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 2014  giugno 05 Giovedì calendario

INDIA, L’ALBERO DELLA VERGOGNA


Dice la notizia che un’altra adolescente è stata violentata, uccisa e impiccata a un albero, nell’Uttar Pradesh indiano. Rileggiamo la sequenza: violentata, uccisa e impiccata. Se è così, non si è impiccata, né è stata impiccata perché tacesse sulla violenza subita. Pochi giorni fa, quando la fotografia delle due ragazze di 14 e 15 anni appese a un mango fece il giro del mondo — questo giornale ha scelto di non pubblicarla — si dubitò che si fossero suicidate per l’offesa e la vergogna. Sarebbe stato comunque atroce, e tuttavia anche loro erano state impiccate dal branco degli stupratori, forse prima, forse dopo essere state strangolate. Il dettaglio non è facile da capire, o lo è fin troppo. Forse, stiamo guardando delle scene di caccia. La preda preferita sono ragazze molto giovani, braccate nel momento più inerme, quando vanno nei campi a fare i loro bisogni.
All’alba, prima che si sveglino gli uomini, e al calar della notte, quando occhi di uomini, anche quelli di famiglia, non le vedano, perché il loro pudore non sia offeso — il pudore degli uomini. Il branco le aspetta e piomba loro addosso, infierisce, poi, quando il bel gioco li stanca, uccide, e finalmente appende la selvaggina come un trofeo.
Era successo a Badaun, ieri di nuovo a Sitapur. Un giorno prima altri cacciatori avevano violentato una donna di 22 anni, e le avevano versato acido in gola, non perché non parlasse: l’hanno uccisa alla fine. O forse l’avevano uccisa e hanno versato l’acido per amore di completezza. Forse le impiccano non per farle tacere, ma per esibirle: le inalberano.
Adesso si trasmettono i numeri delle persone che non hanno servizi igienici domestici in India: più o meno la metà della popolazione. «Circa il 65 % della popolazione rurale fa i suoi bisogni all’aperto e donne e ragazze sono tenute a farlo col buio. È una minaccia alla loro dignità ma anche alla loro incolumità», dice il delegato dell’Unicef, Louis-Georges Arsenault. Il particolare impressionante non spiega la violenza sulle donne, né la spiegano i dati su povertà e disoccupazione, o sulla sproporzione dovuta al pregiudizio e alle pratiche per non far nascere bambine o ucciderle neonate — metà degli indiani ha meno di 30 anni, e nell’Uttar Pradesh maschi e femmine stanno in un rapporto di 1000 a 912. La violenza contro bambini, ragazze e donne sa fare a meno delle circostanze. Però la muta degli uomini che bracca le ragazze mentre vanno vergognose e spaventate nel loro buio mostra la bestialità degli stupratori e il conto che fanno delle loro prede, femmine e, in questi casi, “intoccabili” — ironia tragica delle parole — come animali, “cose di nessuno”, da catturare, soggiogare e ammazzare.
Ieri erano in sei, guidati, dice la notizia, dal vicino quarantenne che vendicava il rifiuto di dargli con le buone la ragazza quindicenne. Una settimana fa erano parecchi addosso alle due cugine adolescenti, e fra loro due poliziotti. Un mese fa, il capo del partito di maggioranza dello Stato aveva definito “ragazzate” gli stupri di branco: suona familiare, no?
Qualcuno ha fatto notare l’abbigliamento modestissimo e castigato delle due cugine, per commentare amaramente le scemenze sulle ragazze che provocano i poveri uomini. Mi sono chiesto che cosa vogliano dire quei vestiti composti: se fossero stati i loro carnefici a ricomporli, l’orrore sarebbe maggiore. Di quell’immagine, il dettaglio più toccante sono i piedi nudi. I piedi degli impiccati sono scalzi quando indossavano ciabatte o sandali che scivolano giù e tornano alla terra per cui sono fatti.
Nei giorni scorsi era inevitabile accostare quell’immagine a un’altra arrivata dal Pakistan. Oscenamente somiglianti, perché in quella indiana la folla silenziosa accoccolata attorno alle due ragazzine impediva di staccarle dai cappi e deporle fino a che non si fossero presi gli assassini, e testimoniava contro l’orrore dello stupro maschile e di casta. Nell’immagine pakistana, la folla era autrice o tifosa della lapidazione di Farzana Parveen, 25 anni, incinta, colpevole di aver disonorato la famiglia sposando “per amore” un uomo diverso da quello che padre e fratello le avevano imposto. Il luogo non era un villaggio rurale ma la metropoli di Lahore, e la scena si svolgeva davanti al tribunale, dove la giovane era andata per dichiarare la propria volontà. Nella scena indiana un padre chiedeva giustizia, in quella pakistana il padre si era fatto giustizia, ripulendo a colpi di mattoni lo sfregio fatto al suo onore. Le parole d’onore e d’amore ricorrono mostruosamente. Si è poi saputo che il marito di Farzana aveva strangolato la sua prima moglie, riscattandosi col pagamento del “debito del sangue”: ha spiegato di averlo fatto “per amore” di Farzana.
Una ventina di anni fa avevo avuto un amichevole scambio di idee su queste pagine con Miriam Mafai, a proposito di quello che avevo chiamato “il paradigma di sir Phileas Fogg”. Il quale, arrivato in India nel suo giro del mondo in 80 giorni, insieme al fido Passepartout rapisce e porta in salvo la giovane vedova del maragià che sta per bruciare viva sul rogo dello sposo, come vuole il rito del suttee. Impresa coloniale, per così dire, del tutto irriguardosa dei costumi locali, e indifferente anche al consenso della donna. Impresa sacrosanta, pensavo e penso, in cui si presenta esemplarmente quello che di migliore c’è nell’occidente con quello che di peggiore c’è nell’oriente. (Fra i quali, del resto, meglio e peggio si distribuiscono in modi assai complicati). Occorrerà ricordare ogni volta di nuovo che anche noi veniamo da lì, e che il delitto d’onore è per noi un retaggio troppo fresco per vantare superiorità assolute e spocchiose. Ma non al punto di restare prigionieri della relatività dei valori. Abbiamo fatto l’esperienza di come certe svolte nei modi di pensare e nelle abitudini di vita siano immemorabilmente lente e difficili a compiersi, e però, quando avvengano, facciano sentire di colpo inconcepibile il passato. La tragedia era così: Edipo ha ucciso suo padre, è andato a letto con sua madre, e non l’ha voluto vedere, quando lo vede non può far altro che accecarsi. Noi abbiamo magari i doppi servizi, e insieme la memoria del branco e della preda. Viene il momento di aprire gli occhi. Verrà anche nei villaggi dell’Uttar Pradesh: nel frattempo, c’è bisogno di una polizia che, chiamata, arrivi.

Adriano Sofri, la Repubblica 5/6/2014