Mario Calabresi, La Stampa 5/6/2014, 5 giugno 2014
“IL MIO SOGNO PER IL MONDO: ELIMINARE LA FAME IN 20 ANNI”
[Intervista a Bill Gates] –
Seattle.
Dalle vetrate dell’ufficio, all’ultimo piano del nuovo quartier generale della sua Fondazione, Bill Gates vede lo Space Needle, la torre simbolo di Seattle costruita per l’Expo del 1962: «Avevo sette anni e mi ricordo perfettamente il significato di quell’avvenimento: fu una cosa enorme».
Il tema fu di quelli capaci di crescere una generazione di americani - «L’uomo nell’età dello spazio» - e celebrò la fiducia nella scienza e nella tecnologia, di cui Gates è il figlio perfetto.
E ricerca e innovazione sono ancora la chiave con cui guarda al futuro anche ora che dedica il suo tempo alla lotta contro la fame e la povertà, tanto che dice di essere in sintonia anche con il filo conduttore del prossimo Expo: «Nutrire il pianeta». «E’ il grande tema di oggi e conto di esserci, anzi sarò sicuramente a Milano il prossimo anno».
L’uomo più ricco del mondo, quello che dopo aver dettato per anni le regole a tutti i nostri computer ora manda avanti la più grande fondazione filantropica del pianeta, è serio e concentrato prima di cominciare l’intervista, come se fosse la prima che fa. Sorriderà solo alla fine, dopo un’ora, quando mi avrà spiegato con passione perché è ottimista sul futuro del mondo, perché è convinto che tra vent’anni non ci saranno più Paesi poveri e di come sta vincendo la sua battaglia per cancellare la poliomielite dalla faccia della terra.
La sua fondazione ha risorse per 36 miliardi di dollari, come sceglie le battaglie da combattere?
«Abbiamo deciso di fare due grandi cose: nel mondo aiutare i più poveri, che è il nostro obiettivo globale e che in gran parte significa lavorare sui temi della salute, mentre negli Stati Uniti abbiamo puntato sull’educazione. In queste due aree ci siamo molto specializzati: abbiamo assunto i migliori esperti e io e mia moglie Melinda ci dedicheremo a questi progetti per il resto della nostra vita perché pensiamo che in questi campi possano essere fatti degli enormi progressi. Questo non significa che altre aree della filantropia non siano importanti ma è cruciale fare delle scelte e questo sta dando grandi risultati».
Nella salute vi siete concentrati sui vaccini, pensa davvero che la poliomielite possa diventare solo un ricordo affidato ai libri di storia della medicina?
«Sono così coinvolto in questa battaglia che è per me difficile essere obiettivo, la nostra fondazione ha investito miliardi di dollari in questo campo e io mi sono speso con governi e con varie personalità per convincerli a fare la loro parte. Abbiamo un programma che arriva al 2018 e che, se tutto andrà come previsto, prevede la scomparsa della poliomielite dalla faccia della terra entro quella data. Così diventerebbe la seconda malattia della storia, dopo il vaiolo che è stato sradicato nel 1979, ad essere cancellata».
Quali ostacoli ci sono ancora?
«In una sfida globale come questa i problemi maggiori ce li danno quei Paesi che sono anche i più difficili al mondo: Nigeria, Afghanistan e Pakistan. In queste zone ci sono campagne contro le nostre vaccinazioni e reazioni violente: i nostri volontari sono stati attaccati e uccisi. In questi giorni si parla molto dei Boko Haram (per il rapimento delle studentesse cristiane, ndr) nel Nord della Nigeria e quella è proprio un’area dove c’è la poliomielite. E poi c’è il caso dei talebani in Pakistan: in Waziristan sono tre anni che i nostri vaccinatori non hanno la possibilità di agire. Non sarà facile ma penso che abbiamo buone possibilità di farcela per il 2018».
Ma anche in Occidente oggi ci sono sospetti e resistenze verso i vaccini.
«C’è una nuova ignoranza su quanto sia importante vaccinare i bambini. Partiamo ovviamente dal fatto che quando tu inietti qualcosa a tuo figlio devi essere assolutamente certo che sia una cosa sicura, ma basta una voce dubbiosa perché parta una campagna contraria. Per questo bisogna essere estremamente responsabili sulla sicurezza dei vaccini e verificare qualsiasi possibile problema, ma poi, quando tutto è chiarito bisogna informare la gente, altrimenti finisce come in Svizzera dove ci sono bambini morti di morbillo e di pertosse. E quei bambini sono morti perché i loro genitori non credevano nei vaccini».
Oggi ci sono ancora un miliardo di persone che soffrono la fame, in gran parte contadini, ma nel rapporto annuale della sua Fondazione ha scritto che nel 2035, tra soli vent’anni, potrebbero non esserci più nazioni povere nel mondo. Cosa glielo fa sperare?
«A dire il vero un miliardo di persone vive in estrema povertà, ma i poveri sono almeno il doppio. Si possono discutere le statistiche, ma la realtà ci dice che su 7 miliardi di abitanti del pianeta ben 2 si svegliano ogni mattina preoccupati per il cibo. Dovrebbe farci star male sapere che in un mondo di grande ricchezza questo succede ancora. Sappiamo però che sono stati fatti enormi progressi: basterebbe tornare indietro agli Anni Sessanta per rendersi conto che allora c’erano pochissimi Paesi ricchi e che la gran parte della popolazione mondiale viveva in nazioni povere. Oggi la maggior parte della gente vive invece in società dal reddito medio: pensiamo a come sono cresciute Cina, Messico, Thailandia o Indonesia. La mia previsione non è che non ci saranno più poveri, ma che la maggior parte dei Paesi avrà abbastanza risorse per potersi prendere cura dei propri poveri e che il numero di nazioni che avranno bisogno in modo significativo di aiuti esterni scenderà a una decina».
Eppure l’opinione pubblica non sembra avere questa percezione.
«La gente non percepisce il progresso graduale che sta avvenendo nella salute e nella nutrizione nel mondo perché sente sempre parlare di disastri e di passi indietro, ma basterebbe ragionare sul fatto che morivano 20 milioni di bambini ogni anno e oggi siamo scesi a sei milioni e mezzo. Voglio che si sappia che ci sono buone notizie dal mondo e che i Paesi sottosviluppati possono uscire dalla povertà. La Corea del Sud è un esempio di miracolo: negli Anni Settanta riceveva il latte dall’Unicef e in meno di mezzo secolo ha svoltato e ora è un donatore generoso verso i Paesi poveri».
Il cibo è sempre più caro a causa dell’aumento della domanda e la popolazione mondiale cresce - nel 2050 si prevede che gli abitanti della Terra saranno 9,6 miliardi - come potremo nutrire il pianeta?
«La popolazione è destinata a crescere del 30 per cento e per questo la risposta più semplice è che dobbiamo aumentare la produttività, cioè la quantità di cibo prodotto per ogni ettaro. Questo è possibile se in Africa si raggiungerà la stessa produttività che c’è in Cina e in Nord America».
Pensa che gli Ogm siano una possibilità?
«Credo sia sbagliato avere un pregiudizio contro gli Ogm. Ogni nuova medicina e ogni nuovo cibo devono essere sottoposti a tutte le verifiche sulla sicurezza, ma non dovremmo porre dei limiti all’uso di nuove tecniche. Gli Ogm sono completamente sicuri e hanno ridotto l’uso dei pesticidi in modo incredibile: non è un problema se i Paesi ricchi o se parti dell’Europa non li vogliono usare, ma non possiamo dire agli africani che devono morire di fame proprio mentre sono costretti a fare i conti ogni giorno con quel riscaldamento climatico prodotto dal mondo ricco. Penso sia un errore enorme negare loro l’innovazione scientifica che potrebbe evitare la fame e le carestie».
Una delle sue preoccupazioni, in un mondo in cui cresce il benessere, è la richiesta in aumento di proteine animali: più carne significa un consumo ancora maggiore di terra e acqua. Per sopravvivere dovremo diventare tutti vegetariani?
«Se più gente diventasse vegetariana avremmo certo meno problemi, ma non penso che accadrà e allora guardo ancora alla scienza: non solo per avere una maggiore produttività in agricoltura ma anche per innovazioni come la carne artificiale. La carne significa muscolo di mucca e, se ci pensiamo, è completamente inefficiente usare tantissimo cibo e tantissima acqua e terra per far crescere delle ossa. Lo sa che per produrre le calorie della carne è necessario usare una quantità sei volte maggiore di calorie di derivazione agricola. Ci sono alcune società, in cui ho fatto investimenti, che stanno cercando di esaminare la proteina e ricostruirla in modo per cui se mangi un hamburger non ti accorgi della differenza. Penso che nei prossimi vent’anni l’idea della carne artificiale a basso prezzo ci aiuterà a non sfruttare all’eccesso l’agricoltura e potrebbe avere conseguenze positive sull’ambiente, i gas serra e il modo in cui trattiamo gli animali».
Abbiamo sotto i nostri occhi gli effetti del climate change, ma c’è ancora molto scetticismo su questo problema. Cosa si dovrebbe fare?
«È un problema enorme e anche in questo caso dare un’educazione scientifica alle persone sarebbe utile. La cosa principale da fare è emettere meno anidride carbonica e questo significa cambiare i nostri sistemi energetici e di trasporto, ma ciò che mi delude è che non stiamo finanziando in questo senso la ricerca e l’innovazione. Abbiamo investito un sacco di soldi nell’energia eolica e nel solare, ma queste costano di più e offrono soltanto energia a carattere intermittente. Una vera soluzione richiede energia 24 ore al giorno, affidabile, a basso costo e che non emetta anidride carbonica. Sarà chiaro dalle mie risposte che io credo nell’innovazione scientifica e questo è un caso in cui abbiamo bisogno di seguire molti approcci diversi, dai biocarburanti al nucleare alle varie forme di solare ed eolico. Nessuno di questi risponde a tutti i criteri in termini di costi e affidabilità ma se investiamo in queste innovazioni penso che ce la faremo».
Cosa pensa delle energie rinnovabili?
«Ne ho un giudizio positivo, ma è troppo facile pensare che da sole rappresentino la soluzione. La questione chiave, nell’energia, è l’affidabilità: se hai un ospedale e devi tenere al caldo i pazienti durante l’inverno non puoi affidarti a una fonte energetica intermittente. Finché non troveremo soluzioni per immagazzinare, in modo conveniente, grandi quantità di elettricità prodotte dal sole e dal vento, queste fonti potranno coprire solo il 20/30 per cento del nostro fabbisogno. E questo non risolve il problema del cambiamento climatico: abbiamo bisogno di abbattere le emissioni di CO2 in modo davvero drastico, ben oltre il 90 per cento. Così l’energia su cui possiamo contare ci viene solo da due fonti: nucleare e idrocarburi e quest’ultima è un mix di carbone e gas naturali. Il nucleare porta grandi sfide: devono essere abbassati i costi, bisogna lavorare sulla sicurezza e sulle scorie. Con gli idrocarburi devi puntare sul sequestro dell’anidride carbonica o sui biocarburanti. Ogni percorso richiede molta innovazione: dobbiamo provare ogni strada, finanziando la ricerca e sostenendo le società innovative».
Ad ogni domanda le sue risposte parlano di tecnologia.
«È la mia deformazione, ma è un pregiudizio giusto che mi arriva dalla mia vita a Microsoft. Mi sono portato dietro questa visione e la applico anche quando si tratta di trovare nuovi vaccini, nuove sementi, nuovi servizi igienici e per fare sì che l’innovazione aiuti i più poveri».
Qual è la storia di maggior successo della sua fondazione in questi anni?
«Direi che le vaccinazioni sono in cima alla lista, sono probabilmente il nostro risultato più importante: abbiamo salvato milioni di vite finanziando l’invenzione di nuovi vaccini e abbassandone i prezzi. Prima abbiamo parlato della poliomielite, ma è fondamentale anche quello contro la meningite, che abbiamo prodotto a costi bassissimi in India e poi lo abbiamo distribuito con grandi campagne in Africa, una mobilitazione che sta facendo calare molto i nuovi casi. Lo stesso vale per le morti di malaria che diminuiscono grazie agli investimenti sulle zanzariere».
Quali sono le figure che l’hanno maggiormente ispirata?
«Gli scienziati. Se andiamo indietro nel tempo penso a Leonardo Da Vinci, Galileo e Newton: persone che hanno sfidato l’idea che si sapesse già tutto quello che c’era da sapere e che hanno ragionato con la loro testa. Anche mio padre è un modello per me e ho imparato molto da Warren Buffett. Poi c’è mia moglie, che è il mio partner nella Fondazione: ogni giorno condividiamo le scelte ed è divertente lavorare insieme. Ma forse le persone che mi ispirano di più sono quelle che lavorano sul campo, ci sono un gran numero di scienziati che si dedicano a questi vaccini e molti di loro con questa scelta non fanno neanche lontanamente i soldi che farebbero se si occupassero delle malattie del mondo dei ricchi».
Cosa pensa di Papa Francesco il leader religioso che più insiste sul tema della povertà?
«Non l’ho mai incontrato, è una gran cosa che richiami l’attenzione del mondo sulla povertà. Dovremmo sempre chiederci perché c’è ancora la povertà, possiamo non essere sempre d’accordo su come affrontarla, ma la cosa fondamentale è che non ci permette di dimenticare che c’è. E ci sta dando un esempio personale con il suo stile di vita modesto e questo lo trovo fantastico».
Quindici anni fa, in un suo libro, diceva che «bisognava aspettarsi l’inaspettabile», cosa è accaduto che l’ha sorpresa di più?
«La rivoluzione digitale non mi ha sorpreso, sono più che contento di averla prevista, anche se mi sarei aspettato maggiori progressi nella nostra capacità di interagire con i computer. Immaginavo robot più avanzati, computer capaci di vedere, ma continuo a credere che succederà e porterà trasformazioni profonde. Pensavo sarebbe stato più facile scrivere software. Viviamo un momento emozionante in questa rivoluzione digitale per come siamo in grado di documentare le nostre vite, veder crescere i nostri figli, ripercorrere i ricordi e usare al meglio il nostro tempo, ma il software solo ora sta cominciando a rispondere a queste esigenze. Sono i sogni che avevo con Paul Allen nei primi Anni Settanta e ora, grazie a società come Microsoft, Google e Apple, siamo sul punto di realizzarli».
Molti in America e in Occidente sostengono che i nostri giorni migliori sono alle spalle e vedono nero guardando al futuro?
«È una cosa triste, oltre che sbagliata ed è anche un problema che ci siano persone con questo atteggiamento mentale perché invece abbiamo bisogno di investire nel futuro e di fare cose nuove non di essere frenati».
Però viviamo in una società in cui si vedono i segni della crisi.
«Conosciamo i problemi della crescita economica e della disoccupazione, stiamo attraversando tempi difficili, ma non penso che vorremmo portare indietro le lancette dell’orologio per tornare a come stavamo prima: non vorremmo certo tornare al passato per la condizione delle donne o per quella dei gay. Oggi molta gente se gli chiedi quanta violenza c’è ti risponde: “Oh mio Dio, la situazione è molto peggiorata”. Ma non è vero: questo succede perché è molto aumentata la visibilità della violenza e la nostra sensibilità di fronte ad essa, e ciò ci provoca l’impressione distorta che ce ne sia di più. Invece la violenza è diminuita nel mondo, come dimostra il mio libro preferito: “Il declino della violenza” di Steven Pinker. Per questo resto ottimista anche se non nego i problemi della disoccupazione o della crescita economica, così come il terrorismo o il cambiamento climatico. Ci sono molte cose che diamo per scontate, penso per esempio a come comunichiamo con gli altri, a come ci scambiamo le foto o a Wikipedia. Quando ero piccolo i miei genitori spesero un sacco di soldi per comprare un’enciclopedia e io leggevo le voci in ordine alfabetico. Spesso faccio il paragone con mio figlio che clicca sui discorsi di Martin Luther King e può imparare cento volte meglio di quello che potevo fare io. E questo vale per la gran parte dei bambini, non solo per il mio. Da un lato abbiamo un mercato del lavoro che offre poche opportunità ai giovani e che va aggiustato al più presto, ma nello stesso tempo la gente avrà vite più lunghe e migliori dovunque nel mondo. Il punto è che ci sarà una maggiore condivisione e un maggior bilanciamento delle ricchezze del pianeta. Rispetto al passato l’enorme popolazione cinese consumerà a livelli più simili ai nostri mentre caleranno la potenza e i consumi dell’Europa e degli Stati Uniti. Ci sarà un bilanciamento anche nell’innovazione e io spero che i cinesi inventino nuove cure per il cancro. Anzi sono sicuro che lo faranno».
Le piace davvero il futuro.
«Sono entusiasta. Vorrei poter vivere centinaia di anni e credo che dal punto di vista della salute, dell’energia, delle materie prime stiamo imparando solo ora a sfruttare al meglio le possibilità che esistono».
Finalmente Bill Gates sorride, parlare di futuro lo illumina, il bambino che si stupì nel vedere l’Expo che gli raccontava l’avventura dell’uomo nello spazio, pensa che si debba tornare a dare un’idea positiva e incoraggiante ai bambini di oggi. Bisogna garantirgli la salute, cancellare la fame e scommettere sull’educazione: «Ci sono cose da non sottovalutare: i bambini oggi sono in grado di poter accedere online ai migliori corsi al mondo in modo gratuito, penso a cose semplici come Duolingo, un sito dove si possono imparare le lingue. Mi creda, siamo solo all’inizio di cose che avevamo sognato per anni».
Mario Calabresi, La Stampa 5/6/2014