Mario Ajello, Il Messaggero 5/6/2014, 5 giugno 2014
COM’ È TRISTE VENEZIA
Dopo Milano, cade Venezia. Dopo il fallimento bis (prima Tangentopoli, ora l’Expo) in Lombardia, tocca alla capitale del Nord-est. Una zona che si pensava immune da certe pratiche truffaldine sempre addossate a Roma ladrona nella retorica dei leghisti, scoprirsi diversa dagli stereotipi di comodo a lungo autoprodotti. La questione morale riguarda sempre gli altri? No, riguarda tutti. E Venezia, la città del sogno, della musica, del cinema, dell’acqua in cui galleggiano ora le bustarelle, non meritava di vedersi assimilata a storie simili a quella dell’Expo e del malaffare. Nessun nordismo virtuoso può negare l’evidenza del nuovo scandalo e di questa caduta di Venezia che fa male di per sè e fa ancora più male, specialmente, perchè Venezia è vetrina italiana nel mondo.
E com’è triste Venezia in queste ore in cui le dighe si sono rotte per eccesso di mazzette (almeno stando alle accuse dei pm) e l’alta marea della vergogna la sta sommergendo. Non si tratta della tristezza romantica di «Morte a Venezia». Non è neppure la tristezza allegra del Carnevale, le cui maschere, su Twitter, adesso vengono a loro volta mascherate da guardie di finanza e il mondo ride o piange, più piange che ride perchè Venezia è una meraviglia universale difficile da ridurre in burla. No, la tristezza di questi frangenti è una tristezza-tristezza, senza aggettivi qualificativi. Una tristezza sorda e muta, che nulla evoca e nulla produce se non l’immagine della vetrina rotta, del simbolo italiano amato da tutti i cittadini del mondo che sprofonda nella laguna di Tangentopoli, annega nel Canal Grande della corruzione. A causa di una politica dalle Mani Sporche, che uniforma Venezia ai comportamenti vigenti altrove e sempre esecrati da lassù.
Le pagine dei giornali stranieri sono gonfie del nuovo scandalo italiano e quasi non ci credono. Il Guardian titola: «Mayor of Venice arrested in corruption investigation over city’s flood barriers». Ma le altre testate planetarie fanno più o meno lo stesso davanti al glamour veneziano diventato rubbish, alle bustarelle che soppiantano nell’immaginario collettivo il mecenatismo di Pinault a Punta della Dogana o fanno sbiadire la brillantezza del red carpet del Festival del cinema. Cambia volto Venezia di botto, davanti al mondo, ed è la città di un cricca locale e non più quella di Woody Allen che la ritiene sensuale e romantica più della sua New York, e qui ha girato una parte del film «Tutti dicono I love you».
Venezia è città scespiriana. Non lo è più? Venezia ha un suono che nessun altra città può vantare: «Venezia è la musica», diceva Nietzsche. La musica è finita? «Questa era Venezia», sosteneva Thomas Mann, «la bella e lusinghiera Venezia, la città metà fiaba e metà trappola». La fiaba non c’è più e la trappola è diventata una brutta trappola? Venezia, per colpa di malefatte vere o presunte, è scesa dal piedistallo liquido della sua magnifica diversità e omologa se stessa all’andazzo vigente in altri meridiani ma anche in quello. Tra i tanti che l’hanno amata, c’era un Premio Nobel di particolare sensibilità poetica, Iosif Brodskij, e ha scritto alcune delle cose più belle su questo luogo che non sarà mai uno di quei pessimi non-luoghi di cui straparlano i sociologi: «L’unica cosa che potrebbe superare questa città d’acqua sarebbe una città costruita nell’aria». Ma non è detto, anche se una Venezia nuvolare, invece che marittima, non avrebbe bisogno delle dighe del Mose che adesso la stanno inguaiando. E ancora Brodskij: «Dipingi, dipingi, ti grida la luce di Venezia, scambiandoti per un Canaletto, un Carpaccio, un Guardi». I quali soffrirebbero vedendo sul web come viene dipinta e subissata di sfottò la città della loro anima: «A Venezia hanno arrestato tutti, sono rimasti liberi solo i piccioni». Oppure: «Sono Mose da pazzi». Venezia è città fragile, che tende a sprofondare. Andava maneggiata molto meglio.