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 2014  giugno 05 Giovedì calendario

L’INTIFADA DEL CIBO SPACCA ISRAELE “ALIMENTATELI” “NO” DEI MEDICI


GERUSALEMME.
Nessuno vuole un Bobby Sands palestinese. Se solo uno dei duecento prigionieri palestinesi in “detenzione amministrativa” in sciopero della fame dal 24 aprile dovesse morire, un’ondata di proteste travolgerebbe la Cisgiordania, scatenerebbe la violenza dei più estremisti, innescando una terza intifada dagli esiti disastrosi. Ormai, al 42esimo giorno di digiuno, sono più di ottanta i prigionieri palestinesi ricoverati negli ospedali israeliani che però continuano a rifiutare il cibo. Il premier Benjamin Netanyahu, allarmato da questa protesta, spinge perché la Knesset approvi rapidamente una legge che impone l’alimentazione forzata ai detenuti, ma si sta scontrando con la principale Associazione dei medici d’Israele contraria alla legge perché «l’alimentazione forzata è una forma di tortura» e i suoi dottori non si presteranno a questa pratica.
I prigionieri che rifiutano il cibo sono tutti “detenuti ammini-strativi”, in cella da mesi o anni, senza accuse e senza aver mai visto un giudice. I palestinesi della Cisgiordania sono sottomessi alle autorità militari israeliane: basta l’ordine scritto di un ufficiale per finire in carcere senza possibilità di appello, con gli arresti che vengono rinnovati ogni sei mesi. Un retaggio del Mandato britannico, che nonostante le proteste interne e internazionali, Israele ha mantenuto: è la famigerata disposizione 1651. Nelle carceri dello Stato ebraico, dati dell’Israel Prison Service, ci sono 5.330 palestinesi, fra loro oltre 200 in “detenzione amministrativa”. Ci sono quotidiane dimostrazioni in appoggio alla protesta, le famiglie dei detenuti sostengono questo digiuno nonostante i rischi. «Mio marito è in carcere senza sapere perché e questo incubo deve finire», dice Lamees Faraj del marito Abdel Razeq, militante di un piccolo gruppo dell’Olp, che ha passato in detenzione amministrativa 8 degli ultimi 20 anni.
«E’ contro il Dna dei sanitari forzare il trattamento su un paziente », spiega la portavoce Ziva Miral dei medici israeliani, «l’alimentazione forzata è una tortura, e non possiamo avere dottori che partecipano a una tortura». Dello stesso avviso il Consiglio Nazionale di Bioetica israeliano e la World Medical Association, il coordinamento mondiale delle associazioni mediche nazionali. Nonostante questo coro di critiche, Netanyahu avrebbe detto ai suoi ministri che sarà lui a fare in modo di trovare i medici disponibili per alimentazione forzata. Un po’ come fanno, ha osservato il premier, gli americani a Guantanamo Bay con i detenuti jihadisti. Fares Qadoura, uno degli avvocati dei prigionieri, annuncia che se la legge passerà alla Knesset i palestinesi sono pronti a ricorrere prima all’Onu e poi alla Corte di Giustizia dell’Aja. Le famiglie intanto aspettano e temono. Mahmoud, il marito di Amani Ramahi, eletto deputato con Hamas nel 2006, è in cella senza un’accusa da 4 anni. La Ramahi racconta che suo marito gli fatto arrivare un messaggio dal carcere: “l’intifada della fame” sarà a oltranza perché «vogliono mettere fine una volta per tutte alla loro sofferenza».

Fabio Scuto, la Repubblica 5/6/2014