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 2014  giugno 05 Giovedì calendario

JURASSIC PARK DEGLI APPALTI IL “SISTEMA BERNABEI” È VIVO


Altro che piazza San Marco e ponte di Rialto. Se il sindaco di Venezia non fosse in galera e volesse promuovere la città potrebbe vendersi il Jurassic Park del malaffare: dinosauri della tangente attivi in un ecosistema originale, intatto. Le modalità sono anni 80, diverse da quelle emerse nel ’92 con l’inchiesta Mani Pulite. Non c’è vera tangente. C’è il Mose, grande opera da 5-6 miliardi di euro che “chi la contesta è nemico della patria”; poi c’è la spartizione a monte tra le imprese di costruzioni; e infine la retrocessione ai politici dell’ampio grasso accumulato a spese del contribuente. Lo stesso meccanismo dell’alta velocità, pari pari, solo che in quel caso la magistratura non si è accorta di niente, accecata da una ragion superiore soavemente imposta.
Sono ancora tutti lì, e lo scienziato pazzo di Jurassic Park è il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio, che già vent’anni fa arrestò e interrogò Piergiorgio Baita per gli stessi affari per cui l’ha dovuto ricatturare. E oggi rivede i suoi dinosauri ancora in cerca di cibo.
Tutto comincia a metà anni 80. A Palazzo Chigi c’è Bettino Craxi, alla presidenza dell’Iri il democristiano Romano Prodi e sotto di lui c’è l’Italstat di Ettore Bernabei, il vero ministero dei Lavori pubblici. Bernabei è inciampato nello scandalo dei fondi neri Iri, ma Prodi l’ha perdonato. Ed è nell’ufficio di Bernabei che nasce l’idea del Consorzio Venezia Nuova, una all stars di costruttori che si spartiranno il grande affare delle “paratoie mobili” che salveranno Venezia dall’acqua alta. Il braccio destro di Bernabei, Mario Zamorani, racconterà a Nordio che le quote erano precise: 20 per cento dei lavori alle aziende Iri, 60 a quelle private, 20 per cento alle cooperative rosse. Sono passati 30 anni, le quote sono ancora le stesse.
Le spartizioni a futura memoria hanno bisogno di un garante. Bernabei sceglie il giovane Luigi Zanda, figlio dell’ex capo della polizia Efisio Zanda Loy, ma soprattutto ex portavoce di Francesco Cossiga al Viminale durante il caso Moro e poi a Palazzo Chigi. Nell’estate dell’85 Cossiga è appena stato eletto al Quirinale, e Bernabei gli sistema l’amico a Venezia, dove Zanda resterà dieci anni, fino a quando il sindaco di Roma Francesco Rutelli non lo chiamerà a occuparsi del Giubileo: lavori per 6 miliardi di euro. Dove ci sono appalti Zanda è una garanzia. Al suo posto a Venezia chiamano Franco Carraro, ex sindaco di Roma, altro uomo vocato agli equilibri. E dopo Carraro arriverà Paolo Savona, economista caro a Cossiga ed ex ministro. Bastano questi nomi per capire che il problema del Consorzio Venezia Nuova non era tenere bassa l’acqua ma alti i flussi di denaro pubblico.
Nessuno contesta, Venezia è sacra. E sono anni d’oro, il governo Dini taglia le pensioni, il Consorzio Venezia Nuova finanzia il romanzo di Gianni Riotta Ombra. Sono anni in cui la classe dirigente che sta preparando il declino del Paese si mette di continuo in posa a Venezia per comporre uno strepitoso album di famiglia. Ecco nella primavera 1989, esattamente 25 anni fa, il presidente dell’Iri Prodi che visita il primo prototipo del Mose, accompagnato da Zanda. Oggi sono lì, il primo ancora in corsa non dichiarata per il Quirinale, il secondo capogruppo al Senato per il Pd. Tra i suoi senatori Felice Casson, che durante Mani pulite faceva il gip nei processi a Baita e soci. Le vie della sinistra sono infinite.
Ed ecco la visita a Venezia del presidente della Legacoop, Lanfranco Turci. Zanda gli mostra quel cantiere che dopo 25 anni è ancora lontano dalla meta. Ma non era ancora caduto il Muro di Berlino, Turci era l’uomo del Pci che comandava le cooperative e faceva la guardia alle loro quote di mercato. Adesso le coop fanno da sè. E chi si rivede nel consiglio di Venezia Nuova? Sì, proprio lui, Omer Degli Esposti, il vicepresidente della Ccc di Bologna, passato indenne come una salamandra tra le fiamme dello scandalo di Sesto San Giovanni.
Dirà Zamorani ai magistrati che la divisione ecumenica del bottino era pensata da un uomo di visione come Bernabei per evitare l’intoppo di opposizioni politiche alle grandi opere. Ma da questa lezione la politica non ha imparato niente, anzi, non ha voluto imparare niente, per la semplice ragione che in fin dei conti sono ancora tutti lì e continuano esattamente come hanno sempre fatto. È evidente che si sono trovati bene.
In fondo inventori e fruitori del bancomat Mose hanno (quasi) tutti fatto carriera. Giovanni Mazzacurati era un semplice ingegnere della Furlanis, è sbarcato a Venezia come direttore generale , in pochi anni è diventato il dominus di un sistema di potere rispettato e temuto anche a Roma. Al punto da potersi permettere di mettere al servizio di Venezia Nuova un finanziere rampante come Roberto Meneguzzo, fino all’altro ieri aspirante scalatore di Fonsai, nonché azionista delle Generali e partner dell’ex numero uno Giovanni Perissinotto in affari adesso al vaglio della magistratura.
Ha fatto carriera anche Mauro Fabris, capo dei giovani democristiani di Vicenza, poi assunto da Zamorani per l’ufficio stampa in laguna, poi deputato e sottosegretario ai Lavori pubblici. Ha ereditato da Giovanni Mazzacurati la presidenza di Venezia Nuova, con una certa trepidazione. Dalle intercettazioni con il predecessore scopriamo che gli dava del lei mentre Mazzacurati gli dava sbrigativamente del tu. Jurassic Park continua.

Twitter @giorgiomeletti

Giorgio Meletti, Il Fatto Quotidiano 5/6/2014