Pietro Scibetta, La Stampa 4/6/2014, 4 giugno 2014
“IO E LEBRON PER L’ANELLO QUESTA FINALE È DI TUTTI”
[Intervista a Marco Belinelli] –
Belinelli, primo italiano di sempre in una finale Nba: lo sente l’entusiasmo del nostro Paese?
«Lo avverto tramite i social network: tanta gente mi fa sentire la sua presenza, il suo calore, il volermi stare accanto. Ogni passo che faccio nella mia carriera è anche per queste persone che stanno sveglie la notte per seguire le mie partite».
La sua Nba è stata inizialmente travagliata. Questa finale è la ciliegina sulla torta?
«Ho sofferto tanto in passato, mi criticavano negli Usa ma anche in Italia. Ho sempre lavorato per migliorarmi come giocatore, lottando per guadagnarmi minuti e spazio. So che questa mia finale è importante per tutto il nostro basket, ma quello che conta più di tutto è diventare campione».
Guardando le ultime finali sapeva che avrebbe giocato negli Spurs?
«Ho visto quella serie, speravo che San Antonio vincesse ma non sapevo ancora che avrei giocato qui. Di passato però non si parla più: vogliamo dimostrare che siamo noi i veri campioni».
Quella sconfitta è una ferita ancora aperta per chi c’era?
«Sicuramente è una motivazione forte: al primo giorno di training camp abbiamo guardato gli ultimi minuti di gara-7 tutti insieme».
Che cosa rappresenta per lei questa sfida a LeBron James e ai campioni Nba?
«Prima di tutto un’emozione fortissima: ancora fatico a pronunciare le parole “finale Nba”. Miami ti carica molto, contro di loro vuoi sempre dimostrare il tuo livello. Gli Heat nella corsa sono fortissimi e LeBron oltre a essere un giocatore incredibile è anche grande e grosso. Faremo tutto il possibile per vincere».
Quando San Antonio vinse il primo titolo lei aveva tredici anni: si ricorda quella finale?
«La vidi con mio fratello e i miei amici, come le ho sempre viste tutte. Forse allora tenevo ai Knicks, influenzato da mio fratello che tifava per alcuni “bad boys” come Latrell Sprewell e Larry Johnson».
Da anni San Antonio è definita «vecchia». Eppure siete ancora qui.
«Coach Popovich è bravissimo nella gestione dei veterani, ma tutti quanti qui siamo importanti, che si giochi 5, 10, 20 o più minuti. Conta la qualità, non la quantità».
Gioca per e con delle autentiche leggende. Come le definirebbe?
«Coach Pop è fantastico: allenatore incredibile, è come un padre per tutti. È una persona molto simpatica e colta, ma sempre pronto a fare la cosa giusta per vincere. Duncan lo chiamano vecchietto ma porta a scuola tutti. Silenzioso, ma un grande leader per il gruppo. Parker, con Chris Paul, il miglior playmaker al mondo: io ho avuto la fortuna di giocare con entrambi. Ginobili, beh, quando era alla Virtus Bologna io ero nelle giovanili: trovarsi a giocare la finale Nba insieme è più di un sogno. È un onore giocare con lui».
Ha vissuto a San Francisco, Toronto, New Orleans, Chicago: com’è la piccola San Antonio?
«Mi trovo bene, ma ovviamente non è la stessa cosa per quanto riguarda divertimenti, ristoranti e quant’altro. La dimensione della città è molto diversa rispetto a quelle dove ho vissuto negli States, per fare un esempio credo non ci sia nemmeno un ristorante italiano. Qui, però, l’apporto che i tifosi danno alla squadra è incredibile».
Chi le ha fatto i complimenti?
«Ho ricevuto tantissimi messaggi. Mi ha scritto anche Gigi Datome, come il mio ex allenatore delle giovanili Marco Sanguettoli, che a Bologna mi ha insegnato tanto».
Pietro Scibetta, La Stampa 4/6/2014