Candida Morvillo, IoDonna 1/6/2014, 1 giugno 2014
A UN SOLO UOMO HO PERMESSO DI TENERE IL PROSCIUTTO IN FRIGO
[Margherita d’Amico]
UNA NOTTE, ha incontrato la morte e l’ha schivata mentre documentava la guerra nell’Uganda del Nord. Un pomeriggio, ha rischiato il collo calandosi in un dirupo per salvare un riccio. Una volta, ha finto di girare un documentario, con la troupe, i ciak e tutto il resto, per sventare l’approvazione di una legge più lasca sulla caccia. Negli ultimi dodici anni, Margherita d’Amico non ha scritto narrativa perché è stata molto impegnata a vivere una vita che è di per sé un romanzo. Sono stati anni di battaglie prima vissute e poi raccontate in libri, articoli e anche docu-film, un paio girati con l’ex marito Luca Zingaretti, come quello su sua nonna Suso Cecchi d’Amico, la sceneggiatrice di Monicelli, Visconti, Comencini, De Sica. Un film-intervista che deraglia solo all’apparenza dalla sua indole battagliera. Tant’è che Margherita usa una parola, “cavalcata”, per descrivere sia la sua vita, sia quella della nonna. Dice: «Le assomiglio nello spirito di indipendenza. Anche per me la vita è una grande cavalcata. Una sera, poco prima di morire, nonna mi guarda sorridendo e mi fa: “Forse ho sbagliato. Ho vissuto come se fosse una grande avventura”. E io: “Ma che dici? Hai l’aria così soddisfatta! “». Rivivono in Margherita echi di donne lontane e speciali. La nonna Elena Croce, figlia del filosofo Benedetto, è statala fondatrice di Italia Nostra, la zia Alda Croce fu umanista e animalista. E ora tutti questi echi trovano pace in un libro di racconti che tiene insieme scrittura, natura, pensiero. Sette di noi, esce per Bompiani il 4 giugno.
Che mondo vive nei suoi racconti?
Più che un mondo, c’è un’idea estesa e allargata dell’altro, non antropocentrica, ma aperta a “un altro” che può essere un giardino o un gatto.
Ci sono il bullo di quartiere che si scopre generoso davanti a un albero in pericolo, la coppia che si ritrova salvando un gattino. A fine libro, resta la sensazione che animali e natura possano renderci migliori.
Noi non potremmo vivere se non fossimo calati tra piante, alberi e animali. Non potremmo neanche spiegare noi stessi, come quando diciamo “fradicio come un pulcino”, “solo come un cane”... Scrivo avendo chiaro un sentimento diffuso di qualcosa che ci sta sfuggendo, come se ci fosse un giardino perduto dentro di noi.
È sempre stata così militante?
Sono diventata insopportabile strada facendo. “La ragazza del West” di uno dei racconti sono un po’ io in quegli anni ’80 in cui tutto sembrava più spensierato. Poi c’è stato il viaggio con Amref in Uganda.
E lì?
Non c’era acqua né cibo, ma non c’era tutto lo stress che attanaglia noi. Ho capito che la cosiddetta civiltà ci rende più cattivi, avidi, nevrotici e che è una cultura della sopraffazione. Ma se accettiamo che un animale venga ucciso, facciamo entrare la violenza nelle nostre vite. Laggiù, l’ho sentito fortemente quando ho creduto di morire.
Perché ha creduto di morire?
Nel mio albergo, arrivavano nei weekend i soldati per spassarsela con le prostitute. Una notte, in tre o quattro cominciano a battere alla mia porta. Erano ubriachi, sparavano, vomitavano. Mi sono detta: esco dalla finestra. Ma c’erano le grate e ho pensato: ora muoio. E intanto sentivo il lamento di un gattino seviziato e poi ho sentito sparare un colpo e il gattino morire. Ho capito cos’è l’abbrutimento umano e dov’è che la vita comincia a non aver valore.
Che cosa significa nella quotidianità essere animalista?
A volte, essere percepiti come giudicanti. Diventi rompiballe, anche se stai zitto.
Dentro di lei, davvero non giudica?
Le persone a cui voglio bene le amo e basta. Ma nel mio cuore, quando incontro persone per il resto stimabili, che mi danno ragione e mi dicono: «Certo, sarebbe giusto essere vegani, non fare male alla natura, ma è troppo complicato vivere come vivi tu» be’... penso che anche il pedofilo vuole stuprare i bambini, però stuprare i bambini non si fa e basta.
Come risolve questo conflitto latente?
Il punto è far nascere l’amore, non far venire il senso di colpa.
Quando è diventata vegana?
Due anni fa, ma se m’invitano e mi danno pasta col grana, per facilitare la vita altrui, la mangio.
E quando ha ospiti?
Non sono una gran cuoca e non cucino per gli ospiti. Quando ero sposata con Luca, ero vegetariana, mi sforzavo di tollerare i suoi prosciutti nel frigorifero, ma la bistecca se la cucinava da solo. Dopo, non ci sono stati successori così strutturati da sopportare la mia cucina. E neanche il mio zoo.
Quanti animali ha?
Ventisette, esclusi i piccioni, tra cani, gatti e cavalli. Mi sto trasferendo in Sabina, in campagna. Lì ci sono i cavalli, tutti salvati dal macello. Per gli animali, ho fatto follie.
Che genere di follie?
Piccole e innumerevoli, come calarmi in un dirupo per un riccio. E la denuncia per un cavallo maltrattato mi è costata un’amicizia. Poi, ci sono le battaglie diaboliche.
Tipo?
Ho anche finto di girare un documentario. Era il 2009, il senatore Franco Orsi stava per far approvare un disegno di legge per deregolamentare la caccia. I giornali non se ne occupavano, i miei amici delle associazioni erano disperati. M’invento un comunicato e l’inizio delle riprese di A ferro e fuoco, sulla violenza dei cacciatori. Il giorno dopo era su tutti i giornali.
Obiettivo centrato?
Ma non bastava. Allora, capita in Italia la scienziata Jane Goodall e faccio proprio un finto ciak, ovvero: Luca mi regala una troupe e io vado a intervistarla. Lei tuona contro la caccia. Parte un video virale su Internet, spacciato come il primo ciak della mia mirabolante opera.
Risultato?
Battaglia vinta, ma io ci ho fatto la figura della cialtrona, perché A ferro e fuoco non è mai uscito.
Lei non ha un compagno anche per la difficoltà di condividere tutto questo?
Ho amici speciali, ma sopportarmi è difficile. Ho sempre un cane da salvare, un traffico di gatti da fermare, un albero da non far abbattere. Luca dice: «Rimango l’unico uomo che è riuscito a trascinarti per un’ora oltre il raccordo anulare».