Gianni Clerici, la Repubblica 5/6/2014, 5 giugno 2014
POVERA, PICCOLA ERRANI LA FURIA DELLA PETKOVIC SPEGNE TESTA E TALENTO
PARIGI
Pioveva, e questa è stata probabilmente la ragione per la quale alcuni giovani di una televisione locale, riconoscendomi grazie alla mia barba bianca, mi hanno avvicinato, e richiesto una opinione sulla Errani, che, chiusa nello spogliatoio, non poteva certo rispondere alle loro domande. «È un insolito fenomeno » avrei detto, «è una ragazza che riesce a portare con se tutte le circonvoluzioni cerebrali e ad attivarle, sino a sembrare una campionessa. Cervello e manina sono le sue maggiori qualità, che si manifestano soprattutto nel tocco di palla, nella smorzata che, paradossalmente, è il suo colpo migliore, insieme al cross di rovescio bimane». «Allora, vincerà oggi?» chiedeva il giovane conduttore, per sentirsi rispondere «Non so, certo glielo auguro, ma non conosco la sua avversaria. So solo che discende dall’etnia più prolifica nel tennis, quella jugoslava, avrete visto ieri Raonic». Il conduttore, a questo punto, si è bloccato, alzando la mano, per farmi sapere che non voleva essere rimproverato dai suoi capi, causa la mia citazione di un paese scomparso, e vittima di una passato ambiguo. Ho nascosto un sorriso, e, invece di mandarlo a scopare il mare, come diciamo in Lombardia, gli ho comunicato che lo capivo, nel buon francese insegnatomi dalla mia nonna svizzera. Confortato dalla mia acquiescenza «E a chi paragonerebbe la campionessa italiana? » ha domandato. Mi è parso che definire Sara campionessa non si attagliasse alla sua autentica natura, e mi è venuto da rispondere «A Minnie». Nel constatare la sua sorpresa «Quella di Walt Disney», ho aggiunto. È così terminata la mia occasionale intervista, e, nel congedarmi, mi è venuto in mente che avevo usurpato un nome, giusto Minnie. Un soprannome che avevo assegnato a una mia cara amica, ai tempi in cui tentavo invano gli Slam sul campo, mentre lei, Silvanina Lazzarino, si era issata alla semifinale del Roland Garros, nel lontano 1954. Per perderla, certo, contro Maureen Connolly, col duro punteggio Di 6/0, 6/2.
Distratto dai miei lontani ricordi, non avevo certo pensato al futuro, al risultato e al punteggio del match di oggi, tra la nostra Saretta e una tennista certo meno importante della Connolly, che figura nella mia classifica tra le prime cinque di tutti i tempi. Non la conoscevo, la Petkovic, e un bravo giornalista quale Momir Jelovac mi ha informato che, insieme al passaporto tedesco procuratole da quel bravo allenatore di suo padre Zoran, Andrea Petkovic discendeva giusto da un posticino tra i fiumi Sava e Drina, la città di Tuzla, che appartiene alla Bosnia. Non tutto capita per caso, e nel nome Andrea confluiscono infatti battezzati dei due sessi, anche se i cattolici lo assegnano ad un apostolo.
Nel vederla assestare spaventosi diritti e bimani, brandire il pugno ad ogni punto vincente, spingere avanti l’acuta mascella, la Petkovic mi appariva oggi simile a un androgino. Di fronte a simile irresistibile forza, Saretta pareva sinceramente retrocessa al ruolo di Minnie, a qualcuno che appare bisognoso di conforto, se non proprio di aiuto. Al di là di errori gratuiti che spingevano qualche spiritosone al commento Errani humanum est, il disagio sembrava iniziare dal lancio di palla, che Sara esegue come tutti con tre dita, laddove io suggerirei la mia invenzione con le cinque dita accostate, che ho battezzato “lancio alla mendico”. Mi rileggo, misuro quel po’ di carta che mi tocca, e vedo di aver speso tutto. Meglio così, mi dico. Arrivederci Minnie. Certo a tempi migliori.
Gianni Clerici, la Repubblica 5/6/2014