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 2014  giugno 04 Mercoledì calendario

DRAMMA SQUINZI, SE CACCIA I LADRI IN CONFINDUSTRIA RESTA SOLO LUI


Con chi ce l’ha Giorgio Squinzi? Aveva in mente dei nomi quando ha annunciato la cacciata dalla Confindustria degli imprenditori corrotti? O gli è scappata la parola? Insomma, qualcuno ha spiegato al presidente Forrest Gump che, tenendo fede ai propositi, la prossima volta rischierebbe di parlare a uno sparuto parterre senza carichi pendenti? Grande è la confusione sotto il cielo del capitalismo travolto dagli scandali. Piangono le industrie e le banche non ridono, anzi singhiozzano. Nel giro di un anno l’Abi, l’associazione bancaria italiana, ha perso prima il presidente, Giuseppe Mussari, travolto dall’inchiesta sul Montepaschi, e poi un vicepresidente, Giovanni Berneschi, causa arresto. I banchieri sono arrivati al punto che l’economista Luigi Zingales li ha gratificati, dalle colonne dell’austero Sole 24 Ore, di un anatema da social network: “Nonostante i molti galantuomini ci sono talmente tanti delinquenti che a entrare in banca c’è d’aver paura di essere derubati, non dai rapinatori, ma dai banchieri”. A parole Squinzi non è stato da meno: “Chi corrompe – ha tuonato giovedì scorso all’assemblea confindustriale – fa male alla propria comunità e al mercato. Queste persone non possono stare in Confindustria”. Cosa avrà pensato Emma Marcegaglia, che lo ascoltava in prima fila come past president? Forse che la prima a dover uscire dall’Auditorium di Roma era proprio lei, fresca presidente dell’Eni. Nel 2008 suo fratello Antonio Marcegaglia, amministratore delegato dell’azienda di famiglia, ha patteggiato una condanna per corruzione a undici mesi, per aver pagato proprio a un dirigente dell’Eni un milione 158 mila euro di tangente per una commessa. Certo, la responsabilità penale è personale. Ma alla Confindustria non si iscrivono le persone bensì le aziende. E proprio in quanto esponente di un’azienda “che corrompe”, Emma è stata eletta presidente nel marzo 2008.
Per capire il senso delle parole di Squinzi bisogna rispondere ad alcune domande. La prima: chi è l’imprenditore che corrompe? Solo chi è stato condannato in via definitiva o basta un corposo sospetto? Faccenda complessa. L’impresa di costruzioni di Enrico Maltauro, recentemente arrestato con i furbetti dell’Expo, il 15 maggio scorso è stata allontanata dal presidente di Confindustria Vicenza, Giuseppe Zigliotto, che ha ritenuto “gravissimi i fatti di questi giorni, soprattutto perché riguardano un imprenditore già coinvolto oltre 20 anni fa in fatti analoghi”. Zigliotto introduce due concetti innovativi nella giurisprudenza confindustriale. Il primo è che i reati di Maltauro si considerano già accertati, il secondo è il richiamo all’era di Mani Pulite come a un passato che non si prescrive. Ma allora Squinzi deve spiegare: chi ha invitato all’assemblea di Confindustria l’ex presidente della Banca popolare di Milano, Massimo Ponzellini, fresco di arresto e al centro di un’inchiesta per gravi reati? Chi ha invitato il past president Giorgio Fossa, sotto processo per la bancarotta della compagnia aerea Volare? E che ci fa negli uffici di viale dell’Astronomia il vice direttore generale Daniel Kraus, condannato a un anno e otto mesi per un’inchiesta di Mani Pulite? Perché non è stata ancora cacciata dalla Confindustria la Finmeccanica, dopo che l’amministratore delegato GiuseppeOrsiè stato arrestato l’anno scorso con l’accusa di corruzione internazionale? E perché viene chiamato alla vice presidenza Carlo Pesenti proprio nelle stesse ore in cui suo padre Giampiero Pesenti viene indagato per truffa aggravata e riciclaggio nello scandalo Ubi Banca?
Il problema è che addentrandosi nella giungla di “galantuomini e tanti delinquenti” Squinzi può perdere l’orientamento. La Confindustria Sicilia è ancora attraversata dalla drammatica questione del pizzo.
Marcegaglia, appena eletta nel 2008, innalzò il vessillo brevettato dall’imprenditore siciliano Ivan Lo Bello: cacciare chi subisce le estorsioni senza denunciare i mafiosi. Per lei era un ottimo modo per glissare sul più stringente “cacciare chi corrompe”, che l’avrebbe costretta alle immediate dimissioni. Come per il suo predecessore Luca di Montezemolo era un diversivo rispetto agli abusi edilizi nella sua villa di Capri che l’hanno portato alla condanna a un anno in primo grado.
È discutibile cacciare chi è vittima di un reato (l’estorsione) anziché chi ne è autore. Ma se la linea è questa Squinzi dovrebbe spiegare perché non ha ancora espulso Carlo De Benedetti, che nel 1993, quando fu arrestato durante l’inchiesta Mani Pulite, spiegò che per vendere i prodotti Olivetti ai ministeri era costretto a pagare tangenti ai partiti. Si dichiarò concusso e i giudici gli credettero. Invece la Confindustria non ha creduto a Natale Spinnato, industriale palermitano del pane che tre anni fa si è salvato in extremis dall’espulsione promettendo che sarebbe andato a raccontare alla polizia quanto sapeva dei boss del quartiere Brancaccio, ai quali non pagava il pizzo però riconosceva altri favori per vivere in pace. Viene da chiedere a Squinzi perché non impone la stessa prova di coraggio a quella sua bella platea di indagati: vadano a spifferare tutto ai carabinieri, sennò fuori. La risposta è che i vertici confindustriali digrignano feroce onestà solo con i piccoli associati periferici, anche perché la coerenza avrebbe un prezzo beffardo: Squinzi dovrebbe chiedere al suo amico Silvio Berlusconi di dire ai magistrati la verità sulle richieste di pizzo di cui tanto si lamentava ai tempi della Standa.
Ma Squinzi si guarda bene dal fare nomi, per esempio: Mediaset. Non è di un grande imprenditore condannato a quattro anni per frode fiscale? E come mai il presidente Fedele Confalonieri è ancora un esponente di spicco di Confindustria? Forse perché Squinzi vuol cacciare chi corrompe e chi paga il pizzo (solo se è siciliano), non certo chi evade le tasse, sennò gli si vaporizza l’organizzazione. Ma come la mette sbaglia. Prendiamo l’Ilva. La Confindustria se ne occupa solo per attaccare i magistrati nemici dell’industria. Ma dopo la scomparsa di Emilio Riva, al timone del gruppo è rimasto il primogenito Fabio Riva, oggi a Londra in attesa di estradizione. È accusato di reati come associazione a delinquere e corruzione in atti giudiziari. Non sarebbe abbastanza per cacciare tutti i Riva di ogni ordine e grado da Confindustria? Squinzi aspetta i processi? E se aspetta i processi, perché per Riva sì e per Maltauro no? Oppure Squinzi sa cose che noi umani neppure sospettiamo? Forse. Ciò che Squinzi non capisce è che ormai gli umani sospettano cose che lui neppure immagina.

Twitter@giorgiomeletti

Giorgio Meletti, Il Fatto Quotidiano 4/6/2014