Lorenzo Simoncelli, pagina99 31/5/2014, 31 maggio 2014
LO SFARZO DI RE MSWATI AFFAMA LO SWAZILAND
MBABANE (SWAZILAND). Per le strade di Mbabane, la capitale dello Swaziland, il più piccolo Stato dell’Africa Sub-sahariana, campeggiano manifesti e luminarie per il 46esimo compleanno di Mswati III, il re del Paese. Al trono da 28 anni, l’ultimo monarca assoluto del Continente Nero ha un patrimonio personale stimato dalla rivista Forbes intorno ai 145 milioni di euro. Una cifra immensa a queste latitudini, soprattutto se confrontata con le condizioni di vita del milione di persone circa che vive nel piccolo regno. Secondo il think-thank americano Freedom House, il 66% degli Swazi, come vengono chiamati gli abitanti del Paese, non raggiunge, infatti, la soglia minima di nutrizione. Non contento del suo salario, come regalo di compleanno, lo ha leggermente ritoccato del 10%, portandolo a 44 milioni di euro annui, dopo che, nel 2012, attraverso il ministro delle Finanze, aveva affermato, «non voglio l’aumento, comprendo la situazione economica internazionale e locale».
Ma lo stile di vita a dir poco dispendioso ha “costretto” il sovrano a cedere alla tentazione. Una reggia reale da mantenere, 15 mogli, 24 figli, numerosi inservienti e l’immancabile jet privato per i frequenti viaggi di “lavoro”. Dati gli assidui spostamenti, il re, ha pensato di costruire il secondo aeroporto del Paese, che non poteva non chiamarsi Mswati III International Airport. Un “elefante bianco” costruito in una zona rurale e costato 210 milioni di euro circa. In parte finanziato dai petrodollari degli amici catarioti, ma che di international ha molto poco dato che, lo Swaziland, non ha alcuna compagnia di bandiera propria, e tantomeno rotte internazionali, esclusa la breve tratta Mbabane-Johannesburg della sudafricana Airlink. E pensare che il piccolo regno africano, è uno dei pochi Paesi del Continente ad essere completamente privo di materie prime. Per non parlare di industrie, quasi assenti, ed export ridotto all’osso. E allora come si spiega l’ingente patrimonio del monarca? Oltre al già cospicuo salario garantito dal prelievo fiscale, circa il 14% su ogni singolo bene acquistato o di proprietà dei suoi sudditi, Mswati III, può fare affidamento su un fondo statale lasciato dal padre Sobhuza II di circa 7 miliardi di euro e sul Tibiyo Taka Ngwane, un fondo d’investimento attivo nel turismo e nell’immobiliare. Entrambi recitano «per la nazione Swazi», ma il re li ha trasformati in una cassa personale. Anche se, percorrendo l’autostrada che collega la capitale Mbabane a Manzini, il principale centro commerciale del Paese, ci si rende conto di come il monarca abbia costruito delle infrastrutture pubbliche al di sopra degli standard medi africani. Strade ben conservate, ponti nuovi di zecca e illuminazione quasi ovunque. Ma per capire l’estrema disuguaglianza che caratterizza il Paese bisogna arrivare al km 31 della carreggiata, dove si inizia ad intravedere una mansione sterminata in netto centrasto con il paesaggio rurale che la circonda. Comincia la reggia di Mswati III. Impossibile avvicinarsi, telecamere ovunque, soprattutto dopo che, nel 2009, alcuni membri del Pudemo (Peoples United Democratic Movement), una piattaforma politica d’opposizione non riconosciuta dal re, ha pianificato un attentato per uccidere il sovrano.
Per vedere la grande discrepanza bisogna inoltrarsi nelle aree rurali, dove alla povertà estrema si aggiunge la piaga dell’Hiv. Lo Swaziland ha il più alto tasso di malati al mondo per numero di abitanti. Circa 200 mila sono i bambini orfani di genitori morti a causa della malattia.
Tornando verso la capitale viene da chiedersi come gli Swazi, dopo tanti anni, non si siano ancora ribellati a questa situazione. Una risposta arriva da Hannie Dlamini, capo della Saso (Swaziland Aids Support Organization). «Nel Paese», afferma, «ci sono circa 20 mila militari, che erodono un quinto del budget nazionale, una spesa spropositata se si pensa che lo Stato non affronterà mai una guerra. È un tipico atteggiamento dittatoriale». Annualmente Mswati III provvede ad aumentare lo stipendio dei membri dell’esercito, un atteggiamento criticato anche dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Alla povertà va aggiunta una forte restrizione della libertà di associazionismo e di parola. I partiti politici sono stati banditi nel 1973, non esistono sindacati e qualsiasi forma di assemblea è severamente controllata dalla polizia. Recentemente, agenti armati, hanno fatto irruzione presso la Chiesa cattolica dei salesiani a Manzini e hanno interrotto le celebrazioni, accusando i partecipanti di aver organizzato una riunione politica clandestina. Ma l’apice si raggiunge il primo maggio di ogni anno, quando, in via del tutto eccezionale, migliaia di persone, principalmente membri del Tucoswa (Trade Union Congress of Swaziland), il sindacato che prova a lottare per i diritti dei lavoratori, si riuniscono presso il fatiscente stadio di Manzini. L’ambiente era teso anche quest’anno. La polizia circondava l’intera area, ma lasciava fare, sapendo che gli occhi degli osservatori internazionali erano tutti sul comizio e in ballo c’erano aiuti economici per il Paese. Prima dell’inizio, pagina99, è riuscita ad avere un’intervista esclusiva con Mario Masuku, presidente di Pudemo, l’unica attuale possibile alternativa al re nel Paese e per questo bandita. L’organizzazione politica non ha una sede, le riunioni tra i membri avvengono di nascosto, spesso nel vicino Sudafrica, così, l’incontro viene concordato in gran segreto presso un albergo «amico», come lo definisce Masuku, subito fuori Mbabane. Sul volto del presidente di Pudemo si vedono gli anni di lotta e di detenzione, dato che, più volte, è stato in carcere per aver parlato pubblicamente contro il re. «Siamo considerati un’organizzazione terroristica, non abbiamo la libertà di riunirci, lo Swaziland è un’isola dittatoriale in un mare di democrazie», denuncia Mario Masuku. «Stiamo provando a costruire un Paese multipartitico e crediamo che possa convivere con la monarchia e siamo pronti a una negoziazione pacifica, ma abbiamo bisogno dell’aiuto della comunità internazionale, soprattutto dell’Unione europea», conclude il presidente di Pudemo. Poche ore dopo quest’intervista Mario Masuku è stato fermato dalla polizia per aver criticato il re durante il suo comizio del primo maggio scorso. Al momento della pubblicazione di questo numero di pagina99, la richiesta di libertà su cauzione fatta dal suo avvocato è stata negata e non si sa se e quando verrà liberato. L’arresto di Masuku si aggiunge a quella di Bheki Makhubu, direttore di The Nation, unico magazine investigativo del Paese. In un editoriale pubblicato sul numero di Marzo del mensile da lui diretto, aveva criticato il ministro della Giustizia locale, il cui mandato, secondo la Costituzione, è scaduto da due anni, dato che il suo incarico pubblico, iniziato nel 2005, dovrebbe durare massimo 7 anni. «Lo sono venuti a prendere come se fosse un criminale», ricorda Fikhile, la moglie del giornalista che si trova in carcere da più di due mesi. «Lo posso vedere solo 10 minuti a settimana e mi ha detto che divide una cella con altre 35 persone», ci racconta, accogliendoci nella sua casa di Mbabane. Accanto a lei c’è Vuyisile Hlatshwayo, direttore di MISA (Media Institute for Southern Africa in Swaziland). «Qui quando scrivi la verità senza paura e senza fare favoritismi», dice, «rischi di finire in carcere, come è successo a Bheki. Nel corso degli ultimi anni sono state promulgate 32 leggi contro i media». Lasciata la casa di Fikhile, il direttore del MISA ci accompagna da Alec Lushaba, direttore editoriale di The Observer, uno dei tanti quotidiani di proprietà della famiglia reale. Nonostante la policy del giornale sia chiara, ossia non danneggiare l’immagine del re davanti ai suoi sudditi, Alec spiega come abbia deciso di scrivere sull’acquisto di terre a prezzi di favore da parte di membri del governo. Un’inchiesta non digerita dai piani alti che hanno deciso di sospenderlo per 8 mesi. La situazione in Swaziland si sta velocemente deteriorando per chiunque provi ad esprimere critiche nei confronti del re. Mbongeni Mbingo, a capo del Forum degli editori del Paese, è scettico anche per il futuro: «Nei prossimi anni i media saranno sempre più vicini al governo. La mia preoccupazione è che diventino i portavoce dello Stato, mentre in questo momento di transizione serve la schiena dritta». Pagina99 ha provato a richiedere un’intervista attraverso il ministero dell’Informazione, ma ci è stata negata. D’altronde ai giornalisti stranieri non è concesso entrare nel Paese, se non tramite una specifica autorizzazione che richiede settimane, motivo per cui siamo entrati clandestinamente come falsi turisti. Una volta usciti dal Paese, abbiamo provato a contattare il portavoce del governo almeno per un’intervista telefonica. Anche in questo caso è stata negata. Ma alla domanda su che cosa stia succedendo nel Paese, la risposta è stata categorica: «Nulla, sono tutte menzogne inventate da voi media stranieri».