Filippo Caleri, Il Tempo 4/6/2014, 4 giugno 2014
500 MILIONI AL GIORNO DI TASSE NON PAGATE
C’è un profilo preciso dell’evasore italiano. Innanzitutto il sesso, visto che è principalmente un maschio, ha un’età al di sotto dei 44 anni, ha la sua residenza fissata in città del Centro Italia, e di professione fa il titolare di rendite. A delineare chi è il prototipo di chi sottrae ricchezza al fisco, e dunque alla collettività, è stata nei mesi scorsi la Banca di Italia in un’audizione sul tema in Parlamento. Le analisi sono tratte da due studi sull’evasione in Italia. Secondo un incrocio di dati Bankitalia e di quelli della Sogei (la società che gestisce l’anagrafe Tributaria) relativi però solo all’evasione dell’Irpef (Imposta sulle persone fisiche) emerge che «la propensione all’evasione» degli italiani è pari al 13,5%. La percentuale è ricavata con il raffronto tra il reddito netto pro capite registrato da Bankitalia (15.440 euro) e il reddito netto pro capite effettivamente dichiarato secondo Sogei (13.356 euro). Dall’incrocio emerge che in media viene sottrtto al fisco un imponibile di 2.093 euro pro capite. I principali evasori sarebbero quelli che vivono di rendita. Secondo Bankitalia il reddito procapite di questa categoria sarebbe di 21.286 euro mentre secondo la Sogei di appena 3.462 euro con ben 17.824 euro di reddito pro capite sottratto all’erario, pari all’83,7%. In seconda battuta arrivano gli imprenditori e i lavoratori autonomi con una propensione all’evasione del 56,3% e un reddito sottratto al fisco di 15.222 euro pro capite.
Se questo è il profilo qualitativo del furbetto sono complessivamente 11,2 milioni gli italiani che vivono in province definite ad alta «pericolosità fiscale». È questo, infatti, il numero dei cittadini che risiedono nelle aree in cui le elaborazioni dell’Agenzia delle Entrate prevedono un rischio più alto di evasione. Seguono 9,4 milioni a rischio medio alto (con le aree di Roma e Milano). Ben 23,3 milioni abitano invece in aree a basso rischio. L’Italia secondo l’erario può essere divisa in otto sezioni: da aree a «Rischio totale» a quelle in cui «Stanno tutti bene» passando per «Niente da dichiarare?». Lo studio, presentato di recente, non ha un obettivo strettamente repressivo e dell’evasione ma vuole rappresentare un strumento per migliorare l’efficenza sul territorio dell’Agenzia delle Entrate ed è basato su una seria e rigida analisi statistica che ha utilizzato 245 variabili raccolte da fonti ufficiali.
Nessuna scorciatoia statistica per criminalizzare aree, ma la volontà di leggere realtà complesse che richiedono una diversa risposta dell’amministrazione fiscale, anche in termini di servizi resi sotto forma di assistenza e comprensione dei problemi. Da «Pericolo Totale» a «Stanno tutti bene», la scala della mappa tracciata sul territorio italiano dai tecnici dell’Agenzia delle Entrate ha tantissime sfumature: passa per le aree a basso sviluppo e con alta propensione di evasione (Niente da dichiarare? è il nome del gruppo) a quelle con molte attività manifatturiere («L’industriale»), dalle province «Equilibriste» alle due aree metropolitane di Roma e Milano (Metropolis), per esaminare anche i due gruppi «Rischiose abitudini» e «Non siamo angeli», che presenta un tasso di pericolosità fiscale intermedia, ma non certo ottimale.
L’analisi non dà numeri su quanti siano i residenti nelle aree a rischio evasione, ma basta sovrapporre una mappa ai dati dell’Istat per scoprire che ci sono 11,2 milioni di residenti che abitano nelle province «Rischio Totale», dove l’alta pericolosità fiscale e sociale si sposa con un bassissimo tenore di vita. Subito dopo ci sono 9,4 milioni di cittadini di altri due gruppi: i «Metropolis», con i 7,1 milioni di residenti delle province di Roma e Milano e i «Niente da dichiarare». Tutti e due hanno un rischio di evasione medio alto, ma sono profondamente divisi dal tenore di vita e dalla pericolosità sociale, pià alta nelle due grandi città. Sono queste le aree che pesano di più nei 90 miliardi di «tax gap» (mancati incasssi ndr) calcolati dall’Agenzia in un altro studio consegnato in Parlamento e che misura il divario tra quello che il fisco dovrebbe incassare e quello che raccoglie concretamente: colpa non solo dell’evasione ma anche di errori e di impossibilità a pagare il dovuto per mancanza di liquidità. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. Ci sono 23,3 milioni di cittadini che abitano in province che il fisco considera tranquille: sono il gruppo «Industriale» e «Stanno tutti bene», nelle quali la pericolosità fiscale è bassissima così come il rischio sociale: in ordine alfabetico spaziano da Aosta a Udine ma riguardano province del centro nord spesso lontane dai grandi centri.
Le stime sull’evasione sono le più disparate. Ogni anno - ha evidenziato il dipartimento Politiche fiscali della Uil - oltre 180 miliardi di imposte vengono sottratte alla collettività, praticamente 15 miliardi al mese, ossia la cifra necessaria per la paga mensile media di oltre 11 milioni di lavoratori dipendenti; 500 milioni di euro al giorno; 20,8 milioni ogni ora; 347.000 euro al minuto. Per lo Stato la cifra è più bassa ma comunque consistente: 90 miliardi di mancato gettito fiscale. Lo ha calcolato l’agenzia delle entrate riferendosi al tax-gap del 2010. La cifra viene dal mancato gettito derivante da Irpef da lavoro autonomo, Ires, Iva, Irap e addizionale Irpef.