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 2014  giugno 05 Giovedì calendario

STORIA DI UNA PULCE QUANDO IL FRAGILE LEO BATTÉ RE MARADONA


Maledetti ragazzi, sempre troppo crudeli. «È un nanerottolo. Si romperà ». Benedetti ragazzi, sempre troppo sinceri. «Questo ci fa sembrare tutti stupidi». Leo Messi, 27 anni, ora inganna solo le difese, ma a 13 li fregò tutti. Era solo una pulce, è diventato un gigante. Tra quelli che lo fraintesero, anche due campioni del mondo. Cesc Fabregas: «Aveva i capelli lunghi e stava zitto. Pensai: questo qua è tempo sprecato». Gerard Piqué: «Mi arrivava alla vita, era muto. Gli chiesi: dove giochi? Enganche. E io: enganche?». Già, nessuno lo capiva. Messi era argentino, non parlava catalano. Arrivò a Barcellona una domenica di settembre del duemila, dopo un volo turbolento, per un provino al Barcellona. Preceduto da un video dove faceva la foca: 118 palleggi con un’arancia, 140 con la palla da tennis, 29 con la pallina da ping-pong. Era timido, si vergognava. Si spogliò fuori dallo spogliatoio, si bendò le caviglie (usanza argentina), giocò. E appunto fece sembrare tutti birilli. Lo misero in un gruppo di ragazzi più grandi. El Piqui, il piccoletto, fece gol. Veniva da Rosario, 300 km da Baires, terra di chi sa come avanzare: Che Guevara, Menotti, Kempes, Bielsa, Sensini, Mascherano, Lavezzi, Valdano, Batistuta, Di Maria. Penultimo di cinque figli, famiglia di origine italiana (Recanati, Marche), appena inizia a camminare, viene investito da una bici e si rompe il polso sinistro. È fragilino. Dorme con il pallone tra i piedi, non vuole mai passarlo, né perdere. Bara a carte, non ama andare a scuola. La maestra elementare: «Non studiava tanto, giusto quello che bastava, uno normale, non eccellente».
Le iniezioni dell’ormone della crescita se le fa da sé, ma con programma medico. Questo lo sviluppo: a 10 anni è 1.27, a 11 è 1.32, a 12 è 1.48, oggi è 1.69, due centimetri più di Maradona. Gli inizi nel vivaio del Barcellona non sono facili. È introverso, gli manca la mamma. Si frattura la tibia sinistra, lo zigomo destro, poi si sloga la caviglia, scendendo le scale. Va solo nei ristoranti argentini e si rimpinza. Per il resto mangia male: pizza, arachidi con cioccolato, coca cola. Lo costringono a bere un frullato di vitamine dopo l’allenamento. Ma a lui fa schifo. Victor Vazquez lo vede piangere a 15 anni. «Ho perso e non ho segnato». Il primo tatuaggio, senza dirlo a nessuno: il viso della mamma sulla schiena con la scritta: educados para gañar. Leo esordisce nel 2003, a 16 anni e 145 giorni, entra al 75’, con la maglia numero 14 di Cruijff in un’amichevole del Barcellona contro il Porto di Mourinho. Nel 2005 si trasferisce con il padre in una villetta di Castelldefels, accanto all’amico Pablo Zabaleta, argentino, e a Ronaldinho, brasiliano, con cui ha un buon rapporto, anche nelle avventure notturne. I referti medici, stagione 2007-2008, peggiorano: stiramento di un tendine della coscia destra, del bicipite femorale gamba sinistra, poi di nuovo strappo. Tante ricadute. Anche perché vuole sempre giocare, e si arrabbia se viene sostituito. In caso di sconfitta, peggio.
Piqué: «Non vorrei essere nei panni di sua moglie quando perde. Torna a casa e non apre bocca».
Messi si fa bastare il calcio. Non vuole altro. Due soli libri aperti in vita sua (e non finiti): la Bibbia e la biografia di Maradona. Alla cerimonia di un Pallone d’oro gli chiedono di parlare inglese. «No». Dica solo: «Thank you. «No». Ma fino alla tre di notte palleggia con le bustine del tè o gioca alla playstation con i figli di Crespo. Con Maradona s’incontra in una tv argentina e gioca una partita di calcio con la palla da tennis: Diego e Francescoli contro Tevez e Messi che vincono 10-6. Per la prima volta Maradona esce perdente. Ma con la maglia della nazionale Messi resta piccolo. Non segna. Lo fischiano. Gli rimproverano di non essere abbastanza argentino. Maradona ci si specchia, ne vuole fare un piccolo Diego. Ma Leo, da capitano, non sa fare discorsi. Strepitoso con la guida di Guardiola: 211 gol in 219 partite. Il 15% di destro, piede debole. Complice anche la dieta: niente più dolci, bibite gassate, cotolette impanate, molto pesce. Nel 2012 nasce suo figlio, Thiago, al settimo piano dell’ospedale affacciato su Camp Nou (tessera blaugrana n. 2.288.152), la mamma è Antonella Roccuzzo, cugina di un amico. Nel 2013 arriva il quarto Pallone d’oro, l’accusa di evasione fiscale, e la consacrazione pubblicitaria: bibite, compagnia aerea, orologi, pane affettato, abbigliamento sportivo (Adidas), casa cosmetica giapponese. E la rivalità con Cristiano Ronaldo che dice «io e Messi siamo diversi come una Ferrari e una Porsche». Leo però vale, in guadagni, due Ronaldo: 216 milioni di euro. Piqué: «Messi è un extraterrestre, Cristiano il migliore sulla terra». Adesso nessuno lo chiama più nano. Anzi dicono che sembra una macchina telecomandata per accelerazione, direzione, stacco. Il dribbling più veloce del mondo. Tutto questo in “Pulce”. La vita di Lionel Messi (Piemme Edizioni). Raccontata da Guillem Balague nella prima biografia autorizzata. Da domani in libreria. Il resto delle pagine in Brasile. Leo le aggiornerà con i piedi.

Emanuela Audisio, la Repubblica 5/6/2014