Marco Imarisio, Corriere della Sera 6/6/2014, 6 giugno 2014
LA DIFESA DELLA SIGNORA GALAN NELLA VILLA «LAVORI GRATIS? BUGIE, PAGO DUE MUTUI»
DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA — Sulla targa in ottone all’ingresso c’è scritto «Segreteria politica Onorevole Giancarlo Galan». La villa è bella, tutta bianca con infissi verdi, la cappella privata e quattro diversi cancelli ornati di rose a proteggere dagli sguardi dei passanti. «I magistrati dicono anche che ci hanno dato i soldi per rimetterla a posto. Ma se fosse vero però non avrei di certo due mutui accesi...».
La signora in ciabatte e tubino nero che parla dal giardino è la sposa che vestiva di bianco e sorrideva convinta nelle Polaroid di cinque anni fa. Non un giorno di più, non uno di meno. Era il 5 giugno 2009. La villa di Cinto euganeo era circondata da auto blu. Lo sposo entrò dal vialetto laterale, quello della segreteria politica, accompagnato dai testimoni, che si chiamavano Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi.
«Mio marito è una gran persona. Se davvero avesse voluto fare i soldi sarebbe rimasto a fare il dirigente di Publitalia. Invece ha scelto la politica senza ricavarci niente. Stanno infangando lui e il suo lavoro». Sandra Persegato non avrebbe mai immaginato questo anniversario di nozze. «Giancarlo è il miglior marito del mondo. È una persona perbene. Venissero a vedere i nostri conti, invece di infamarci in questo modo».
A ogni scandalo politico corrisponde ormai una casa, non importa se all’insaputa del proprietario. Il simbolo di questa nuova apocalisse giudiziaria è la dimora di Giancarlo Galan. I lavori di ristrutturazione sono stati fatti davvero bene, su questo pochi dubbi. I magistrati sospettano però che siano venuti via anche gratis, pagati interamente dall’imprenditore Piergiorgio Baita, 700 mila euro per il corpo principale e altri 400.000 per la «barchessa», l’ala dove un tempo viveva la servitù, che l’ex ministro voleva trasformare in agriturismo.
Il colloquio avviene da una parte all’altra dell’ingresso padronale. La signora Sandra si accorge dei tentativi di allungare lo sguardo oltre lei, all’inevitabile ricerca di dettagli, se possibile opulenti, che possano costituire implicita conferma degli appetiti descritti dalle carte giudiziarie, dove si racconta di un Galan alle prese con un tenore di vita elevato, «che continuava a chiedere soldi solo per il fatto di essere ministro e di riprendere così il sostegno ai lavori della sua proprietà sulla quale è in corso la ristrutturazione».
La voce e il sorriso tirato sulle labbra non cambiano. «Noi non abbiamo niente da nascondere. Mi dà fastidio il modo in cui ci stanno infangando. Non è così che si ripaga il suo lavoro. Mio marito ha fatto solo del bene a questa Regione, altro che storie. Ci ha dato la Sanità, ci ha dato le opere pubbliche, e adesso gli rinfacciano tutto. Questo è un Paese di ingrati». Sandra Persegato aspetta il ritorno del marito, in viaggio da Roma per un anniversario di matrimonio trasformato in seduta di coscienza con i suoi avvocati, da un giorno all’altro tutto cambia, le vecchie aspettative e le nuove paure.
«Noi ce la faremo», dice la signora Galan con tono deciso. Si sono incontrati in discoteca. All’epoca lei era una ragazza madre che lavorava nella segreteria di Antonio De Poli, dal 1995 al 2000 assessore alle Politiche sociali. Nel tempo si è fatta conoscere come donna risoluta, capace di imporsi. Con una certa preveggenza, fu lei a chiedere e ottenere l’allontanamento di Claudia Minutillo, l’assistente personale del marito. Si odiavano a vicenda. La segretaria era onnipresente, troppo imperiosa, un potere nel potere. L’allontanamento non fu indolore. Galan acconsentì a malincuore. I suoi guai giudiziari cominciarono quel giorno.
«Io devo tutto a Giancarlo. Lo conosco come nessun altro. È un bravo marito e un uomo generoso, troppo buono con gli altri. Forse è per questo che lo attaccano. Ma sono convinta che tutto andrà bene». La frase è definitiva, tempo scaduto. La signora Sandra si guarda intorno prima di salire sulla Land Rover. L’ultima espressione è velata di malinconia. A noi questa villa sembra quasi un corpo di reato. Per lei è casa, nient’altro.