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 2014  giugno 05 Giovedì calendario

LA SALERNO-REGGIO DEL NORD TRA RITARDI E COSTI IMPAZZITI


IL CASO
NAPOLI Il linguaggio sembra quello dei telefilm di Gomorra: il Sistema, il Comitatone, il Progettone. Solo che qui non siamo di fronte a frasi in codice, bensì a denominazioni ufficiali. E in effetti a partire dal nome dai richiami biblici, Mose (invero sigla di Modulo sperimentale elettromeccanico), il progetto di salvare Venezia dalle acque troppo alte ha qualcosa di epico, di grandioso, per cui gli accrescitivi appaiono a chi li usa naturali. Affascina e intimidisce allo stesso tempo. Ma il Mose, anzi il «Sistema Mose», è anche un formidabile moltiplicatore di denari, con il budget che negli anni è lievitato di quasi quattro volte rispetto alle prime stime fino agli attuali 5.493 milioni. Una somma tale da far schizzare il Veneto al primo posto della classifica regionale delle grandi opere pubbliche con il 10,1% dei costi programmati totali, una percentuale superiore al 9,6% spettante alla ben più vasta Lombardia e quasi doppio rispetto al 5,7% destinato alla più popolosa Campania. Il Mose, inoltre, è una delle poche grandi opere italiane quasi integralmente finanziata (oggi siamo quasi al 90%) contro per esempio il 16% del Corridoio Tirrenico. Grazie a un mega-assegno di 973 milioni staccato grazie alla legge di stabilità per il 2013, restano da trovare appena 612 milioni, salvo ulteriori incrementi di costi.
UNICO MEGA-APPALTO
Il Mose, progetto del quale si inizia a parlare nel 1973, assume il nome attuale solo nel 1988 quando si comincia a effettuare una sperimentazione con una singola paratoia. Nel 2001 viene ufficializzato come «progetto per la salvaguardia della laguna e della città di Venezia: Sistema Mose». Il «Sistema», che all’epoca costava 4,1 miliardi di euro, prevede l’assegnazione di un unico mega-appalto a una cordata di imprese individuata nel 2002 nel Consorzio Venezia Nuova. Il Consorzio, però, non riceve tutta la somma, perché 81 milioni vengono assegnati direttamente ai Comuni interessati dall’intervento (Venezia ovviamente in testa) più una serie di soggetti attivi sul territorio come l’Asl 14 del Veneto, la Diocesi di Chioggia, la Provincia di Venezia, la Congregazione Serve di Maria Addolorata e l’istituto Cavanis di Chioggia. I lavori sono iniziati ufficialmente il primo febbraio 2003 e il cronoprogramma prevedeva la chiusura in quasi dieci anni, vale a dire nel dicembre 2012. Ad autorizzare e a vigilare sui lavori è il cosiddetto Comitatone, istituito peraltro sin dal 1984 e allargato a un collegio di esperti internazionali tra i quali quelli nominati dall’Unesco. Mette a punto, il Comitatone, sia la Via (Valutazione impatto ambientale) che il Sia (Studio impatto ambientale).
La parte più innovativa del progetto consiste nella realizzazione di paratie mobili, esteticamente orrende mentre sono in corso i lavori ma invisibili secondo il progetto in tempi ordinari, pronte a sollevarsi per frenare l’innalzamento delle acque. Le schiere di paratoie sono installate sul fondale delle bocche di porto. I lavori però procedono a rilento, tanto da far guadagnare all’opera una fama da Salerno-Reggio Calabria del Nord, e la scadenza del 2012 si rivela presto ottimista. Nel 2006 si alza l’importo da 4,1 a 4,3 miliardi mentre nel 2008 viene elaborato un nuovo cronoprogramma che sposta al 31 dicembre 2014 il completamento dell’opera. Nel 2010 c’è un secondo incremento dei costi che salgono a 4,7 miliardi e nel 2011, con un ulteriore scatto, si raggiunge la cifra attuale di 5,5 miliardi.
Nel frattempo l’Italia è nel pieno della crisi finanziaria e il Mose a fine 2012 subisce i primi tagli: a dicembre un’assegnazione di 600 milioni di euro viene prima ridotta a 48 milioni, poi a 29 milioni infine addirittura alla cifra ridicola di 2.423 euro, il costo di un ciclomotore economico. Va detto che quei 600 milioni erano stati prelevati dal Fondo infrastrutture ferroviarie e stradali. Un segnale della capacità dei sostenitori del Mose di attrarre risorse pubbliche da tutte le direzioni, con lo sguardo puntato soprattutto sulle risorse più modeste destinate al Mezzogiorno.
Nel 2013, in effetti, la carestia per il Mose finisce di colpo: si riaprono i rubinetti e vengono appunto stanziati 973 milioni. Lo stato di avanzamento dei lavori, secondo la rilevazione più recente (30 settembre 2013) passa al 74% e ciò rende impossibile la conclusione entro il 31 dicembre di quest’anno. Per cui la nuova data presunta di fine lavori viene fissata al 31 dicembre 2016.
Si vedrà se quest’ultima deadline reggerà alla tempesta giudiziaria.