Sergio Romano, Corriere della Sera 6/6/2014, 6 giugno 2014
NAZIONALISMO GIAPPONESE LE NUOVE STRATEGIE
In un libro recente lei scrive della storia giapponese
degli ultimi due secoli. Lo sviluppo, fatto risalire al governo dell’imperatore Meji iniziato nel 1871, era stato accompagnato da una aggressività resa evidente dall’aggressione alla Russia del 1904, all’annessione della Corea e della Manciuria, alla guerra alla Cina e all’attacco alla flotta americana a Pearl Harbor. Ma, almeno per noi che abbiamo una scarsa conoscenza dell’Estremo oriente, non può che risultare sorprendente e quasi incredibile il dichiarato risveglio del nazionalismo giapponese, in quanto credevamo che continuasse l’effetto dissuadente di Hiroshima e Nagasaki. Potrebbe renderci edotti sulla situazione attuale?
Antonio Fadda
Caro Fadda,
Segnali di rinato nazionalismo giapponese erano già visibili negli anni Sessanta e sorpresero soltanto coloro che avevano dimenticato quanto il sentimento nazionale sia forte e radicato nell’”impero del Sol Levante”. Oggi la svolta nazionalista della politica estera giapponese coincide con la formazione del governo di un uomo politico conservatore, Shinzo Abe, ma anche con il nuovo clima politico della regione. La Corea del Nord è sempre più spericolata e aggressiva. La Cina ha notevolmente aumentato le sue spese militari e sta cercando di allargare i suoi confini marittimi a piccoli arcipelaghi, forse petroliferi, di cui alcuni sono rivendicati, a seconda della collocazione geografica, dal Giappone, dalle Filippine e dal Vietnam. Nel caso delle isole che i giapponesi chiamano Senkaku e i cinesi Diaoyu, le flotte dei due Paesi hanno cominciato a farsi dispetti che sono divenuti, col tempo, sempre più pericolosi. Nel caso del Vietnam, l’ apparizione di una installazione petrolifera cinese al largo delle sue coste ha provocato manifestazioni popolari a Hanoi; mentre negli scorsi giorni un peschereccio cinese ha speronato e affondato un peschereccio vietnamita in circostanze non ancora sufficientemente chiarite. Esiste un contenzioso con le Filippine sulle isole Spratley, più antico e tenace, ed esistono anche rivendicazioni della Malaysia e del Brunei.
I mari della Cina sono quindi,improvvisamente, molto agitati e il Giappone giustifica la sua politica puntando il dito sull’aggressività di Pechino. E’ protetto dall’alleanza politico-militare con gli Stati Uniti, firmata nel 1952 a San Francisco e più volte rinnovata. Ma il governo Abe, a quanto pare, non è interamente sicuro di potere contare sull’aiuto americano e provvede a se stesso, nel frattempo, con maggiori spese militari e mettendo all’ordine del giorno una reinterpretazione meno pacifista della sua costituzione.
Questo nuovo nazionalismo giapponese presenta, rispetto al passato qualche interessante differenza. Prima della Seconda guerra mondiale e durante il conflitto, Tokyo trattò i possedimenti asiatici delle potenze occidentali come colonie e Stati vassalli dell’Impero che stava edificando nella regione. Oggi quei possedimenti sono diventati Stati indipendenti e il Giappone si atteggia a loro protettore contro la minaccia cinese. Ha già fornito dieci pattugliatori alla flotta delle Filippine e sarebbe pronto a fare altrettanto per il Vietnam. Ancora più interessanti, per molti aspetti, sono i rapporti con la Russia. Abe e Putin hanno già avuto cinque incontri bilaterali e il primo spera di concludere accordi per la fornitura di energia e per la restituzione delle isole Kurili, di cui l’Unione Sovietica si è appropriata alla fine della guerra. Putin, dal canto suo, è piuttosto prudente. È interessato ai rapporti russo-giapponesi ma non vuole che turbino quelli con la Cina, molto più interessanti politicamente ed economicamente.