Federico Fubini, la Repubblica 4/6/2014, 4 giugno 2014
EMERGENZA DEBITO PER GOVERNI E AZIENDE LA STRATEGIA DI DRAGHI IN DUE MOSSE
ROMA.
Qualunque sia la decisione che Mario Draghi presenterà domani alla Banca centrale europea, almeno un punto è certo: sarà la prima parte, la meno difficile, di un’operazione in due tappe. Quella decisiva per le possibilità dell’Europa di evitare una vera deflazione e per quelle dell’Italia di gestire il debito, è più lontana nel tempo: con ogni probabilità non prima di novembre.
La posta in gioco non potrebbe essere più alta. È passato più di un anno da quando si è chiusa la fase dominata dai mercati nella crisi dell’euro. Ora l’area è minacciata da un malessere meno violento, eppure corrosivo. E ancora una volta, le più colpite sono le economie ad alto debito, pubblico e privato. Ogni anno per esempio i governi di Italia, Spagna o Francia mettono sul mercato titoli per quasi mille miliardi di euro. Nel farlo hanno promesso di versare degli interessi misurati sulla base di un impegno: la Banca centrale europea garantirà che l’inflazione tenda a viaggiare vicino al 2%. Questa promessa era implicita nei calcoli di tutti i debitori d’Europa: il 2% circa del valore effettivo dei loro debiti sarebbe stato eroso ogni anno dagli aumenti dei prezzi, fino al momento del rimborso. Ma un’inflazione a zero, o quasi, fa saltare tutti gli equilibri e minaccia di rendere insostenibili milioni di posizioni in Europa. Non solo per i governi. Il problema riguarda anche famiglie che hanno contratto un mutuo, aziende che hanno emesso un’obbligazione o chiesto un prestito in banca. Il governatore Ignazio Visco ricorda che, solo per raggiungere un livello di esposizione nella media europea, in Italia le imprese dovrebbero rafforzarsi di 200 miliardi.
È da ottobre scorso che l’inflazione si è inabissata sotto l’1% ed è da allora che la Bce è sotto pressione per reagire. Draghi lo sa e avverte che non teme solo la deflazione, cioè un calo evidente dei prezzi: spesso osserva che anche un “periodo prolungato” di inflazione troppo bassa può produrre effetti corrosivi. Ma se la Bce non si è mossa con forza fino ad oggi, è in parte perché il suo presidente non intende attivare le armi non convenzionali senza il consenso di tutti. Vuole l’assenso della Bundesbank, la sola capace di far accettare all’opinione pubblica tedesca le scelte meno ortodosse della Bce.
Anche per questo, implicitamente, il vertice dell’Eurotower ha scelto di aspettare che passasse il voto europeo. Fare di Draghi e della Bce una controversia da campagna elettorale in Germania sarebbe stato il modo più sicuro di minare la sua indipendenza. Ora però il momento di agire è arrivato e le scelte sul tavolo a Francoforte domani sono note. Un taglio di tutti i tassi dello 0,10% o 0,15% è quasi scontato da tempo. Poiché oggi l’Eurotower paga già interessi zero sui depositi di fondi che le banche commerciali le affidano, da questa settimana l’ordine dei fattori si inverte: un istituto che parcheggia liquidità in Bce, dovrà di fatto pagare una tassa. Questa mossa mira a far uscire i fondi e impiegarli, ma è difficile che ottenga anche un vero deprezzamento dell’euro: più facile che le banche, in prevalenza tedesche, piazzino la loro liquidità in titoli di Stato di Berlino.
Probabile anche un’offerta straordinaria di liquidità, dedicata alle banche che fanno prestiti alle piccole e medie imprese. Ma anche qui, almeno in Italia, l’impatto sarà ridotto: le imprese sono già troppo indebitate e gli istituti frenano sul credito perché hanno i bilanci sotto esame della vigilanza europea. L’effetto espansivo sarà limitato.
La sola scelta che può far risalire l’inflazione è un piano di acquisti di titoli sul mercato, per almeno mille miliardi di euro. La Bce ne parla da mesi, ma è quasi escluso che scatti prima di novembre. È la secondo tappa della campagna contro la deflazione e dovrà aspettare l’autunno, quando sarà finito l’esame sui bilanci delle banche europee. Per l’Italia e il suo debito è una questione vitale: se il premier Matteo Renzi e il ministro Pier Carlo Padoan ieri non ne hanno parlato, quando si sono consultati sull’Agenzia delle Entrate, forse avrebbero dovuto farlo.
Federico Fubini, la Repubblica 4/6/2014