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 2014  giugno 04 Mercoledì calendario

SORGENIA, LE BANCHE PAGANO I DEBITI E I LORO ERRORI


Così si profila la soluzione del caso Sorgenia, con debiti per 1,9 miliardi, che, operante nel campo dell’energia, da qualche mese tiene impegnate le cronache sul quesito “chi paga” i costi della crisi in un mercato nel quale non è mai venuta meno la celeberrima formula che risale a Ernesto Rossi “profitti privati, perdite pubbliche” o comunque addossate a soggetti quali le banche le quali, pur essendo imprese, hanno un loro rilievo pubblico. La soluzione alla quale si starebbe arrivando, secondo le cronache, prevederebbe l’azzeramento del capitale della società e la sua ricostituzione, ad opera delle 19 banche creditrici, per 400 milioni, oltre a 200 milioni per un prestito “convertendo”. La proprietà – la Cir della famiglia De Benedetti e l’austriaca Verbund, socia di minoranza – non sborserebbe un centesimo o quasi e uscirebbe dall’azionariato, non avendo voluto sottoscrivere l’importo che gli istituti avrebbero voluto (per la Cir, almeno 150 milioni). Rispetto ad altre soluzioni di cui si è discusso in passato, questa almeno, ha il pregio di determinare un assetto nella proprietà coerente con l’esborso delle risorse finanziarie, diventando essa quasi esclusivamente bancaria, ed evita la liquidazione o il fallimento, assicurando la continuità aziendale: il che, se non avvenisse, probabilmente finirebbe con l’addossare un onere finale maggiore alle banche per le perdite che si registrerebbero.
E tuttavia non si tratta affatto di una vicenda esaltante, anche se non si parla più di interventi di sostegno pubblico, come è giusto che lo si escluda. Si spera, poi, che gli istituti – in primis il Monte dei Paschi, il cui vertice attuale si è trovato una esposizione nei confronti di Sorgenia per 600 milioni – stiano bene attenti a evitare che il legame partecipativo distorca le scelte di affidamento, come ha chiesto al sistema il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle sue “Considerazioni Finali”. Sul tema dei rapporti di proprietà banche-imprese e imprese-banche sarebbe necessaria oggi una riconsiderazione. Intanto, nelle discussioni con gli istituti la proprietà attuale starebbe ancora affrontando l’earn out, l’ipotesi cioè di vedersi accordata una remunerazione nel caso di vendita della società da parte degli istituti di credito ove questi realizzassero una plusvalenza rispetto all’attuale apporto di capitale. Le trattative tra le parti obbediscono a schemi che fanno parte del “gioco” in questi casi e l’intervento delle banche rientra sotto il titolo del recupero di crediti. Ma queste ultime non possono dimenticare che amministrano denaro dei risparmiatori e che l’evoluzione delle politiche di una società la cui attività è stata spiazzata dalla concorrenza, in particolare dalle energie rinnovabili, dovrà attentamente essere valutata con la finalità di non disperdere un insieme di esperienze e di professionalità, ma anche di evitare che le stesse banche vengano a trovarsi impigliate in una attività imprenditoriale che non è il loro mestiere. Il “convertendo” fu la salvezza della Fiat, nei primi anni duemila, ma si trattava di tutt’altra realtà imprenditoriale, imparagonabile.
Oggi si può dire che questo della forte esposizione di parti rilevanti del sistema creditizio è proprio un caso di inadeguata capacità di selezionare il merito di credito. A volte si riscontrano casi di comportamenti da occhiuti censori, ma dalla vista che resta corta e concentrata sul breve termine, che precludono prestiti a iniziative magari meno assistite di garanzie reali, ma caratterizzate da validi progetti i quali hanno una molto probabile efficacia differita, mentre si varano altri finanziamenti che producono gli esiti che si registrano anche in questo caso e che segnano un punto negativo anche per le banche finanziatrici. Poi sopravvengono gli ineludibili dilemmi sulle scelte da compiere tra mantenimento in vita dell’azienda o liquidazione. C’è un rischio di credito che può essere accentuato dalla crisi e dalla lenta ripresa dell’economia e un rischio che può essere alimentato da una inadeguata selezione dei finanziamenti ovvero da entrambi questi accadimenti. Insomma, il caso Sorgenia è una lezione anche per le banche. Che, tuttavia, per chi vede in diversi banchieri dei power broker è una nemesi storica ora vedere la propria pupilla, Sorgenia appunto, dovere conquistare il placet di ben 19 istituti di credito.