Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 04 Mercoledì calendario

GLI OCCHI SPIRITATI DELLE NOTTI MAGICHE FIRMATE DA SCHILLACI

[Italia 1990] –

Totò Schillaci erano due occhi con un destino attorno. Tutto cominciò ad accadere la sera del 9 giugno 1990, lui riserva azzurra, entrato da appena quattro minuti («Mister, ma sta parlando con me?», chiese a Vicini quando il citì gli disse di togliersi la tuta). Tocca con la fronte stempiata il suo primo pallone, in mezzo a due giganti austriaci, cross di Vialli, ed è gol. Poi gli esplodono le pupille, piantate in quelle di milioni di italiani, solo il vetro della tivù a separarli. Notti magiche, le ricordiamo così, come la canzoncina.
Giocava nella Juve, il palermitano Totò, quartiere di San Giovanni apostolo. Un ex povero, la storia uguale a tante, i campetti spelacchiati, il sogno intatto. Non un fenomeno ma uno strumento. Da riserva di Carnevale a demiurgo. I cori razzisti, quella frase rivolta all’avversario Poli (del Bologna) dopo uno sputo («Ti faccio sparare!»), le curve avversarie che gli cantano “ruba le gomme” per una brutta faccenda legata al fratello, la scazzottata con Baggio nello spogliatoio bianconero. E poi Rita, la bionda moglie, che un giorno si mise con un altro, pure lui calciatore, per di più del Toro. Un polpettone, ma il campo azzera tutto, lì diventi davvero e soltantodestino.
Totò Schillaci trasformò in gol ogni pallone sfiorato, colpito, deviato in quel mondiale: 6, alla fine. Capocannoniere e miglior giocatore del torneo. Non ebbe il coraggio, però, di tirare il rigore contro l’Argentina in semifinale, e lì si concluse ogni magia, anche se poi avremmo vinto l’inutile finale per il terzo posto, e ancora lui dentro la rete.
Prima di Italia 90 c’era già stato un po’ di Schillaci, assai poco ce ne sarebbe stato dopo. La Juve, l’Inter, due Coppe Uefa, nessuno scudetto, il Giappone. La vita di un uomo, di un campione, tutta in un mese. Quella coppa la vinse la Germania, Maradona disse “hijos de puta ” ai romani che fischiarono il suo inno, molti denari pubblici vennero inceneriti in una vertigine anche di ladri, 24 persone morirono nei cantieri, alla fine di magico c’era proprio poco. L’Italia di Vicini, di Baggio e Vialli, l’Italia di Totò era una buonissima squadra e avrebbe potuto vincere il mondiale. Non fu fortunata e le mancò il cuore dal dischetto: perché sì, è anche da quei particolari che si giudica un giocatore.
Gli occhi di Schillaci erano malinconici, profondi, vi si leggeva una storia difficile, un po’ come quelli di Balotelli adesso. Lo prendevano in giro per gli strafalcioni, per la sintassi scassata, con crudeltà feroce, come se a questo mondo tutti fossero Manzoni o Umberto Eco. E tutti, adesso, ripensiamo a quel nodo di muscoli e furore, all’uomo della carambola e della staffilata (un capolavoro, il tiro secco contro l’Uruguay negli ottavi) come a un brevissimo, fiammeggiante incendio. In Giappone aveva un interprete giorno e notte ma l’italiano gli serviva a poco, ci sono tantissimi altri modi per dire, per essere, anche senza le parole.
È invecchiato in fretta, Totò, classe ’64, classe robusta e rapida. Ha aperto una scuola-calcio per bambini a Palermo, ha fatto presenza in alcuni filmetti di malavita, è andato pure sull’Isola dei famosi. Gli occhi, infine, solamente tristi.

Maurizio Crosetti, la Repubblica 4/6/2014