Fulmini 5/6/2014, 5 giugno 2014
FEMMINA «A
mio padre piaceva la F1 ed era cintura nera di judo. È sempre stato un uomo non violento, sereno e un po’ “yoga”, e lo judo è controllo e concentrazione. Io però non ho recepito la passione sportiva. Sono una donna a cui piace fare cose da femmina» (Belen Rodriguez).
NERVOSISMO «Il proprio stato mentale è il principale problema per noi atleti. Io cerco sempre di entrare “in the zone” e per riuscirci penso a tutto ciò che ho fatto di positivo nelle gare precedenti. A volte il nervosismo è un vantaggio, ma occorre controllarlo» (la campionessa olimpica dei 100 metri Shelly Fraser-Pryce).
ONIRICA «I sogni vanno messi da parte, deve decadere la fase onirica per andare sul concreto: vincere tutte le partite. Tutti i calciatori devono saperlo. La Roma merita di gareggiare per lo scudetto» (il direttore sportivo giallorosso Walter Sabatini).
TUTTO «L’Italia? O in finale o vincitrice. Il girone è molto, molto difficile. Ma l’Italia è l’Italia, può fare tutto» (la previsione di Josè Mourinho).
CAPOCANNONIERE «Ho visto che Klose si sta preparando e quando lui crede in qualcosa difficilmente fallisce. Gli manca un gol per diventare il capocannoniere di sempre ai Mondiali: lo segnerà e non ne segnerà uno solo» (Edy Reja).
ORDINE «Quando abbiamo incontrato i giocatori sono stati tutti gentili. Era stranissimo ricevere complimenti da loro. Alcuni, come Buffon, sono nostri fan. Il nostro giocatore preferito però è Buffon: uno che dà ordine, quello che serve in campo e in una band» (Giuliano Sangiorgi, leader dei Negramaro, band che canta l’inno degli Azzurri per questi Mondiali, Un amore così grande).
POLITICA «L’esonero di Seedorf? In Italia il calcio è politica, devo decidere se restare o andare via» (De Jong).
IDOLO «È giusto che la gente si divida e difenda il proprio idolo. So che qualunque scelta di un allenatore è quella sbagliata» (Cesare Prandelli a proposito dell’esclusione di Giuseppe Rossi).
DOLORE «Gli Heat non stanno simpatici né a me né agli altri. Sarà una bellissima finale. La perfetta occasione per dimostrare che l’anno scorso doveva finire diversamente. Io non ero ancora qui, ma ho compreso il dolore provato dai miei compagni» (Marco Belinelli, primo italiano a giocare una finale di Nba).