Armando Torno, Corriere della Sera 6/6/2014, 6 giugno 2014
QUELLA RINUNCIA ANTICA CHE ASSICURAVA LA PUREZZA
Gesù digiunò quaranta giorni prima di cominciare la sua missione terrena ma non impose questa pratica ai discepoli. La Chiesa primitiva dedicò al digiuno mercoledì e venerdì; nel III secolo il giorno scelto per osservarlo era il sabato. Marco (2,20) e Matteo (9,15) lo suggeriscono nei loro vangeli. Nella tradizione ebraica digiunare esprime anche pentimento (come, per esempio, Giona 3,5); colui che stava per essere iniziato ai misteri eleusini digiunava per purificarsi e il buddhismo impone ai monaci due volte al mese, nel novilunio e nel plenilunio, codesta pratica (alla sera di quel giorno si confessano i peccati). Nell’Islam è una delle cinque prescrizioni fondamentali: all’inizio era prevista una sola giornata, poi si estese al mese di Ramadan dall’alba al tramonto.
Seguivano diete senza carni i filosofi pitagorici e Cleante, secondo scolarca degli stoici greci, soffriva di ulcera e digiunava con beneficio, sino a quando decise di lasciarsi morire senza toccare più cibo. Nulla a che vedere con lo sciopero della fame. Sembra che l’astinenza dagli alimenti per protesta sia nata nell’Irlanda pre-cristiana e, nonostante Gandhi, non sia un’invenzione dei leader politici. Anche nella forma moderna: nacque all’inizio del XX secolo grazie ad alcune suffragette che praticarono tale sciopero nelle prigioni inglesi. La prima fu Marion Dunlop, correva il 1909. Era stata arrestata per atti vandalici a Londra e, dopo la singolare scelta per l’epoca, fu rilasciata giacché non si voleva renderla martire. Talvolta dirigenti carcerari decisero di nutrire le scioperanti forzatamente, ma non mancò chi fece notare che si trattava di una forma di tortura, anche perché alcune, tra cui Mary Clarke che aveva studiato presso l’École normale supérieure di Parigi, ne morirono. In seguito venivano rilasciate per ricevere cure mediche ma, al termine del ricovero, erano riportate in prigione per terminare la pena.