Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa 5/6/2014, 5 giugno 2014
CRAXI DISSE: “MOSE PRONTO NEL ’95” E IN 13 ANNI COSTI PIÙ CHE RADDOPPIATI
Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare. Alla fine degli anni ’70, mentre Gian Piero Alloisio scrive versi struggenti che saranno cantati da Francesco Guccini, il progetto Mose muove i primi passi. Sprofondata di 26 centimetri in un secolo, sommersa nel 1966 da onde alte sei metri in mare e quasi due sulle case, Venezia è già un caso internazionale. La prima legge speciale è del 1973, la seconda del 1984, la terza del 1992. Si decide di «porre gli insediamenti urbani al riparo dalle acque alte anche mediante interventi alle bocche di porto con sbarramenti manovrabili per la regolazione delle maree».
Il sistema di dighe mobili, mutuato dalla foce del Tamigi, è preferito alle barriere permanenti, per evitare l’effetto-stagno. Il progetto prevede 78 paratoie (larghe 20 metri, lunghe da 50 a 100, spesse 3,5) nelle tre bocche della laguna. Con il mare calmo, si riempiono d’acqua e s’adagiano sui fondali. Con onde oltre il metro e venti, scaricano l’acqua e gonfie d’aria compressa si tirano su, bloccando la marea.
Il progetto, voluto da ministero delle Infrastrutture e Regione, viene contestato da più parti: Comune, Provincia, ministero dell’Ambiente, Italia Nostra, Wwf, Legambiente, comitati locali, Verdi e Movimento 5 Stelle. Obiezioni ambientali: impatto devastante che snatura la laguna, si potrebbe ottenere il controllo delle maree con soluzioni soft. Obiezioni funzionali: il sistema di allerta per attivare le barriere potrebbe non funzionare; il Mose potrebbe andare in tilt in caso di pioggia o afflusso abnorme di acqua dai fiumi; cambiando le maree, in pochi decenni potrebbe rivelarsi inutile; sono state ignorate le conseguenze nefaste sul porto. Obiezioni economiche: ha senso spendere tanto per un’opera utile cinque volte l’anno per 4 ore (l’uso per maree più basse impedirebbe la «pulizia» della laguna, con effetti inquinanti)?
Dal 1988 al 1992 un pool di ingegneri idraulici lavora su modelli sperimentali, anche con modifiche del progetto. Ma i problemi continueranno. Solo una forte volontà politica bipartisan consentirà di superare le bocciature del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del ministero dell’Ambiente. Studi tecnici contrastanti si accavallano a decine di esposti a magistratura e Unione europea. Bruxelles attiverà anche una procedura di infrazione per violazione di norme ambientali, poi tamponata con opere compensative, peraltro di dubbia utilità.
Anche il sistema del contraente unico è stato molto contestato. Lo Stato ha abdicato. Il Consorzio di imprese Venezia Nuova, a cui sono state affidate in monopolio pianificazione, progettazione e realizzazione, non viene scelto con una gara, ma a trattativa privata. Funzioni pubbliche pagate con soldi pubblici sono delegate in toto a un soggetto privato, in deroga alle leggi. Ci sono gli organi di controllo, si dice. Ma quelli tecnici e indipendenti vengono informati poco e male. Quelli politici fanno altro: cose non commendevoli, si scopre ora.
Inevitabile che il Consorzio, ebbro di quattrini e potere, diventasse il padrone di Venezia. Ha annoverato presidenti come Luigi Zanda (ora capogruppo del Pd in Senato) e Franco Carraro (ora senatore di Forza Italia). Finanziava iniziative culturali e sociali, oltre che candidati di sinistra e di destra. Era «un problema di democrazia», ammoniva nel 2009 l’economista Francesco Giavazzi. Conflitti di interessi e scarsa trasparenza, denunciava invano la Corte dei conti.
Ma così si costruirà il Mose prima e meglio, si spiegava. Vediamo i tempi. Primo bando nel 1976. Prima convenzione con il Consorzio nel 1984 e Craxi promette: tutto pronto nel 1995. Poi si sposta il termine al 2000. Invece i lavori cominceranno solo nel 2003 (Craxi è morto da tre anni) con la berlusconiana «legge obiettivo» (il Cavaliere verga e firma la pergamena depositata nella prima pietra sotto il mare) e la previsione di completamento fissata al 2010, poi al 2012 e al 2014. Ora che il Mose è fatto all’80%, si parla del 2016. E i costi? Si cominciò con un miliardo. Nel 2001 erano 2,6 miliardi. Nel 2003 già 4,1. Ora siamo quasi a 6 e speriamo bastino.
Nel frattempo «Venezia è un imbroglio», e dire che Guccini lo cantava già trent’anni fa.
Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa 5/6/2014