Marco Demarco, Corriere della Sera 5/6/2014, 5 giugno 2014
GOMORRA UN SUCCESSO CHE CANCELLA IL BENE
Nelle ultime puntate hanno ammazzato uno scugnizzo, che a sua volta aveva ucciso per ordine del clan, e bruciato viva una ragazza.
Nelle precedenti ci sono già state, invece, vendette e stragi. È una Napoli a una dimensione quella che si vede in Gomorra, la fiction di Sky. Raccontata come raramente si vede in tv, e cioè in modo adrenalinico e coinvolgente, la città è pur sempre presa solo da un unico verso.
Sia che si punti il cannocchiale sulla globalizzazione del crimine, sia che si usi il microscopio per indagare sui più intimi stili di vita dei boss, lo sfondo non cambia.
Cambia la profondità, non l’angolatura. Mai una contaminazione con l’altra Napoli, quella che si rivolge all’avvocato prima che al killer; o che fa la coda per vedere una serigrafia di Andy Warhol. Il Male non combatte mai col Bene, secondo il più banale degli schemi, ma con un altro male, se è possibile ancora più malefico. Nella Piovra , che pure infiammò gli albergatori siciliani perché messi in ginocchio, dissero, dall’immagine mafiosa dell’isola, c’erano il commissario Corrado Cattani, almeno fino alla quarta serie, quando fu ucciso con una mitragliata, e poi il giudice Silvia Conti, che giurò non vendetta ma giustizia. In Romanzo criminale c’erano il commissario Scialoja, il giudice Borgia e l’ispettore Canton. In Gomorra , invece, il Bene semplicemente non c’è. E mentre talvolta è l’ironia che può capovolgere il senso della storia, come nel film Song ‘e Napule , ad esempio, qui neanche quella. Puoi scegliere solo tra un boss e un altro, rischiando così di mitizzare o il meno peggio o il peggiore in assoluto, a seconda dei gusti.
Ma il problema vero è raccontare Napoli. A conti fatti, sembra impossibile. «Rapporti impassionali si possono avere con Montecarlo, non con questa città» diceva, prima ancora di Roberto Saviano, Alberto Savinio. Il quale aggiungeva anche che parlare di Napoli in senso prudenziale o blando semplicemente non si può. Ed è per questo che spesso prevalgono le metafore: dalla città porosa di Benjamin alla «nuttata» di Eduardo, quella che non passa mai. Ma il guaio delle metafore è che possono dir tutto ma anche nulla.