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 2014  giugno 04 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - L’ARRESTO DI ORSONI


REPUBBLICA.IT
VENEZIA - Imprenditori, manager e soprattutto amministratori e politici di primo piano. Dopo il caso Expo, uno sviluppo clamoroso dell’inchiesta sugli appalti per il Mose ha sconvolto stamattina Venezia: il sindaco Giorgio Orsoni, eletto con il centrosinistra, è stato arrestato e ora è ai domiciliari. In carcere, invece, è finito l’assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, di Forza Italia. E la procura veneziana ha chiesto un provvedimento di custodia cautelare anche per Giancarlo Galan, ex presidente della Regione Veneto e attuale deputato di Forza Italia, sul quale, essendo deputato, dovrà pronunciarsi la Camera.

L’inchiesta è quella della Procura di Venezia che a febbraio aveva portato all’arresto di Giorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani, una delle imprese impegnate nei lavori per la costruzione delle barriere del Mose che dovranno proteggere Venezia da alte maree ed allagamenti. Le accuse per gli indagati variano dai reati contabili e fiscali alla corruzione, dalla concussione al finanziamento illecito.

Le accuse a Orsoni. Secondo quanto si legge nell’ordinanza integralmente riportata dalla Nuova Venezia, il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni è accusato di finanziamento illecito poiché "con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, quale candidato sindaco del Pd alle elezioni comunali di Venezia del 2010, riceveva i contributi illeciti", "consapevole del loro illegittimo stanziamento da parte del Consorzio Venezia Nuova": si parla 110 mila euro al Comitato elettorale del candidato sindaco e 450 mila ricevuti in contanti "di cui 50 mila procurati dal Baita quale amministratore delegato della Mantovani che il Sutto (dipendente del Consorzio Venezia Nuova, società coinvolta nella realizzazione del Mose, ndr) e Mazzacurati (allora presidente di Cvn, ndr) consegnavano personalmente in contanti a Giorgio Orsoni, in assenza di deliberazione dell’organo sociale competente e della regolare iscrizione in bilancio".

La posizione del sindaco. "Le circostanze contestate nel provvedimento notificato paiono poco credibili", hanno subito risposto gli avvocati di Orsoni, in quanto "gli si attribuiscono condotte non compatibili con il suo ruolo ed il suo stile di vita". Un anno fa, in un’intervista ad Antenna 3, sulla questione di un finanziamento dal Consorzio Venezia Nuova, il sindaco disse: "Non credo di aver avuto contributi, ma sulla questione va interrogato il mio mandatario elettorale". Nell’ambito dell’inchiesta sono stati perquisiti gli uffici del sindaco di Venezia e dell’assessore regionale Chisso.
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"False fatture per 25 milioni". "E’ doveroso precisare che al sindaco di Venezia Orsoni non è stato contestato il reato di corruzione", ha sottolineato il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio. "Orsoni è indagato per finanziamento illecito ai partiti". Nordio ha definito l’inchiesta "peggio di una Tangentopoli". L’ordinanza del gip (711 pagine), citata dal pm, sostiene che "i fondi neri sono stati utilizzati per campagne elettorali e, in parte, anche per uso personale" e che "hanno ricevuto elargizioni illegali persone di entrambi gli schieramenti politici". Il procuratore capo, Luigi Delpino, ha spiegato che alla base di questo sviluppo ’politico’ dell’inchiesta ci sono triangolazioni di denaro e fondi neri ottenuti attraverso false fatture maggiorate per un totale accertato di 25 milioni di euro.
Tangenti per gli appalti del Mose: 35 arresti a Venezia
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Le persone destinatarie di provvedimento restrittivo sono in tutto 35 (25 in carcere, 10 ai domiciliari), mentre sono un altro centinaio gli indagati, tra cui anche Marco Milanese, il consigliere politico dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti già coinvolto nell’inchiesta P4, per il quale il gip non ha accettato la richiesta di arresto. Tuttavia, come si legge nell’ordinanza, Milanese "al fine di influire sulla concessione di finanziamenti del Mose", avrebbe ricevuto dal presidente del Consorzio Venezia Nuova la somma di 500 mila euro.

Tra gli arrestati ci sono inoltre il consigliere regionale del Pd Giampiero Marchese, gli imprenditori Franco Morbiolo (presidente del Coveco, cooperativa impegnata nel progetto Mose) e Roberto Meneguzzo (ad di Palladio Finanziaria, avrebbe messo in contatto Mazzacurati con Milanese), nonché il generale della Guardia di finanza in pensione Emilio Spaziante, il magistrato della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone e Amalia Sartori, eurodeputata di Forza Italia non rieletta alle recenti elezioni (la richiesta d’arresto è stata inviata all’europarlamento). La GdF ha sequestrato beni per un valore complessivo di circa 40 milioni di euro e sta effettuando perquisizioni e sequestri in Veneto, Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna con oltre 300 uomini impegnati.

TUTTI I NOMI DEGLI ARRESTATI PER L’INCHIESTA MOSE

Le accuse a Galan. Corruzione è invece il reato ipotizzato nella richiesta di arresto formulata per il deputato di Forza Italia Giancarlo Galan. L’ex governatore veneto è indagato dalla Procura di Venezia con l’accusa di aver ricevuto fondi illeciti per milioni di euro dal Consorzio Venezia Nuova (Cvn) nell’ambito delle opere del Mose. Le dazioni, da fondi neri realizzati dal Consorzio e dalle società che agivano in esso, risalirebbero agli anni tra il 2005 e il 2008 e il 2012.

"Gli stipendi annuali". Secondo quanto si è appreso, i fondi all’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso sarebbero stati dati tramite la segreteria, circostanza che ha portato il politico agli arresti in carcere stamani all’alba. Il denaro veniva poi trasferito a Galan. Il reato contestato a Galan, Chisso e a un paio di funzionari della Regione è quello di corruzione contro i doveri d’ufficio. Nei brani dell’ordinanza riportati da La Nuova Venezia si legge che Galan è accusato di aver ricevuto "per tramite di Renato Chisso, che a sua volta li riceveva direttamente dallo stesso Mazzacurati", "uno stipendio annuale di circa 1 milione di euro, 900 mila euro tra il 2007 e il 2008 per il rilascio nell’adunanza della commissione di salvaguardia del 20 gennaio 2004 del parere favorevole e vincolante sul progetto definitivo del sistema Mose, 900 mila euro tra 2006 e 2007 per il rilascio (...) del parere favorevole della commissione Via della regione Veneto sui progetti delle scogliere alle bocche di porto di Malamocco e Chioggia".

L’ex governatore: "Totalmente estraneo a accuse". Trattandosi di un deputato, gli atti della richiesta di arresto dovranno essere trasmessi alla Camera, dove Galan è presidente della Commissione cultura. "Sono estraneo ad accuse, voglio essere ascoltato", ha detto Galan, che è coinvolto per il periodo in cui è stato presidente della Regione Veneto, dal 2005 al 2010. "Mi riprometto di difendermi a tutto campo nelle sedi opportune con la serenità ed il convincimento che la mia posizione sarà interamente chiarita. Chiederò di essere ascoltato il prima possibile con la certezza di poter fornire prove inoppugnabili della mia estraneità".
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Le accuse a Chisso e Marchese. L’assessore regionale ai Lavori pubblici Renato Chisso è accusato, invece, di aver percepito "uno stipendio annuale oscillante tra i 200 e i 250 mila euro, dalla fine degli anni Novanta sino ai primi mesi del 2013". Mentre Giampietro Marchese è accusato "quale candidato dal Consiglio regionale del veneto per il Pd alle elezioni 2010 riceveva i contributi illeciti" per 58 mila euro".

Le accuse a Spaziante. Per quanto riguarda Spaziante, invece, nell’ordinanza del Gip si legge che in qualità "di Generale di Corpo d’Armata della Guardia di Finanza", per "influire in senso favorevole sulle verifiche fiscali e sui procedimenti penali aperti nei confronti del Consorzio Venezia Nuova", avrebbe ricevuto dal presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati la promessa di 2 milioni e 500 mila euro. Nell’ordinanza, si legge che la somma versata fu poi di 500 mila euro, che poi sarebbe stata divisa anche con Milanese e Meneguzzo.

Le accuse a Giuseppone (Corte dei Conti). Per quanto riguarda il magistrato della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone, indagato nell’inchiesta sul Mose per aver "compiuto atti contrari ai suoi doveri". "Nella sua qualità di magistrato in servizio presso la Corte dei Conti", scrive il giudice, Giuseppone avrebbe percepito "uno stipendio annuale oscillante tra i 300mila e i 400mila euro, che gli veniva consegnato con cadenza semestrale a partire dai primi anni duemila sino al 2008" e "non meno di 600mila nel periodo tra il 2005 e il 2006, con creazione delle idonee provviste da parte del Baita". I soldi, afferma ancora il Gip, servivano per "accelerare le registrazioni delle convenzioni presso la corte dei Conti da cui dipendeva l’erogazione dei finanziamenti concessi al Mose e al fine di ammorbidire i controlli di competenza della medesima Corte dei Conti sui bilanci e gli impieghi delle somme erogate al Consorzio Venezia Nuova".

L’inchiesta. Gli arresti partono da una inchiesta della Guardia di finanza di Venezia avviata circa tre anni fa. I pm Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonino (Dda) avevano scoperto che l’ex manager della Mantovani Giorgio Baita, con il proprio braccio destro Nicolò Buson, aveva distratto fondi relativi ai lavori del Mose, le opere di salvaguardia per Venezia, in una serie di fondi neri depositati all’estero. Il denaro, secondo l’accusa, veniva portato da Claudia Minutillo, imprenditrice ed ex segretaria personale di Galan, a San Marino dove i soldi sarebbero stati riciclati da William Colombelli, titolare della finanziaria Bmc.

Appalti e partiti. Le Fiamme gialle avevano scoperto che almeno 20 milioni di euro, così occultati, erano finiti in conti esteri, ipotizzando che la riserva potesse essere destinata a "sovvenzionare" amministratori e politici in cambio di ulteriori commesse pubbliche. Da questa tesi d’accusa è partita l’operazione di questa mattina all’alba. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, dunque, attraverso un giro consistente di false fatture avrebbe creato fondi neri sarebbero serviti, almeno in parte, per finanziare politici e partiti di ogni schieramento durante le campagne elettorali.

Dopo questa prima fase, lo stesso pool aveva ordinato l’arresto di Giovanni Mazzacurati ai vertici del Consorzio Venezia Nuova (Cvn). Mazzacurati, poi finito ai domiciliari, era stato definito "il grande burattinaio" di tutte le opere relative al Mose. Indagando sul suo operato erano spuntate fatture false e presunte bustarelle che hanno portato in seguito all’arresto di Pio Savioli e Federico Sutto, rispettivamente consigliere e dipendente di Cvn, e di quattro imprenditori che si sarebbero spartiti lavori per importi milionari.

"Una vera e propria lobby". Il Consorzio Venezia nuova "si comporta come una vera e propria lobby o gruppo di pressione per ottenere le modifiche normative d’interesse", ha scritto il gip del tribunale di Venezia Alberto Scaramuzza, nell’ordinanza di custodia cautelare. Il riferimento è al tentativo di ottenere una modifica al tetto del 15% al nord dello stanziamento dei Fondi Fas (fondo aree sottoutilizzate) per avere 400 milioni di euro per il Mose attraverso una delibera Cipe. Mazzacurati, presidente del Cvn, secondo il Gip si muove su più livelli, da un incontro con Gianni Letta, che era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, passando per alcuni contatti con funzionari ministeriali, fino alla "terza possibilità, ossia l’appuntamento con Marco Milanese". Il Cvn, in una nota, ha negato tutte le accuse, definendosi "parte offesa".

REPUBBLICA.IT
LA NUOVA tangentopoli in laguna - con 35 arresti e altri 100 indagati - scuote il mondo politico e fa tornare in primo piano l’emergenza corruzione, dopo gli arresti del caso Expo. I Cinque Stelle partono subito all’attacco, parlando di "larghe intese in manette" e stilando "una
mozione con la richiesta di dimissioni del sindaco che si propone di raccogliere le firme di altri 18 consiglieri per portarla così al voto in Consiglio comunale". Mentre il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, prova a rassicurare: "Le indagini vadano avanti, ma l’opera che salva Venezia va finita nei tempi e con i costi previsti" ricordando che "il Mose è realizzato all’85%, è completamente finanziato, va finito, nella più totale trasparenza, entro i tempi previsti e senza aumento dei costi". Lupi si è detto pronto a riferire in Parlamento. Intanto il premier Matteo Renzi incontra il presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone in vista della definizione di un provvedimento, probabilmente un decreto, sui poteri dello stesso Cantone nella gestione Expo. Il ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti, ha espresso massima fiducia nella magistratura: "La magistratura faccia il suo corso, con la massima fiducia da parte del mio Ministero, come abbiamo già dimostrato in altre occasioni", ha detto. "Ci dev’essere la massima trasparenza e la massima
collaborazione, nell’interesse di tutti: della giustizia, ma anche degli indagati".

M5S: Mose solo punta di icerberg. Dopo la battuta d’arresto delle Europee, i pentastellati tornano dunque all’attacco, mettendo nel mirino in particolare l’arresto di Giorgio Orsoni, sindaco veneziano del centrosinistra, e quello chiesto per Giancarlo Galan, deputato forzista ed ex governatore veneto. Il vicepresidente della Camera del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio, in un post su Facebook dal titolo "Larghe intese in manette", pubblicato anche sul blog di Beppe Grillo, si chiede "cos’altro devono fare questi partiti per non meritare più il voto dei cittadini italiani?" ricordando che da sempre il Movimento pentastellato si occupa del Mose e ha mostrato "preoccupazioni in merito ad utilità e meccanismi d’appalti".

I deputati M5S chiedono le dimissioni di Galan da presidente della Commissione cultura della Camera e auspicano che il Parlamento conceda quanto prima l’autorizzazione a procedere all’arresto dell’ex ministro Galan. Inoltre chiedono che il ministro delle infrastrutture Lupi "riferisca in tempi rapidi sull’attuale stato delle commesse degli appalti veneti". Secondo i deputati "il Mose è solo la punta di un iceberg" che coinvolge destra e sinistra "riproponendoci, dopo oltre 20 anni, gli orrori di una nuova Tangentopoli". Su Facebook Alessandro Di Battista si chiede: "Beppe Grillo urla perché i politici sono dei ladri e in molti in Italia (anche qualcuno del M5s) si preoccupa più delle urla che dei furti. Ma vi sembra normale?" e conclude: "Stanno continuando a spolpare quel che resta del nostro Paese e gli unici che fanno una battaglia contro la corruzione siamo noi".


Salvini garantisce su Zaia. Il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, intervenuto ad Agorà su Raitre, dice di non credere ad "un’inchiesta ad orologeria", ricorda che "il nord non è immune da certi episodi" e assicura: "Metto la mano sul fuoco sull’estraneità di Luca Zaia, presidente di regione del Veneto". E chiede di "non criminalizzare il Veneto":

Toti: "Inchieste minano credibilità sistema Paese". Mentre Galan per ora non commenta i provvedimenti a suo carico e si trincera dietro un "no comment", da Forza Italia a parlare è il consigliere politico Giovanni Toti. Per l’europarlamentare "le responsabilità politiche sono tutte da provare" e si augura che "la magistratura abbia ponderato bene quanto sta facendo" perché "queste operazioni minano quasi la nostra credibilità di sistema Paese in un momento già difficile".

Alfano: "Si blocchino ladri, non opere". Dal Nuovo centrodestra si alza la voce del leader Angelino Alfano, che ricorda come vadano "bloccati i ladri e non le opere" e non rinuncia a una nota polemica: "Alcune forze politiche hanno avuto il privilegio di subire gli arresti dopo il voto. In questo la Procura di Venezia è stata molto corretta", ha affermato il ministro dell’Interno riferendosi all’arresto del presidente del Consiglio regionale della Campania Paolo Romano avvenuto durante la campagna elettorale per le europee.

Fassino difende Orsoni. Il presidente dell’Anci e sindaco di Torino, Piero Fassino, difende il collega di Venezia: "Chiunque conosca Giorgio Orsoni e la sua storia personale e professionale, non può dubitare della sua correttezza e della sua onesta", mentre il sottosegretario alle Politiche europee Sandro Gozi, su Agorà, sottolinea che "queste vicende sembrano appartenere a un passato che non passa e incidono molto negativamente sullo sforzo di cambiamento che noi vogliamo realizzare". Ma annuncia: "Raddoppieremo i nostri sforzi perchè è ancora più evidente che in Italia c’è bisogno di cambiamento". La deputata Pd Alessandra Moretti invoca nuove regole contro la corruzione: "Dobbiamo avere il coraggio di caricarci sulle spalle nuove regole che mettano fine per sempre alla corruzione". L’ex sindaco della città lagunare Massimo Cacciari si dice stupito per gli arresti e parla di "vera catastrofe per la politica cittadina", mentre Michele Emiliano, ex sindaco di Bari e magistrato antimafia, è convinto che "il Pd deve denunciare ogni possibile illecito: sono un sindaco che ha denunciato e fatto condannare suo assessore per millantato credito". Dure le critiche di Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd e presidente del Friuli Venezia Giulia: "La scoperta di un giro di corruzione connesso alla realizzazione del Mose è un colpo
doloroso, soprattutto per il tessuto sano della politica e dell’amministrazione, che inevitabilmente subisce il riflesso di questi atti indegni". Spera che alla fine sia dimostrata di tutti Pippo Civati, "ma è importante capire se ci sono gli strumenti e se si possa fare una selezione della classe dirigente per cui vengano premiati coloro che hanno potere e che portano i propri interessi, ma anche coloro che abbiano un margine di libertà maggiore".
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"Non possiamo dimostrarci superficiali dinanzi ai tanti e troppi fenomeni di degenerazione delle procedure che regolano la gestione delle grandi opere pubbliche. La politica non può nascondere la polvere sotto il tappeto né limitarsi a dire che si tratta di responsabilità personali, delle quali i responsabili dovranno rispondere", ha commentato il presidente della Giunta elezioni e immunità del Senato, Dario Stefàno. Il portavoce dei Verdi Angelo Bonelli parla di "strategia della tangente" dietro alle grandi opera e aggiunge: "Basta con le grandi opere inutili che sono il lunapark dei signori delle tangenti e del malaffare e che non servono al Paese" e il leader di Sel Nichi Vendola scrive su Twitter: "Grandi opere fatte con modelli emergenziali aprono più di un varco a penetrazione partito trasversale di tangenti e malaffare. Basta #Mose".

Bagnasco: "Aggressione alla speranza". Ha usato parole dure il presidente della Cei Angelo Bagnasco, commentando le diverse inchieste in corso nel Paese, compresa quella di Venezia. Sono "situazioni che, se comprovate, naturalmente sono un’aggressione alla speranza popolare", invita tutti "a non scoraggiarsi di fronte al futuro" e sottolinea: "la mala gestione purtroppo può esistere ed esiste ma non è assolutamente lo zoccolo duro, l’animo del paese, che è invece la gente semplice che fa il proprio dovere con onestà, competenza e grandi sacrifici per tirare avanti".

DICHIARAZIONI ORSONI
CREDO CHE SI DEBBANO PREOCCUPARE GLI ALTRI, QUELLI CHE VOGLIONO MONTARE DELLE COSE CHE NON ESISTONO. » DAL COINSORZIO VENEZIA NUOVA LEI HA AVUTO CONTRIBUTI? «IO DAL CONSORZIO DIRETTAMENTE NON CREDO ANCHE PERCHÈ DI QUESTE COSE SI È OCCUPATO IL MIO MANDATARIO ELETTORALE» LEI COMUNQUE È TRANQUILLO IN MERITO ALL’INCHIESTA? «IO SON TRANQUILLISSIMO. FORSE C’È QUALCUN ALTRO CHE È MENO TRANQUILLO E CHE VUOLE FARE UN PO’ DI FUMO».

CACCIARI
AQUILA, CHITTO, MOMNDIALI DI NUOTO, EXPO, TAV REGIME DI EMERGENZA NON PUO ESISTERE TRASPARENZA NON PUO ESISTERE CONTROLLO

CORRIERE.IT
VENEZIA - Magistrati delle Acque a libro paga, politici con conti nei paradisi fiscali dietro l’angolo, fondi neri per accelerare lo sblocco dei finanziamenti per il Mose. Ce n’è per tutti nelle carte dell’ordinanza che ha portato agli arresti eccellenti per i lavori del Mose. Si parte dai «vecchi» nomi coinvolti nell’inchiesta, il filone precedente che aveva portato all’arresto di Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati. Nella nuova inchiesta ci sono infatti anche i «pentiti» Baita, Buson, Mazzacurati, Minutillo, Savioli e Voltazza. Tra gli indagati anche l’ex segretario della Sanità Giancarlo Ruscitti, l’ex consigliere di Tremonti Marco Mario Milanese, Duccio Astaldi. Dalle carte si scopre che Mazzacurati e Sutto nel 2010 avrebbero consegnano di persona 50 mila euro al sindaco Orsoni, per finanziare illecitamente la campagna elettorale. Nel 2010 la campagna elettorale del sindaco di Venezia arrestato nell’inchiesta, sarebbe stata finanziata in tutto con 500mila euro ottenuti in modo illecito.
Il capitolo delle campagne elettorali finanziate illecitamente è ricchissimo. Duecentomila euro sarebbero stati dati alla parlamentare europea uscente Lia Sartori. Mezzo milione di finanziamenti illeciti alle campagne elettorali sarebbero stati dati a Giampietro Marchese. Poi c’è la corruzione: il funzionario regionale Giuseppe Fasiol sarebbe stato fatto collaudatore del Mose in cambio dei via libera ai progetti della Mantovani. Vittorio Giuseppone, magistrato della Corte dei Conti di Roma, sarebbe stato corrotto per ammorbidire i controlli del Mose. Poi le date precise, frutto di indagini e appostamenti: la consegna, nel 2011, all’hotel Laguna Palace di Mestre da parte di Baita di 250 mila euro all’assessore Chisso. Nel 2005 50 mila euro sarebbero stati versati in un conto dell’ex governatore Giancarlo Galan aperto a San Marino. Sempre nel 2005 l’ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo, avrebbe consegnato 200 mila euro a Galan all’hotel Santa Chiara di Venezia.
Poi la «bomba»: la Mantovani avrebbe pagato i lavori di restauro della villa di Galan a Cinto Euganeo per oltre un milione di euro. Non solo: Galan e Chisso sarebbero diventati soci occulti della Adria Infrastrutture per poter partecipare agli utili della società. Lo stesso Chisso sarebbe stato «stipendiato» per dare i nulla osta regionali al Mose con 200/250 mila euro l’anno per oltre dieci anni. E Galan avrebbe ricevuto dal 2005 al 2011 da Giancarlo Mazzacurati presidente del Cnv, anche tramite l’assessore Renato Chisso, uno stipendio annuo di un milione di euro. Quanto alla corruzione, Mazzacurati avrebbe consegnato mezzo milione di euro a Milanese, consigliere di Tremonti, per avere fondi Cipe per il Mose, mentre i due presidenti del Magistrato alle Acque, Cuccioletta e Piva, sarebbero stati a libro paga del Consorzio con 400 mila euro l’anno per non ostacolare il Mose.
Nel pomeriggio la replica dell’ex ministro ed ex governatore Giancarlo Galan: «Mi riprometto, di difendermi a tutto campo nelle sedi opportune con la serenità ed il convincimento che la mia posizione sarà interamente chiarita. Chiederò di essere ascoltato il prima possibile con la certezza di poter fornire prove inoppugnabili della mia estraneità». E ancora: «Dalle prime informazioni che ho assunto e da quanto leggo sui mezzi d’informazione, nel dichiararmi totalmente estraneo alle accuse che mi sono mosse, accuse che si appalesano del tutto generiche e inverosimili, per di più, provenienti da persone che hanno già goduto di miti trattamenti giudiziari e che hanno chiaramente evitato una nuova custodia cautelare».

PEZZO DEL CORRIERE VENETO DEL 28 FEBBRAIO 2013
VENEZIA - Le strade su cui viaggiamo, gli ospedali in cui veniamo curati, il Mose che ci riparerà dall’acqua alta. E perfino la piastra dell’Expo di Milano. Lo zampino della società Mantovani, colosso delle costruzioni con sede nella zona industriale di Padova, era quasi ovunque nella nostra regione, e non solo. Un asso pigliatutto, soprattutto dopo che al vertice era arrivato Piergiorgio Baita. Ma secondo la procura della Repubblica di Venezia, dietro ai lustrini degli appalti, dei cantieri super-efficienti e dei tagli di nastri, ci sono anche molte ombre: quelle
Piergiorgio BaitaPiergiorgio Baita
dell’evasione fiscale, ma anche il sospetto di un giro vorticoso di fondi neri e (forse) di mazzette. Così ieri mattina all’alba gli uomini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia e di Padova si sono presentati a casa del 65enne manager a Mogliano Veneto: lui si è stupito di vederli, loro lo hanno arrestato a vent’anni di distanza da quando finì in manette all’epoca di Tangentopoli. Poi le stesse fiamme gialle hanno arrestato altre tre persone: Claudia Minutillo, 49enne amministratore delegato di Adria Infrastrutture e, come Baita, vicinissima all’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, di cui è stata segretaria; il direttore finanziario di Mantovani, il 56enne Nicolò Buson; il console onorario di San Marino, il 49enne William Ambrogio Colombelli. Per tutti l’accusa è di associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale.
Mose, la grande opera
Il metodo, secondo gli investigatori, era semplice. Colombelli, che a San Marino aveva fondato e amministrava la società Bmc Broker, faceva fatture false a svariate società del gruppo Mantovani (tra cui, oltre alla capofila, anche Palomar, Dolomiti Rocce, Talea, Tressetre) o ad Adria Infrastrutture. Poi, pochi giorni dopo il pagamento, andava in banca a prelevare in contanti una somma leggermente inferiore (la differenza era la «stecca» per il servizio), che poi prendeva altre strade. Quali, lo scrive chiaramente il gip di Venezia Alberto Scaramuzza nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato ai 4 arresti, su richiesta del pm lagunare Stefano Ancilotto: «Le ingenti somme venivano poi riconsegnate al Baita e alla Minutillo in Italia e solo in minima parte depositate su altri conti personali esteri a San Marino». Bmc era dunque una società «cartiera », ma il sospetto degli inquirenti è che il flusso non si fermasse lì. «Di fronte a fondi neri di queste dimensioni, quella politica è una strada che non possiamo ignorare: indagheremo», ammette il colonnello Renzo Nisi, che guida il Nucleo di Venezia, rispondendo a una domanda diretta sul punto.
Di fronte al gip Scaramuzza sono state per ora portate le prove di una cinquantina di fatture false emesse dal 2005 al 2010 a Mantovani e Adria Infrastrutture, per un totale di circa 10 milioni di euro, anche se il magistrato per una decina di queste ha dichiarato la prescrizione, essendo risalenti al 2005 e ai primi mesi del 2006. Il gip, oltre a disporre gli arresti, ha ordinato il sequestro preventivo, finalizzato alla futura confisca, di beni degli indagati per quasi 8 milioni di euro: nel mirino sono finiti, oltre ai conti correnti, anche 5 immobili di proprietà di Baita (uno a Mogliano, uno a Treviso, due a Lignano Sabbiadoro e uno a Venezia), due di Minutillo (uno a Mestre e uno a Jesolo), uno di Buson (a Padova) e una barca di Colombelli. Sono inoltre indagate una ventina di persone e sono state eseguite 45 perquisizioni sia presso persone, che presso società. Nella lista dei clienti non ci sono infatti solo Mantovani e Adria Infrastrutture, ma anche società regionali come Veneto Strade e Veneto Acque.
L’indagine è partita da un doppio spunto investigativo: da un lato Venezia aveva sviluppato la vicenda delle tangenti della Venezia-Padova, che aveva portato all’arresto di Lino Brentan (già condannato in primo grado per corruzione), dall’altro Padova aveva in corso una verifica fiscale su Mantovani dalla fine del 2010. «E’ subito emersa la stranezza dei rapporti tra Bmc e Mantovani - ha spiegato il tenente colonnello Giovanni Parascandolo - visto che agli ingenti rapporti corrispondevano fatture del tutto generiche e ingiustificate. E così oltre all’accertamento fiscale abbiamo comunicato ai colleghi di Venezia i gravi reati riscontrati». Intercettazioni, sequestro di email e anche delle registrazioni operate all’insaputa di Baita e Minutillo dallo stesso Colombelli—e poi sequestrate un anno fa dalla Finanza — avrebbero completato il quadro, oltre a rogatorie internazionali a San Marino, Svizzera, Germania, Canada e Croazia. «La collaborazione con gli stati esteri è stata fondamentale e ha garantito informazioni essenziali», ha sottolineato il procuratore capo di Venezia Luigi Delpino. «Le vicende sono da tempo oggetto di verifiche e approfondimenti da parte degli inquirenti, nel corso delle quali sono sempre stati forniti i chiarimenti e le informazioni richiesti - replica Mantovani in una nota - Desta quindi sorpresa e amarezza l’abnormità dei provvedimenti cautelari assunti dagli inquirenti». Già oggi saranno interrogati Minutillo e Colombelli, mentre Baita e Buson dovrebbero essere sentiti domani.
Alberto Zorzi, Roberta Polese

L’ing. Baita avrà anche incassato delle tangenti ma ha reso un grande servizio al Veneto con il passante e altre opere.( sempre avversate dalla sinistra sprecona).

RITRATTO DI ORSONI
VENEZIA - Sessantasette anni, avvocato amministrativista erede dello studio di Feliciano Benvenuti, primo procuratore di San Marco, vicepresidente della Biennale, Giorgio Orsoni è stato eletto sindaco di Venezia l’8 aprile 2010 battendo al primo turno il candidato eccellente del centrodestra, Renato Brunetta. Compito arduo quello di Orsoni: venire dopo il sindaco più amato di sempre, Massimo Cacciari, in un momento critico per la città, con le casse del Comune sempre più vuote per la crisi del Casinò e la fine conclamata dei fondi della legge speciale. Orsoni si è trovato a dover gestire, tra gli altri, i molti problemi (economici e giudiziari) del ponte di Calatrava, costato come cinque ponti sul Canal Grande, il «buco» del nuovo palazzo del Cinema al Lido e la questione del passaggio delle Grandi Navi a San Marco, che lo ha messo in conflitto anche col suo vecchio amico Paolo Costa, presidente del Porto. Era stato proprio Costa, allora sindaco, a volerlo assessore al Patrimonio dal 2000 al 2005. Prima era stato presidente di Save Engineering, società di ingegneria dell’aeroporto «Marco Polo» di Venezia dal 1997 al 2003. E proprio sul futuro dell’aeroporto e sulle aree vicine all’attuale scalo era entrato in conflitto con Enrico Marchi, presidente della Save.