vorrebbero alzarsi mai. Si parla del brand Italia, una visione di Paese più che un progetto. Nerio Alessandri, il fondatore di Technogym, ne ha discusso anche con Matteo Renzi e la vede come l’unica strada per dare un futuro alle nuove generazioni. I fratelli Filippi condividono il suo punto di vista: «Lei sta a tavola con due che hanno fatto il corso da sommelier. Perché volevamo cambiare lavoro? No, perché ci piace conoscere quel che beviamo. E allora: perché non immaginare dei veri e propri corsi di buon vivere? Un metodo per far apprezzare l’unicità della qualità del vivere in Italia. Guardi cos’è successo agli chef. Nessuno voleva fare il cuoco, ora è una professione di successo».
Il futuro dell’Italia però dipenderà pure da come si comportano gli italiani, non vi pare? Giacomo e Mario Filippi concordano: «Un Paese dove tutti rubano non può riprendersi dal declino. Quando abbiamo cominciato, abbiamo avuto la fortuna di confrontarci con un consulente serio. Ci disse due cose: “Le tasse dovete sempre pagarle. E gli utili dovete reinvestirli nell’azienda”. Non abbiamo comprato appartamenti a Parigi».