Roberto Fabbri, Il Giornale 5/6/2014, 5 giugno 2014
E ANCHE I TEMPLI TAOISTI DIVENTANO UN BUSINESS
La skyline di Shanghai è perfetta sullo sfondo di un cielo insolitamente terso. Vista dalla riva sinistra dello Huang Po, dove verso la metà dell’Ottocento sorsero sul celebre Bund gli edifici oggi storici delle prime concessioni commerciali europee, è la riprova quasi tangibile della rincorsa della Cina moderna all’egemonia mondiale degli Stati Uniti. Il Pudong, la riva opposta al Bund, era fino a vent’anni fa una specie di deserto urbano al di là del fiume: oggi ospita alcuni tra i più spettacolari grattacieli al mondo, tra i quali spiccano per audacia il Centro globale finanziario di Shanghaiconfidenzialmente meglio noto come «il Cavatappi»per la sua forma inconfondibile con soffitto panoramico a vetro a quasi 500 metri di quota- e la torre tv della Perla Orientale. Architetture vertiginose come la sfida che questa sterminata città di 25 milioni di abitanti, da sempre la più cosmopolita della Cina, lancia al mondo.
Se cominciare un viaggio in Cina da Shanghai significa partire da una delle sue punte di lancia orientate sul futuro, proseguirlo verso l’interno in una provincia come l’Hubei, terra antica bagnata dal Fiume Azzurro, significa addentrarsi, man mano che ci si avvicina alle spettacolari e remote montagne del Wudangshan, in un mondo che ancora conserva parte dell’anima tradizionale che il regime materialista di Mao aveva a lungo tentato di sradicare con la forza.
Il governo centrale di Pechino ha deciso, con la sua tipica mentalità pianificatrice, che lo sviluppo del turismo in Cina dovrà passare attraverso la valorizzazione di regioni fin qui rimaste in secondo piano, e per far questo non lesina risorse. È dunque una moderna autostrada a condurci da Wuhan, la megalopoli industriale da 9 milioni di abitanti capoluogo dell’Hubei, fino ai piedi della piccola catena montuosa del Wudang. Qui l’aria pura è un sollievo rispetto all’imperversante smog che è il prezzo pesante che i cinesi pagano all’impetuoso sviluppo industriale di questi anni. I segni degli investimenti per trasformare l’area in un distretto turistico sono già visibili nella città di Wudang, dove sono stati costruiti moderni alberghi e centri residenziali in stile vagamente alpino. Ma salire i tornanti che portano alle vette (non altissime: si superano appena i 1600 metri) significa avvicinarsi a qualcosa di più autentico, anche se l’uso che viene fatto a fini turistici delle tradizioni religiose nella Cina di oggi ha un che di strumentale.
Bisogna sapere che sulle cime spettacolari del Wudangshan ( monti Wudang in cinese) furono costruiti già a partire da oltre mille anni fa e soprattutto durante l’epoca Ming per impulso diretto dell’imperatore che intendeva dedicarvisi alla meditazione e alla preghiera, una serie di meravigliosi templi taoisti, che sono stati inclusi nel 1994 nella lista dei patrimoni dell’umanità. Oggi grandi folle di visitatori giungono a bordo di pullman, affollano i numerosi albeghi e ristoranti «tipici» e percorrono- in parte a piedi lungo faticosi ma panoramici sentieri, in parte agevolati da una moderna cabinovia- le alte vie che per secoli furono esclusivo itinerario di monaci e sovrani. Ma non è stato sempre così, ed è giusto ricordare che tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso i religiosi subirono dure persecuzioni e che molti di questi edifici sacri furono distrutti o danneggiati dalle Guardie Rosse.
Il revival del taoismo- in un assai contraddittorio percorso di riapertura alle religioni in Cina- è cosa recente, e con esso il ritorno di nuove comunità monastiche sui luoghi della tradizione. Questi monaci accolgono volentieri i pellegrini che salgono fin quassù per pregare e magari per fare offerte in denaro in cambio di un simbolico sacrificio alla divinità. Maggiore insofferenza dimostrano verso quanti, digiuni del concetto di rispetto per il sacro, ignorano i divieti di scattar foto in talune aree. Con i nostri occhi abbiamo visto un monaco spazientito estrarre da una tasca una matitalaser e puntarla in faccia a un turista irrispettoso: scena simbolica di una «riconquista» che sarà arduo completare.