Marigia Mangano, Il Sole 24 Ore 5/6/2014, 5 giugno 2014
MENEGUZZO, IL GRANDE MANOVRATORE
Finora Roberto Meneguzzo era noto alle cronache finanziarie perché era il pivot di Palladio finanziaria. Una merchant bank, poi ribattezzata la Mediobanca del Nord-Est, forziere di ricche famiglie e banche del territorio, socio importante delle Generali con oltre il 2%, e artefice del tentativo poi fallito di sfilare insieme a Matteo Arpe Fondiaria Sai a Unipol. Ieri, però, il finanziere vicentino è stato travolto dalla maxi inchiesta sul Mose: Meneguzzo è stato arrestato, gli vengono contestati i reati di corruzione e rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio.
Punto di partenza per capire il ruolo dell’ad di Palladio Finanziaria nell’ambito dell’inchiesta Mose è l’origine del rapporto con il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati. È lo stesso Mazzacurati, nell’interrogatorio del 25 luglio del 2013, a chiarire le circostanze in cui entra in contatto con Meneguzzo. Palladio finanziaria aveva infatti avuto l’incarico di individuare gli strumenti finanziari idonei per ottenere dalle banche l’anticipazione di quei finanziamenti che sarebbero stati poi erogati dal Cipe, si legge nel documento. «Nell’ambito di questo rapporto», si legge nell’ordinanza, «Roberto Meneguzzo, viste le difficoltà di finanziamento, prese l’iniziativa di mettere in contatto il Mazzacurati con esponenti politici del Ministero economia in grado di assicurare i finanziamenti». In particolare con il consigliere politico dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, Marco Milanese. Un intervento, quello di Milanese, che – ricostruisce l’ordinanza – risultò decisivo per sbloccare le risorse in questione. Mazzacurati consegnò così a Milanese 500 mila euro (cifra che fu suggerita – ricorda lo stesso Mazzacurati negli interrogatori – proprio da Meneguzzo) «personalmente», «al fine di influire sulla concessione dei finanziamenti del Mose e in particolare nel far inserire tra gli stanziamenti inclusi nella delibera Cipe n. 31/2010 e nei decreti collegati anche la somma relativa ai lavori gestiti dal Consorzio Venezia Nuova, inizialmente esclusa dal ministro, in violazione evidente dei principi di imparzialità e indipendenza».
È lo stesso Meneguzzo – si evince dalle intercettazioni – a informare in modo costante Mazzacurati sullo stato dei lavori e sullo sblocco dei finanziamenti («Cipe settimana prossima... per il Mose», scrive in un sms in data 4 maggio 2010, avvisando Mazzacurati che il Cipe si sarebbe riunito non quella settimana, ma la successiva). E proprio con lo stesso ad di Palladio Mazzacurati ha diversi incontri tra Milano, Padova e Venezia per definire – secondo l’ordinanza – il pagamento della tangente.
Sblocco dei finanziamenti, si diceva. Ma anche controlli fiscali più morbidi. Meneguzzo ha infatti fatto da tramite con Milanese per Mazzacurati anche in un’altra occasione, per arrivare al generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante. A Spaziante, generale di corpo d’armata della Guardia di Finanza, all’epoca Comandante interregionale dell’Italia Centrale, Mazzacurati ha fatto «la promessa del versamento di una somma pari a 2,5 milioni di euro», perché influisse «in senso favorevole sulle verifiche fiscali e sui procedimenti penali aperti nei confronti del Consorzio Venezia Nuova». Pressioni che, appunto, ebbero i loro effetti. E si tradussero in un secondo accordo corruttivo: Mazzacurati, «consegnava, a titolo di acconto, in una prima occasione a Spaziante e Meneguzzo e in una seconda a Spaziante e Milanese, una somma complessiva pari a 500mila euro». I residui 2 milioni vennero poi confezionati in un contratto predisposto ad hoc con Palladio finanziaria, denominato «Accordo Gdf» che prevedeva, dopo «il già avvenuto pagamento di 500mila euro a Spaziante, ulteriori due milioni, di cui 300 mila euro subito, sempre a Spaziante, più 300mila euro all’anno per Meneguzzo, più 400mila euro come success fee», si legge a pagina 470 dell’ordinanza.
Marigia Mangano, Il Sole 24 Ore 5/6/2014