Paolo Siepi, ItaliaOggi 4/6/2014, 4 giugno 2014
PERISCOPIO
C’è chi dice, constatando che accettai di diventare assessore alla cultura del Comune di Milano, che io sia stato prima comunista e poi leghista. Io sono sempre stato giacobino. Nella Lega intravedevo una pulsione rivoluzionaria. In realtà la Lega è diventato, col tempo, un movimento drammaticamente conservatore. Philippe Daverio, critico d’arte. Sette.
Non solo attribuiamo i nostri guai alla crisi, ai mercati finanziari, ai vincoli europei, alla moneta comune, ma ci illudiamo anche che dalla crisi possiamo uscire grazie agli altri: la ripresa dell’economia mondiale, che dobbiamo solo «agganciare»; le autorità europee, che dovrebbero essere un po’ più flessibili sui nostri conti pubblici; la Banca centrale europea che dovrebbe darci una mano acquistando buoni del Tesoro. In fondo, questa cultura della dipendenza è una specificità italiana, d’accordo, ma è pure una caratteristica dello statalismo a ogni latitudine. Se non si liberano le energie degli individui e delle comunità ogni speranza di crescere è vana. Luca Ricolfi, L’enigma della crescita. Mondadori.
In me la fiorentinità ha contato molto. Roma capitale, fino al 1900, era un gran pascolo di pecore che si abbeveravano in piazza Navona. Io invece sono nato e cresciuto a Firenze, respirando l’aria di Prezzolini, di Papini. Giovanni Sartori, politologo. Corsera.
L’universo potrebbe migliorare moltissimo dando una bella mano di bianco sui buchi neri. Massimo Buchi. il venerdì.
Ho provato a lavorare all’estero e siccome a lavorare si soffre, ho pensato che era meglio soffrire dove si è nati che fuori dall’Italia. Enzo Ferrari. Il Fatto quotidiano.
Il sacro fuoco del cinema mi venne tardi. Il cinema, da giovane, mi sembrava il rifugio dei dilettanti. Sognavo di diventare scrittore. «Viaggio al termine di una notte» di Cèline è il libro che mi ha fatto capire cos’è un uomo, mi ha fatto entrare nel mondo degli adulti. Paolo Sorrentino, regista del film La grande Bellezza alla scuola di cinema «Volontè» di Roma.
Milano così sporca non lo era mai stata. Milano è la più europea delle città italiane, con una latitudine diversa a quella che ha fisicamente. Milano faceva ricordare Zurigo più che Marsiglia, Lione più che Belgrado o anche Vienna perché risentiva di certe dominazioni. Nino Nutrizio in Gigi Moncalvo, Milano no. Edizioni Elle, 1977.
Alle 18,30 si inaugura una mostra di Paola Stelzer, quella è sempre la poca occasione di high life in questa country di montanos, bifolcos et pastores. Luigi Serravalli, critico d’arte e scrittore.
Certe espressioni estemporanee di Aldo Biscardi, deplorate come balordaggini, a me sembrano semplicemente deliziose, tipo «abbiamo un sgoop», «non ci sarà più un duello a due», «hai messo la piaga nel dito», «non parlate tutti insieme, al massimo due o tre alla volta», «cerchiamo di non provocare scintille polemiche, altrimenti si sollevano polveroni che intorbidano le acque». Sospetto che le pronunci a bella posta, che le inventi sul momento per far parlare di sé e consegnarsi alla leggenda. Oppure è un dadaista a sua insaputa. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.
Una lontananza, anche breve, è sempre un esilio. Eppure penso che gli italiani, specie coloro cui incombe la responsabilità di classe dirigente, tecnici, intellettuali, uomini politici, scrittori, dovrebbero, ogni anno, recarsi a passare le vacanze in qualche paese straniero. Poiché uno tra i difetti più gravi della nostra leading class è di non conoscere l’Europa, o di conoscerla male. Per capire quanto sia grave e pericoloso questo difetto, basta considerare la sorte dei francesi, che dalla loro orgogliosa e cieca ignoranza degli uomini e delle cose di Europa, e di tutto ciò che non è francese, sono stati ridotti, nel breve volgere di due generazioni, nella condizione in cui sono. Curzio Malaparte, Battibecchi. Shakespeare and Company, 1993.
All’improvviso un velivolo si staccò dal cielo. Scese in picchiata sulla folla. Jeanne pensò: precipita! Poi, ma no, ci mitraglia, ci prende di mira, siamo perduti... Istintivamente si portò le mani alla bocca per soffocare un grido. Le bombe erano cadute sulla stazione e un po’ più in là, sulla strada ferrata. La tettoia di vetro crollò in mille pezzi che vennero proiettati sulla piazza ferendo o uccidendo coloro che vi si trovavano. C’erano donne che, in preda al panico, gettavano via i loro figli come pacchi ingombranti e scappavano. Altre, invece, li afferravano e li stringevano a sé con tanta forza che sembrava volessero farli tornare di nuovo nel loro grembo, come se quello fosse l’unico rifugio sicuro. Irène Némirovsky, Suite francese. Adelphi.
L’avocàt non aveva famiglia e teneva ufficio nell’osteria della Lena. Estate o inverno che fosse portava al collo una sciarpa nera che non aveva niente a che vedere con il regime mussoliniano. Era debole di gola, diceva lui. E d’inverno il freddo, d’estate l’umidità, lo insidiavano. In realtà aveva un poco estetico gozzo che pochi avevano visto. I più, l’avevano intuito perchè, ogni volta, prima di esprimere il suo parere, l’avocàt se lo palpava come per averne l’approvazione e quel gesto di accarezzarsi il collo era passato nell’uso comune: così che bastava mimarlo per fare intendere che ci si apprestava a fare una cosa consigliata da lui. Andrea Vitali, La Figlia del Podestà. Garzanti, 2005.
Ad Haba Haggag i binari cessano, hanno rifiutato di proseguire, come offesi da un terreno così monotono. La pista è ormai tutta sassosa e dura, non v’è più pericolo di insabbiamento. Marsa Matruth è raggiunta al buio, ma è abbastanza illuminata e per giunta imbandierata di vessilli greci: infatti è la Pasqua ortodossa. Il cielo luminosissimo rivela ugualmente, nonostante l’ora tarda, il colore incomparabile e fosforescente d’un mare che riunisce tutte le gamme del verde e dell’azzurro, in opalescenze da magia. O forse è il mare che illumina il cielo. Cleopatra sceglieva bene le sue villeggiature. Paolo Caccia Dominioni, Alamein 1933-1962. Longanesi, 1966.
Un tarlo, una notte, sente venire dal telefono uno strano «trr...trr...». Rimane un po’ indeciso, poi, di scatto, alza il ricevitore e grida: «Pronto! Chi tarla?». «Gino Bramieri» Euroclub. 1989.
L’asparago è la pera del ricco. Francis Blanche, Pensèes, rèplique et anecdotes. Editions J’ai lu, 1966.
I superuomini sono grandi uomini mancati. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 4/6/2014